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La Chiesa dello Spirito Santo a Serravalle – Silvano Salvadori

CHIESA DELLO SPIRITO SANTO in Serravalle di Empoli

In un territorio in cui l’architettura moderna sembra scomparsa e non produrre nulla di rilevante, dove i pochi interventi di rilievo riguardano le nuove “corti” della finanza, dell’economia, dello svago, si vuol mostrare che ha ancora una dignità la ricerca moderna di uno spazio “sacro”.

La Chiesa di Serravalle è stata la prima nel nostro territorio ad avere la struttura portante costituita dal legno lamellare, il cui progetto risale all’anno 1980 e inaugurata nel Natale 1986.

Non di uno spazio della funzionalità e del profitto a cui viene asservita la creatività estetica, ma uno spazio fatto per il silenzio e l’interiorità, per spiegare, con una ipotesi religiosa, il senso della nostra vita nel mondo: lo spazio religioso è uno spazio protetto in cui l’uomo rilega il suo destino al cielo.

Per illustrare quest’ipotesi è nata l’Architettura, prima ancora della storia e della scrittura. I luoghi della fede vanno indagati soprattutto nelle loro componenti di spazio sacrale, prima ancora che come semplici contenitori di tradizionali configurazioni iconografiche o di luoghi per l’eco di musiche mistiche.

La chiesa nella foto aerea di Google Maps:


L’architettura  certo fra le arti è la più difficile ad essere letta. Ma essa con i suoi percorsi fa dell’utente il protagonista attivo, parla nel silenzio alla persona con segni archetipici, cerchi, triangoli, quadrati, carichi di valenze simboliche.

Noi spesso, pensando solo alla componente della “funzionalità”, ci siamo allontanati da quella interpretazione iconografica e cosmologica che invece le è propria; così ammiriamo un portale romanico, ma non sentiamo più il valore sacrale della soglia o l’ammonimento dell’arco a difesa di tale spazio.

Io credo ancora fortemente a questi magici segni tracciati a terra o nell’aria, evolutisi da quel primo magico tratto dello sciamano che separava ed univa i mondi del sensibile e del soprasensibile, mondo fisico e mondo etico, uniti nella contemplazione mistica di una sognata concordanza.

Lo spazio sacro come spazio tatuato di parole, esplicite o implicite, così come era nella grande tradizione pavimentale e musiva del romanico e come accade, al suo culmine moderno, nella “Sagrada Famiglia” di Gaudì.

Perché l’architettura cristiana è spazio della parola.

Ma leggere l’architettura vuol dire anche leggere le complesse relazioni con la committenza, riflettere sulla dimensione economica, analizzare le soluzioni tecnologiche, le interazioni con il territorio, esaminare gli aspetti funzionali, riflettere sui vincoli degli strumenti urbanistici. L’architetto deve esercitare la sua creatività in una maglia condizionante di vincoli.

Spazio sacro è quello in cui il molteplice si chiarisce; in cui i frammenti dei fenomeni del mondo si fondono e fluiscono, divenendo, da sparse apparenze, unica sostanza; in cui si progetta una Verità nella cui contemplazione si acquieta la nostra frenesia esistenziale. Vi posso assicurare che è anche ricerca di una indicibile gioia.

Partiamo dalla cronaca.

Nel ’79 iniziarono i primi contatti con il parroco Don Paolo Merciai per questa nuova chiesa. Si pensò ad una struttura semplice, prefabbricata, dai bassi costi. Per non cadere nei consueti prefabbricati in cemento, pensai ad una struttura leggera in legno lamellare. Nell’83 il progetto, allargato anche alla costruzione della canonica con locali parrocchiali, era pronto e si presentava come la prima struttura nel nostro territorio che usava questa tecnologia. Preparati i pilastri di sostegno, in soli 15 giorni fu montata tutta la copertura per un costo di soli 170 milioni.

