Sigillo numero VIII estratto da: Osservazioni istoriche di Domenico Maria Manni sopra i Sigilli antichi de’ secoli bassi Tomo Undecimo, Firenze MDCCXXXXII, pagg. 81-89.
Storietta d’Empoli scritta da un empolese – Edizione critica a cura di Mauro Guerrini
Si pubblica la trascrizione digitale della Storietta scritta da un Anonimo Empolese attorno al 1567, edizione critica curata e già pubblicata dal Prof. Mauro Guerrini. Nell’articolo è riportato il testo del documento originale e una profonda analisi storiografica finalizzata ad individuare l’anonimo autore attraverso un’attenta disamina dei dettagli e analisi comparative con altri documenti allora riscontrati fino al 1986.
E’ da sottolineare che vi sono in atto ricerche e indagini di approfondimento rispetto allo stadio di indagine raggiunto dal Guerrini nel 1986 sulle quale si auspica la pubblicazione quanto prima.
Avvertenze: nella trascrizione sono stati inseriti tre distinti errori quali marcatori univoci di questa edizione, in modo da tracciare e smascherare eventuali pubblicazioni digitali non autorizzate;
Fonte: per gentile concessione scritta dell’autore Prof. Mauro Guerrini che ringraziamo pubblicamente;
Pubblicazione cartacea: Storietta d’Empoli scritta da un empolese, Mauro Guerrini, ATPE, Empoli 1986;
Premessa
Empoli nella Storietta
Datazione del Riccardiano 1892
Datazione della Storietta
Copia
Autore
Provenienza
Storia editoriale
Albero genealogico
Descrizione del manoscritto
TRASCRIZIONE DEL DOCUMENTO
APPENDICE A – Passi degli autori citati nella Storietta
VERSIONE ISTORIETTA pubblicata da GIOVANNI LAMI nel 1741 →
Nel momento di dare alle stampe la Storietta, il mio pensiero corre riconoscente a Mario Bini, attivo studioso di storia empolese: a lui devo il suggerimento di occuparmi del manoscritto riccardiano e le prime indicazioni metodologiche circa la sua edizione; avrei desiderato che queste fossero ben maggiori, ma il suo improvviso decesso, nel 1980, lo ha impedito.
Marco Palma, dell’Università di Roma «La Sapienza», mi ha seguito con competenza nell’analisi codicologica e paleografica e, visionando l’originale, mi ha aiutato in punti ove la lettura del testo poteva essere difficoltosa o incerta.
Successivamente consigli mi sono venuti da Maria Prunai Falciani, della Biblioteca Riccardiana (la quale mi ha secondato nelle ricerche sulla provenienza del manoscritto), da Vanna Arrighi, dell’Archivio di Stato di Firenze (che con intelligenza e disponibilità ha rintracciato importanti documenti inediti), da Maria Gioia Tavoni, dell’Università di Pisa (che mi ha proposto alcune linee di svolgimento del saggio introduttivo) e da Giuliano Lastraioli del «Bollettino storico empolese», il quale mi ha fornito informazioni bibliografiche che solo un profondissimo studioso di cose empolesi poteva conoscere.
Piero Tinagli ha condiviso le fatiche della trascrizione del testo dall’originale ed ha curato la grafica del volume.
L’edizione critica della Storietta e stata presentata come tesi in Codicologia presso la Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell’Università degli studi di Roma « La Sapienza » nell’a. ac. 1984-85, relatore Marco Palma, correlatore Arnaldo d’Addario, Preside della Scuola e presidente della commissione d’esame. Ad entrambi va la mia sincera gratitudine, così come va agli altri membri della commissione per le espressioni usate in quella sede.
Empoli, aprile 1986 m. g.
