Avevo giurato a me stesso di non voler vedere mai un campo di concentramento o di sterminio tedesco. Avevo letto troppo sull’universo concentrazionario del Terzo Reich, visto troppe foto di larve umane, letto Levi e Pappalettera, visto troppi documentari di Bergen Belsen e di altri campi e, sinceramente, affacciarsi sempre sull’orlo di quell’abisso non fa bene. Poi, nel 2004, trovandomi in Austria ho deciso di andare a vedere il campo di Mauthausen. L’esperienza è di quelle che lasciano il segno. Durissimo è stato trovare, su un lungo muro a mo’ di monumento, le fotografie dei deportati dell’8 marzo 1944. Vedere il volto di Carlo Castellani che, per anni, avevo visto sul mobile di camera da letto di sua moglie a Fibbiana, mi sconvolse fino alle lacrime e non me ne vergogno. Mauthausen. Una dura fortezza di pietra,su una collina con un cortile che ti leva il fiato. Attorno la dolce campagna austriaca, con diverse case coloniche che già “allora” non potevano non esserci e, in basso, il paesetto. A Mauthausen già erano stati, male, i prigionieri italiani catturati dopo Caporetto. Alcuni ci torneranno da deportati politici ventisette anni dopo, trovando la stessa pietra fredda della costruzione che avevano lasciato ragazzi poco più che ventenni.