I sette archi a tre cerniere hanno una luce netta superiore a 32 metri e sono strutturalmente indipendenti dai tamponamenti. Calcoli e dimensionamento sono dell’ing. Andrea Morelli. I circa 1000 metri coperti comprendevano in un unico corpo chiesa e locali di servizio. Il costo complessivo è stato di circa 800 milioni e su questo vorrei farvi riflettere: nell’architettura il rapporto costo-qualità è un elemento determinante.

Io intendo il cantiere come una bottega creativa in cui varie competenze si amalgamano, così è  giusto ricordare l’impegno degli operai dell’impresa Paci, ma soprattutto gli amici che hanno collaborato: il prof. Siliano Simoncini con cui si è progettata la pavimentazione e lo scultore Bruno Sodini per la porta d’ingresso, l’ambone e il fonte battesimale.

E’ questa una nota determinante: pensare l’architettura come un insieme di elementi spaziali, pittorici e plastici in una fusione, dove il decoro non è aggiunto, ma è strutturale parte dell’architettura; dove con umiltà, scrutando ciò che sta nascendo, si aspetta, si aspetta che alcune soluzioni emergano da sole, proprio mentre ci si aggira nel cantiere.

Sono stati anni di intense letture bibliche fatte per passione e per dovere professionale, per quella ricercata unione fra architettura e parola.

Qui la parola si deve far pietra, cristallizzare nella materia, divenendo forma e quindi valore estetico e simbolico.

Avevo pensato a questa architettura partendo da alcune suggestioni e considerazioni. L’archetipo del primo Tempio: immagine della tenda sacra che vaga con Mosè nel deserto per conservarvi l’Arca con le tavole della parola-legge; una struttura appoggiata sul suolo, leggera, quasi con l’idea che la si possa smontare per trasferirla altrove. Una forma semplice, umile come avrebbe amato S. Francesco, che affidasse al valore sacrale del legno e alle nervature a vista la sua espressività, che lasciasse trasparire tutto intorno il paesaggio: la “creazione” fatta di colline, alberi e fiume. L’interno mostra una trasparenza gotica che la rende permeabile alla luce (teologia della gioia) e non è un cupo carcere della riflessione. Così mi sono mosso.

Gli stessi pilastri si aprono in un pitagorico ”Y” attraversato dalla luce e dagli archi passanti di legno. Così anche la strada entra dentro, attraverso la porta vetrata secondo l’affermazione: “Io sono la strada”.

E se l’esterno  è semplice (memore dei capannoni voltati della nostre vetrerie), l’interno è prezioso.

La successione argine, fiume, colline (i luoghi della mia infanzia) ha evocato una struttura dalla linea ondulata, che si presenta come una carena rovesciata di nave.

La dedicazione allo Spirito Santo è stato il secondo spunto fondamentale; qui dunque ci troviamo come nel Cenacolo, assisi in assemblea, raccolti in un invaso ottagonale (l’otto è il numero della resurrezione e della vita futura), ci vediamo reciprocamente.

Tutti convergiamo e gravitiamo intorno alla Pasqua-altare (ricordiamo che la messa è la cerimonia della Pasqua che si rinnova, è tempo astronomico liturgico). Da qui il sacerdote guarda verso est il sole che nasce ed attende la luna pasquale. Ho a lungo studiato, senza venirne a capo per la complessità astronomica del calendario lunare, la possibilità di creare una sorta di “cannocchiale architettonico” che inquadrasse questo avvento celeste, facendo scendere la luce in un punto stabilito in quella data fatidica (le colonne esterne nel tempio di Salomone non servivano forse ad inquadrare i solstizi?).

La porta è il Cristo e li è  la croce; l’arco al di sopra la difende “gloria per il vincitore e vergogna per il vinto che vi passa sotto”.

Quadrato e cerchio, in pianta e in alzato, immagini della terra e del cielo: in queste forme si è espressa la conoscenza profonda e sintetica “cementata” nell’architettura monumentale prima che l’uomo giungesse alla conoscenza analitica della scrittura. S. Agostino ci ricorda che l’altare è la tomba dove l’eucarestia-corpo è posta sul lenzuolo-sudario, mentre le cinque croci della consacrazione poste agli angoli della mensa rappresentano le cinque piaghe. Questa trasposizione nei simboli è forse una mia fissazione, ma tutto nella chiesa deve avere “significato”.