Avvertenze: nella trascrizione sono stati inseriti tre distinti errori quali marcatori univoci di questa edizione, in modo da tracciare e smascherare eventuali pubblicazioni digitali non autorizzate;
Fonte: per gentile concessione scritta dell’autore Prof. Mauro Guerrini che ringraziamo pubblicamente;
Pubblicazione cartacea: Storietta d’Empoli scritta da un empolese, Mauro Guerrini, ATPE, Empoli 1986;
Il codice 1892 della Biblioteca Riccardiana di Firenze contiene, alle cc. 70r-77r, la Storietta d’Empoli scritta da un empolese, il più antico manoscritto conosciuto redatto con l’intento di narrare gli avvenimenti storici di Empoli e del suo territorio.
A questo testo hanno fatto riferimento tutti coloro che si sono occupati del problema delle fonti storiche empolesi: storici come Lami1, Lazzeri2, Pierrugues3, Figlinesi4, Targioni Tozzetti5, Chiarugi6, Fontani7, Repetti8, Guerrazzi9, Bucchi10, Giglioli11, Masi12 ed altri, ed inoltre storiografi come Lastraioli13 e Bini14.
La Storietta si articola in due parti: ricostruzione degli episodi principali dalle origini fino al 1530 (cc. 70r-71v); resoconto ed analisi degli avvenimenti relativi alla presa d’Empoli del 29 maggio 1530 e del sacco che ne segui ad opera delle truppe imperiali, comandate dal Marchese del Vasto e formate da due contingenti, per un totale di circa quattromila uomini: uno composto da spagnoli, capitanato da Diego Sarmiento, e uno da italiani, capitanato da Alessandro Vitelli. Non si tratta, quindi, un compendio di storia empolese, quanto piuttosto di una ricostruzione dettagliata della « presa d’Empoli » motivo principale – se non unico – che ha spinto l’autore a scrivere la Storietta a distanza di circa quarant’anni dall’accaduto.
La prima parte denota una notevole conoscenza di fonti archivistiche e storiche dovuta presumibilmente alla familiarità dell’autore, rimasto a tutt’oggi anonimo, con le carte conservate presso l’Archivio capitolare.
La seconda è caratterizzata dalla particolare enfasi con cui egli vuol dimostrare che la caduta di Empoli – fedele roccaforte fiorentina, situata in un luogo strategico, quasi alla stessa distanza tra Firenze, Pisa, Siena, Pistoia, Lucca – non fu dovuta al « poco valore » dei « terrazzani », bensì al tradimento dei suoi capi, cioè ad Andrea Giugni, commissario militare dei Dieci di Balia e successore di Francesco Ferrucci (partito alla volta di Volterra) e a Piero Orlandini, capo di una compagnia di milizie della Repubblica fiorentina stanziate ad Empoli.
L’autore si sente irritato dalla lettura delle opere di alcuni storici che, nelle loro trattazioni, parlano dell’avvenimento in modo deformato o lacunoso: Alberti15, Guazzo16, Giovio17; ad uno di loro, il Guicciardini18, l”autore della Storietta « non perdona », sia perché, essendo cittadino fiorentino, aveva la possibilità di documentarsi meglio, sia perché e colui che ne parla con maggiori inesattezze.
« . . . posta in mezzo a grosse terre e città »
Nelle prime cane l’autore descrive la peculiarità del luogo con ampi riferimenti agli elementi geografici: le colline intorno a « rappresentare una bella ghirlanda ».
l’Arno, fiume che porta « non piccola utilità » in quanto fonte e strumento di attività economica ed elemento centrale e vissuto quotidiano utilizzato « ne’ tempi estivi » da chi vuole « esercitarsi al nuoto ›> (c. 70r).
