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Claudio Biscarini: Discesa nell’inferno

Avevo giurato a me stesso di non voler vedere mai un campo di concentramento o di sterminio tedesco. Avevo letto troppo sull’universo concentrazionario del Terzo Reich, visto troppe foto di larve umane, letto Levi e Pappalettera, visto troppi documentari di Bergen Belsen e di altri campi e, sinceramente, affacciarsi sempre sull’orlo di quell’abisso non fa bene.  Poi, nel 2004, trovandomi in Austria ho deciso di andare a vedere il campo di Mauthausen. L’esperienza è di quelle che lasciano il segno. Durissimo è stato trovare, su un lungo muro a mo’ di monumento, le fotografie dei deportati dell’8 marzo 1944. Vedere il volto di Carlo Castellani che, per anni, avevo visto sul mobile di camera da letto di sua moglie a Fibbiana, mi sconvolse fino alle lacrime e non me ne vergogno. Mauthausen. Una dura fortezza di pietra,su una collina con un cortile che ti leva il fiato. Attorno la dolce campagna austriaca, con diverse case coloniche che già “allora” non potevano non esserci e, in basso, il paesetto. A Mauthausen già erano stati, male, i prigionieri italiani catturati dopo Caporetto. Alcuni ci torneranno da deportati politici ventisette anni dopo, trovando la stessa pietra fredda della costruzione che avevano lasciato ragazzi poco più che ventenni.

Non era un campo di sterminio, secondo la terminologia tedesca, il campo di Mauthausen I. Questi ultimi erano situati tutti a est, in Polonia. Era un SS –Schutzhaftlager ovvero un campo di detenzione per motivi politici e di sicurezza. Ma era classificato Stube III, ovvero con detenuti non rieducabili, asociali, con gravi pendenze penali. A Mauthausen I, il Lager[1] principale e, soprattutto, nei suoi campi secondari, si moriva come ad Auschwitz. I Lager secondari avevano i nomi di Gusen I e II, Ebensee, Hartheim, Leibnitz-Graz, Peggau e altri. Si moriva impiccati, di fame, costretti a suicidarsi sul filo spinato, buttati giù dalle pareti della cave di pietra della ditta DEST con il Fallschirmspringen, il volo del paracadute, come lo chiamavano le SS. Al campo principale, la DEST era proprietaria della cava Wiener Graben con la tragicamente famosa “scala della morte”. Si moriva nelle gallerie di Gusen a costruire pezzi di armi e velivoli per la guerra tedesca, fermi impalati davanti alla porta principale per ore e giorni, la Tod-oder Strafestehen, si moriva di malattia, dei capricci dei Kapò o delle SS-Totenkopfverbände di guardia, fucilati in massa durante le auf der Flucht, i tentativi di fuga programmati dalle SS. Dal 1941 si moriva di Zyklon B nella camera a gas e di monossido di carbonio nei Sonderwagen, i veicoli a gas voluti dall’SS Obersturmbannführer Walter Rauff, che ritroveremo a Milano all’Hotel Regina il 25 aprile 1945 poi agente della C.I.A. Si moriva negli esperimenti “medici” ad Hartheim o congelati, come ci ricorda la statua del generale di artiglieria sovietico Dimitri Michailowitsch Karbyschew che si trova nel campo, perché denudati a febbraio, si subiva il getto di acqua fredda fino alla morte. Morirono russi, polacchi, tedeschi, austriaci, ebrei, ungheresi, zingari, perfino cinesi e spagnoli, questi ultimi ex combattenti della guerra civile. Morirono preti, testimoni di Geova, cattolici e protestanti, atei e studiosi della Bibbia. Morirono anche prigionieri di guerra a migliaia, soprattutto sovietici ma anche agenti del S.O.E. britannico e dell’O.S.S. americano, soldati catturati in uniforme regolare dei Commandos e delle altre forze speciali alleate. Morirono i destinati all’Aktion Kubel, l’azione pallottola, militari fuggiti varie volte da campi di prigionia o nel programma Nacht und Nebel, ovvero scomparsi nella notte e nella nebbia. Morirono anche tanti italiani.

L’8 marzo 1944, in seguito agli scioperi nelle fabbriche italiane, nel campo di Mauthausen iniziarono ad arrivare i rastrellati. I documenti del campo ci dicono che già l’11 marzo arrivarono 597 italiani provenienti dal Durchslager di Fossoli. Il 13 ne arrivarono 100 da Milano, il 20 marzo 564 da Bergamo. Chi dette l’ordine di deportazione? Il 6 marzo 1944, Hitler emanò un ordine personale nel quale si diceva che il 20% degli scioperanti doveva essere trasferito in Germania a disposizione del Reichsführer SS Heinrich Himmler per essere avviati al lavoro. Il 7 il Generale Plenipotenziario della Wehrmacht in Italia, generale Rudolf Toussaint, firmava un ordine diretto ai comandi militari tedeschi che diceva: Il 20 per cento richiesto deve essere calcolato sulla cifra massima degli operai che hanno partecipato all’ultima ondata di scioperi. La cattura, nella percentuale richiesta, deve estendersi alle singole aziende in sciopero, anche nelle località di provincia. La scelta degli operai da arrestare avverrà in stretto accordo tra il comando supremo delle SS e della polizia e gli alti funzionari della direzione amministrativa dell’Amministrazione  militare (Direzioni generali Armamenti e produzione bellica e Lavoro). Il comandante supremo delle SS e della polizia attuerà sotto la sua responsabilità la cattura degli operai da deportare e il loro trasporto nei campi di raccolta. Bisogna ottenere un’ampia collaborazione della polizia italiana. Gli operai dovranno essere trattati come internati.[2]

Quest’ordine voleva dire deportare circa 70.000 operai! L’industria italiana, che lavorava per la causa bellica tedesca, avrebbe avuto un colpo mortale. Ben lo comprese l’ambasciatore Rudolf Rahn che riuscì a far ritirare questo Führerbefehl. Alle misure già adottate (serrate di fabbriche in sciopero, arresti di organizzatori, occupazione militare degli stabilimenti), Rahn fece aggiungere che si sarebbero arrestati i “caporioni” dello sciopero e inviati in Germania. Secondo alcuni storici, i deportati furono circa 1.200 pari allo 0,5% degli scioperanti. Ma, a questo punto, sembra che siano intervenuti i fascisti della Repubblica di Salò. Saffo Morelli e altri, tra cui diversi prelevati da Montelupo, hanno testimoniato l’assoluta indifferenza degli ufficiali tedeschi di stanza a Firenze di fronte al loro arresto. Anzi, addirittura qualche ufficiale SS voleva rimandarli a casa. Fu il famigerato seniore Mario Carità , comandante del Reparto Servizi Speciali, che li volle spedire tutti a nord, nelle mani dell’SS Standartenführer Franz Ziereis a Mauthausen.

 


Note e Riferimenti:

[1] Lager è una parola boera che vuol dire recinto. Infatti, i primi Lager vennero costruiti dagli inglesi in Sudafrica durante la guerra anglo-boera del 1900.

[2] BA-MA 19X

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