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L’assedio di Empoli del 1530, cronica storica del Mons. Paolo Giovio scritta nel 1554

Senza titolo-1

Si propone la semplice trascrizione ed estrazione di una cronaca storica circa l’assedio militare di Empoli del 1530 avvenuto per mano delle truppe spagnole.
Questa versione è estratta dal manoscritto “Seconda parte dell’Historie del suo tempo” di Mons. Paolo Giovio Vescovo di Nocera, Anno MDLIIII (1554 A.D.), articolati in vari “libri” o capitoletti, scritto in onore a Cosimo I° Granduca di Toscana e tradotte per mano di M. Lodouico Domenichi e conservata dalla Staatsbibliothek di Bayer (biblioteca di Stato) collocazione n° 36623788960018.
La cronica fornisce qualche dettaglio in più rispetto alle notizie emerse dalla Conversazione tra Giorgio Vasari e il Principe Francesco de’ Medici, le quali vanno tutte ad aggiungersi alla versione dell’Anonimo empolese. La prima sensazione è che vi sono alcune divergenze sostanziali tra le predette due versioni, ma su queste testimonianze documentali si faranno note critiche e ricostruzione commentata in seguito.

Dal Libro Ventesimo Ottavo, pag.  198:
<< Mentre che le cose passavano di questo modo a Volterra, il Principe d’Orange venne in isperanza di poter pigliare Empoli, perciòch’egli hauea inteso, che partendo il Ferruccio, quivi non era molto presidio, e che’l nuovo podestà Andrea Giugni huomo ignorante affatto della guerra per altro non u’era stato mandato iniscambio, s non perch’egli era capitalissimo nimico della casa de Medici. Fu data dunque l’impresa a Diego Sarmento, e oltra a suoi soldati bisogni de quali egli era capitano, il Marchese del Vasto gli diede alcune valorose compagnie di soldati vecchi Spagnuoli, e con diligenza provide che fosse menata seco buona provisione d’artiglierie. Poi che dunque l’artiglierie furono condotte, e che tutte le genti giunsero a Empoli, la batteria fu cominciata con questo ordine, che in un medesimo tempo in due luoghi si battesse la muraglia. il Sarmēto con gli Spagnuoli essendosi accampato al fiume Orma, piantò l’artiglierie fra Arno e la terra, e cominciò molto a battere quella parte della muraglia, ch’è e volta a Tramontana. Ma di verso Ponente dirimpetto alla chiesa di Santa Maria il S. Alessandro Vitelli con le fanterie Italiane si mise a combatterla. Da la parte del Sarmento o la prima e principal cosa Calcella Pugliese maestro dell’artiglieria in pochi colpi ruppe le mulina, e le spessò di modo, che opponè dovi uno argine rivolse a man māca un canale d’acqua corrente, il quale voltava le ruote e le macine, e poi empieva le fosse della terra, e perciò le fosse, essendogli tolta tutta l’acqua del fiume, si seccarono, e i soldati Spagnuoli si confidarono di potere entrar dentro da quella parte. Dopo questo essendovisi sparati più di dugento colpi d’artiglieria grossa, la muraglia s’aperse, talche gli Spagnuoli hebbero ardire di passar la fossa, e salire su p le ruine; e cio anchora con minor pericolo, perche la muraglia era spogliata di difese per li molti colpi delle palle e delle archibugiate; pcioche elle volavano sopra la testa di coloro che davano l’assalto, e si sforzavano d’entrare. Ma di gran danno erano a coloro, che cercavano d’entrare, i pezzi grandi della muraglia, che cadeva, e ruinava di fuora, da quali necessario era che molti fossero coperto e oppressi; oltra che le fanterie del presidio, e gli Empolitani anch’essi valorosamente, dove era il pericolo, con picche, e con forcole di ferro ributtavano i nemici, e gli mandavano nella fossa anchor che in quell’abbattimento vi morisse d’un colpo d’artiglieria Tinto da Battifolle, valentissimo capitano, e che già s’affrettassero a fabricar di dentro la trincea, concorrendovi animosamente non pure glihuomini, male donne anchora, a portarvi mattoni, zolle, e travi. A questo modo il Sarmento, veggendo che i soldati con manifesto danno s’affaticavano in un luogo sinistro e molto pericoloso, quasi che fosse per mutar luogo all’artiglieria, fece sonare a raccolta. Il quel medesimo tempo anchora il Vitello poi ch’egli hebbe ruinato un pezzo di muraglia, e ch’ella non era aperta assai per entrare dentro, non volse dar l’assalto, cercando d’entrar per altra via. In questo