L’autore descrive, quindi altre caratteristiche di Empoli: essa è «posta in mezzo a grosse terre e città che attorno la circondano e pe’ i loro traffichi tutte vi concorrono», per cui il mercato che vi si svolge settimanalmente rappresenta un polo economico che rende questa terra «celebre in tutta Toscana». Parla anche delle origini; non conosce i primordi, tuttavia non condivide «l’opinione d’un moderno» che propone di farla risalire a Desiderio, re dei longobardi, perchè quantunque Desiderio avesse emanato un editto col quale stabiliva di edificare alcune città, non poté certo edificare Empoli per le guerre avute con Carlo» Magno e la sua successiva prigionia « in Francia ». Un secondo motivo per cui l’autore ritiene infondata l’ipotesi è « che gli antichi giudicavano gran fortezza edificare su monti e non ne’ piani, com’Empoli ». Egli, molto più semplicemente, è propenso a ritenere « Empoli essere stato edificato dagl’indigeni aiutati dalla gran frequenza de’ faccendieri, i quali ogni otto giorni si ragunavano, e come anco oggi fanno » (c. 72r)19. Interessanti sono anche le notizie sull’etimo di Empoli: contestando l’ipotesi del Giovio (che voleva farlo derivare dal latino Empolis) l’autore interpreta « Emporium come nome cavato dall’etimologia del vocabolo del mercato, che in tal luogo si faceva20 ».
Dopo le descrizioni geografiche e ambientali a partire dalla c. 71r, l’autore concentra la sua attenzione sugli avvenimenti del 29 e 30 maggio 1530, descrivendo la cronaca dettagliata degli episodi che caratterizzarono quei giorni.
1 Deliciae eruditorum . . . [51], p. 15-35.
2 Storia di Empoli / di Luigi Lazzeri [59], p. 5-10; 39-49. Ora disponibile anche in ristampa anastatica [58]. Il manoscritto del Lazzeri fu pubblicato anche a puntate su « La voce dell’operaio » dal 1867; per la cessazione delle pubblicazioni, uscirono solo i capitoli iniziali.
3 Francesco Ferruccio e la guerra di Firenze del 1529-1550 / A.D. Pierrugues [76], p. 373-579.
4 Notizie di famiglie empolesi / Ercole Vittorio Figlinesi [53]. La citazione dei fatti del 1550 è sul n. 2, p. 189-190. L’opera è uscita anche in volume[34].
5 Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana . . . / dal dottor Giovanni Targioni Tozzetti [91], tomo 1, p. 46-58, in particolare, p. 52-58. Si veda anche la seconda edizione [92], tomo 1, p. 70-86, in particolare p. 79-86.
6 Della storia d’Empoli / di Vincenzio Chiarugi [55]. Ora disponibile anche in ristampa anastatica [24].
7 Viaggio pittorico della Toscana / Francesco Fontani [55]. Ora disponibile anche in ristampa anastatica [38].
8 Dizionario geografico fisico storico della Toscana… compilato da Emanuele Repetti [78], vol. 2, p. 55-68. L’opera è ora disponibile in riproduzione facsimilare [79].
9 Vite degli uomini illustri d’Italia . . . / di F.D. Guerrazzi [49], vol. 2, p. 589-590.
10 Guida di Empoli illustrata / Gennaro Bucchi [14].
11 Empoli artistica / Odoardo 1-1. Giglioli [41], p. 17-19. Ora disponibile in edizione facsimilare[42].
12 Empoli nelle gesta fiorentina del 1529 e del 1530 / Corrado Masi [66], p. 119-154.
13 Nel 427.mo anniversario del sacco di Empoli / Giuliano Lastraioli [55]. Cf. anche la nota introduttiva al Della storia d’Empoli / di Vincenzio Chiarugi [24].
14 Il Un nome da dare all’anonimo autore della « Storietta » d’Empoli / Mario Bini [8], p. 299-326.
15 Nonostante ricerche compiute tra le opere di Fra Leandro Alberti conservate nelle biblioteche fiorentine e di altre città, non abbiamo rintracciato alcun passo relativo ai fatti del maggio 1530, Empoli viene citata in: Descrizione di tutta Italia [2], c. 46v (ed in altre numerose edizioni successive) come posta sulla riva sinistra dell’Arno.
16 Historie di M. Guazzo di tutti i fatti degni. . . [47], p. 126v.
17 Pauli Iovii novocomensis episoopi nucerini historiarum sui temporis [44], Tomus secundus, 123, 127« 129. Cf. anche [45] e [46]. Il testo clelfedizione Bonelli, 1560 [46] è apparso anche sul « Bullettino storico empolese » del 1967, n. 4.