E ancora da Giovanni: “Io sono la luce” ed ecco che la luce si concretizza entrando dalle finestre e proiettandosi a terra coi riquadri di marmo bianco, mentre la porta-croce si proietta con la sua ombra in legno d’ulivo verso l’altare, per cui i fedeli percorrono la strada del legno (dalle splendide sofferte venature) per andare a ricevere l’eucarestia.

E sopra la croce-percorso, sono i quattro evangelisti in sagome stellate di marmo, (mancano ancora le previste incisioni dei simboli) mentre intorno all’altare i dodici tondi degli apostoli generano dodici raggi che con stelle convergono verso il Cristo nel centro. (Qui il progetto è stato semplificato: pensavo ad un altare a forma di omega inglobante un fonte battesimale in vetro verde a forma di alfa per ricordare l’unione dell’acqua-battesimale e del sangue- sacrificale.)

Il fonte è stato invece spostato a lato, recuperando un grande vaso di scavo archeologico che è sorretto da una colonna tortile in cotto a due terre. Il coperchio in bronzo presenta tre foglie d’acanto, simbolo di resurrezione e al centro una conchiglia stilizzata con una pietra preziosa.

Prende forma evidente ciò che dice Giovanni: “Tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’Acqua e il Sangue”.

Nell’interno, dunque, sono questi i doni di salvezza fatti all’uomo: doni per l’elevazione spirituale.

Lo Spirito: dietro l’altare in fondo, nella finestra-occhio  in alto; elemento fondamentale nella nostra chiesa-Pentecoste,; infatti lo Spirito è più precisamente detto essersi manifestato come vento e soffio musicale: il fedele potrà vedere il vento nelle nuvole che vi transitano, mentre l’organo sotto effonde i soffi dell’armonia.

L’Acqua:  nel fonte.

Il Sangue:  nella porta-croce di facciata, sotto i cui bracci passiamo per entrare.

Le altre tessiture del pavimento guidano ai percorsi.

La porta ha la larghezza di una canna, come quella del Tempio di Salomone indicata da Dio. All’ingresso le tarsie marmoree ricordano la preziosità dei tappeti usati nelle prime chiese orientali; di questi, poi, i pavimenti musivi son divenuti la trasposizione.

All’esterno dalla porta, verso la strada, parte un’altra articolata pavimentazione che, con flussi incrociati, è come se guidasse e  portasse alla comunità i doni” dello Spirito. Alla conclusione di ogni nastro-percorso verranno poste (ad oggi da concludere) targhe pavimentali con incise le parole dei “doni” dello Spirito (gioia, pace, benevolenza, bontà, temperanza, prudenza, speranza, fede, umiltà, castità, pazienza, sapienza, forza, intelletto) scritte secondo gli alfabeti delle varie lingue sacre adottate (ebraico, greco, latino, italiano), esprimendo così ad un tempo il dono della glossolalia (capacità di intendere e di parlare le lingue). Questi doni, compendiati da me dalle varie letture di testi sacri, vedono in primo piano la Caritas (il dono principale secondo S. Paolo) che infatti sarà scritta sul nastro di pavimentazione che esce, proiettandosi con un triangolo in cotto sul marciapiede, verso la strada.

Consentitemi un ultimo sogno ancora.

La porta deve rappresentare il tema che un antico disegno propone: la croce-albero, asse del mondo, con sopra la Gerusalemme celeste (la grande finestra tonda in facciata). Ai suoi piedi le tre pietre simboliche del Calvario con sopra  le tarsie delle tre piante: fico, vite, melograno, simboli del sacrificio, ma anche della stessa Terra Promessa. Ezechiele dice che la porta del tempio misura “una canna” (come qui) e vi è scritta la frase “Jahweh-sham” cioè “ è il Signore”; ed ancora dice: “dalla soglia del tempio sorge l’acqua”; e qui, sempre in tarsia, sotto la croce sarà riprodotto un mare con dei pesci guizzanti; da questo mare si dipartono i quattro fiumi paradisiaci che corrono nelle varie direzioni e intorno al santuario (questi saranno fatti con mosaico blu incassato a pavimento). Mentre due rivoli lungo il muro frontale della chiesa avvolgono il tempio, altri due si dirigono verso la strada e siccome lungo le sponde , sempre secondo la descrizione biblica, ci sono alberi (pioppi, salici, ecc.) “i cui frutti sono cibo e le foglie medicina”, anche qui gli stessi alberi saranno in due spicchi a mosaico.