mezzo Tito Orlandini detto per soprannome il Pollo, il quale era di fuora col Vitello, per mezzo di Pietro Orlandini suo parente luogotenente d’una compagnia Fiorentina, domādò che’l Podestà A. Giugni fosse contēto di venire a parlamento, e uscendo egli fuora sopra le fede publica lo confortò, ch’e non volesse aver più cara la lode della costanza, che salute sua e della terra, poich,egli non havea tante forze di presidio, che si cōfidasse di potere lungo tempo far contrasti a due capitani, che lo combattevano di fuora. Il Giugni a quelle parole cō animo molto superbo rispose, ch’egli era vissuto più di cinquanta anni, et però ch’egli non haveva bisogno di vivere molto più lunga vita, la quale arrecandogli biasimo o d’animo vile, o di poca fede verso la repubblica, potesse vituperare l’antico nome della famiglia de Giugni. Si vedeva però, ch’egli non havea tanto animosamente dette queste parole, che non si conoscessero in lui segni d’animo spaventato e stordito; percioche havendo egli poco dianzi scritto molto spesso a Piero Odoardo Giacchinotti commessario di Pisa, auisandolo che tosto gli mandasse soccorso, e che gli mandasse almeno ttrecento archibugieri, haveva a pena poi havuto da lui una compagnia, ch’era governata dal Borna da Lucca; la quale essendo difficilmente arrivata alla terra combattendo co nimici soldati del Vitello, i primi huomini d’Empoli mossi dalla medesima paura del pericolo loro quella istessa notte, che seguitò il primo assalto di fuora, mandarono ambasciatori al Sarmento, a negotiar l’accordo, dequali era capo Baccino cancelliere de priori, ilquale haveva in guardia tutta la munitione della polvere dell’artiglieria. Costui per quel che si potè considerare, si dicevano che in quello accordo molto sceleratamente s’era covenuto, che glihuomini della terra fossero salvi, e che il presidio fosse a discrezione de gli Spagnuoli. Nel levar del sole Giovan Bandini, il quale io disi, che era rimaso vincitore combattendo in steccato, ch’era col Sarmento, entrò nella terra per le mura rotte dall’artigliera insieme con Lucio Mannelli, per inducere il Giugni podestà a dovere arrendersi quasi col medesimo cōforto, che’l giorno innanzi gli havea fatto il Pollo. Ma havendogli il Giugno fatto l’istessa risposta, poco dapoi gli Spagnuoli facendo uno empito, e non v’essendo nessuno che gli facesse contrasto, entrarono nella terra per le ruine del muro rotto, percioche l’Orlandino importunatamente haveva abandonata la guardia della muraglia, per andare a desinare, anchorche gli contraddicesse l’alfiere, il quale gli mostrava il pericolo certo del nimico, che era per entrare dal quel lato. La quale sceleraggine molti credettero ch’ella fosse fatta, o per vituperosa viltà, o per la fidanza che s’havea nell’accordo fatto, non senza biasimo anchora di tradimento, percioche l’Orlandino temendo d’essere castigato, non ritornò subito alla citta, se non dopo che la repubblica fu domata, e mutato lo stato. Ora gli Spagnuoli entrādo nella terra, si trattennero alquanto nella fossa, essendo eglino talmēte impediti nel profondo, e tenacissimo fango, che fangosi insino alla cintura s’aggrappavano, e aiutati per le mani de compagni passavano le mura. Il primo di tutti fu il Boccanegra, il quale scendendo in casa dell’Orlandino giu per lo tetto, dove erano ricoverate quasi tutte le più nobili donne, e molte matrone Fiorentine per essere piu sicure, le spogliò di tutti gli ornamenti loro, infino a vezzi, le anella, e le corone. Poi i soldati Spagnuoli saccheggiarono l’altre cose, havendo lor commandato Sarmēto che non manomettessero nessun soldato del presidio. Il podestà A. Giugni e l’Orlandino, perche erano di grande autorità appresso i soldati, furono fatti prigioni; e nel medesimo punto di tempo i soldati del Signor Alessandro Vitelli entrarono nella terra, e hebbero la più ignobil preda. Ma il Sarmento poi gli costrinse a uscir della terra, e a ritornare in campo, essendo suvragiunto il Marchese del Vasto, ilquale arrecava tardo soccorso a poveri saccheggiati; ilquale però con quanta auttorità e imperio poteva, vietando i malefici, e salvando l’honore delle donne, consolò grandemente gli Empolitani in quella loro sciagura.

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