Questo  il progetto; riterrei importante offrire ad Empoli un complesso pavimentale che è unico nel suo genere; non inutile abbellimento, ma parola viva: parola ovvero mistica incarnazione dell’idea.

Manca anche il campanile, che vorrei al di là della strada, in asse con la chiesa, sorgere da uno specchio d’acqua da cui, su tre agili montanti parabolici in legno, i tre colori fondamentali salgano in alto, creando una anti-torre di Babele (del resto la Pentecoste permette di nuovo la comprensione fra quelle lingue confuse in Babele) per poi ridiscendere in una varietà di colori tramite una seri di lastre di vetro multicolori, in cui appunto i “diversi” (i tre colori di base) si riuniscono e ricadono in un arcobaleno di linguaggi fraterni. (Ma ancora questo non si è potuto fare).

Così come ora le armonie astratte dei suoni dell’organo si fonderanno in una architettura sonora che parla all’anima prima che alla mente.

Empoli 21-5-98                                                   Arch. Silvano Salvadori

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PORTALE, AMBONE E FONTE BATTESIMALE DELLA CHIESA DI SERRAVALLE

La realizzazione degli arredi della chiesa dello Spirito Santo di Serravalle si devono all’arch. Silvano Salvadori e allo scultore Bruno Sodini; quest’ultimo è stato docente di Plastica all’Istituto d’Arte di Pistoia e poi all’I.S.A. di Firenze. Furono eseguiti per il parroco Don Paolo Merciai.

Il portale è costituito da una grande croce trilobata in acciaio inox con incasso di blocchi di marmo bianco, verde e legno d’ulivo, reciprocamente crescenti e decrescenti verso l’esterno; il tutto su fondo vetrato fumè e trasparente. I maniglioni sono in legno d’ulivo. L’architetto ricorda che furono usati i propri ulivi seccati dal gelo del 1985. Si entra nella chiesa passando sotto i suoi bracci con il battesimo di sangue di cui parla Giovanni. All’interno si prolunga l’ombra di questa croce con l’incasso dell’ulivo venato nella pavimentazione.

Il fonte battesimale è costituito da una grande vaso monolitico in pietra recuperato dal mercato antiquario; poteva essere anche un canopo funerario antico riadattato, nel sec. XVIII, a elemento d’arredo per giardino: nella parte in basso da un mascherone usciva l’acqua.

Il fonte, adatto anche all’immersione, è stato posato su di una colonna tortile modellata in terra refrattaria bianca e rossa, secondo una tipologia romanica. Il coperchio, fuso in bronzo, ha per manici tre grandi foglie di acanto, pianta simbolo della resurrezione; infatti una antica leggenda narra di come un rigoglioso acanto spuntò framezzo una cesta di giocattoli posta sulla tomba di una bimba. Al centro una sezione di conchiglia contiene (ovvero conteneva) un rubino, simbolo del sangue di chi donò vita salvifica rinascendo, come la neoplatonica Venere, dalle acque: il fonte battesimale è l’equivalente del sepolcro di Cristo in cui avviene la resurrezione.

L’ambone utilizza in funzione astile un grande frammento marmoreo archeologico di architettura romanica su cui appaiono sfingi e il monogramma di Cristo; la base è modellata con intrecci di stile romanico, mentre il leggio è ottenuto con il calco di un angelo romanico adattato con decorazioni d’epoca. Sul piano d’appoggio del messale sono incise le prime e ultime parole della Bibbia fra elementi di una scrittura criptica.

Crediamo che queste opere d’arte si affianchino bene al nostro patrimonio artistico sacro empolese.

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