18 Dell’historia d’Italia di M. Francesco Guicciardini .. . [50] p. 443.
19 Molto opportunamente il Fontani, diversamente da altri storici o eruditi che hanno cercato di indagare e di giustificare la nascita di Empoli, afferma che « sarebbe vano il pretendere di rintracciare la prima origine di questa Terra nel bujo enorme di tempi remotissimi, tanto più che mancano autentiche testimonianze, onde poterla con sicurezza determinate » ([35], p. 129). Notizie si possono leggere anche in: Scavo di salvataggio nel centro storico di Empoli … / Fausto Berti [5] p, 173-179. E in: Mostra archeologica del territorio di Empoli [72]. Per osservazioni critiche sui saggi contenuti in questo catalogo, si veda: Storie e storielle / Censor [22] 123-132.
20 Il problema, dibattuto ma non risolto, ne attualmente risolvibile, e affrontato nel saggio: Come e perché Empoli / Agostino Morelli [71], p. 113-128. L’ipotesi più apprezzabile sul piano etimologico resta quella di Pieri: Toponomastica della Valle dell’Arno / S. Pieri [75, p. 374, che richiama « un germanico impo dal Bruckner (Die Sprache der Longobarden [12], p. 270), di cui potrebbe Empoli continuar la solita forma diminutiva ». Cf. anche la voce Empoli in: Stemmi toponimi dei comuni della provincia di Firenze [89], p. 162-161.
Datazione del Riccardiano 1892
La Storietta è trascritta in un fascicolo di otto carte. Il testo, contiene pochissime correzioni. Sulla carta 70r appare il titolo Storietta d’Empoli scritta da un empolese e sulla carta 77r un altro titolo Storietta a penna d’Empoli scritta da un empolese della stessa mano, cui non segue alcun testo 22. L’attribuzione della prima numerazione, di mano tardo seicentesca o settecentesca, coincide probabilmente con la composizione del codice miscellaneo, La numerazione moderna coincide: essa risale al 1971, anno in cui il codice fu parzialmente restaurato proprio nella parte contenente la Storietta, poiché presentava segni di corruzione della carta, dovuti all’acidità dell’inchiostro, Nonostante l’intervento conservativo in alcuni punti, soprattutto alle cc. 75-77, il manoscritto risulta di difficile lettura. In occasione del restauro il codice fu ovviamente scomposto e la coperta sostituita con una nuova23.
L’unica filigrana rinvenuta, riscontrabile alle cc 71, 73, 75 77 si compone di tre cerchi in successione, del diametro di circa venti millimetri, con entro al cerchio centrale un cerchietto più piccolo, del diametro di circa cinque millimetri e, al terzo, in basso, una cifra a forma di uno, capovolta. In alto vi è un segno interpretabile come una corona e in basso vi sono due lettere, M D 24.
21 L’ultima carta contenente il testo, la 76r presenta una scrittura molto veloce: le parole occupano molto più spazio e la distanza tra le righe è sensibilmente maggiore rispetto a quella delle pagine precedenti.
22 Perché questo secondo titolo? Possiamo avanzare almeno due ipotesi: 1) L’amanuense voleva utilizzare come l’ultimo foglio come copertina del codice; girandolo, infatti, esso può servire come foglio di copertina. Questa, tuttavia, sembra un operazione difficilmente giustificabile. 2) Si tratta di una titolazione finale, una sorta di colofone con cui termina spesso il manoscritto, presentando anche alcune varianti rispetto all’intitolazione iniziale.
23 Notizie fornite dalla direzione della Biblioteca Riccardiana.
24 La filigrana non compare tra quelle segnalate in: Les filigranes . . . / CM. Briquet [11].
La lettura critica della Storietta ci introduce all’interno dello spinoso problema della datazione del testo. Sulla base di riferimenti interni, possiamo affermare che esso è stato redatto attorno al 1567: non vi è, però, nessuna data sul manoscritto o altrove che possa permettere di stabilirlo con certezza. L’autore ci fornisce almeno quattro punti di riferimento precisi, che tuttavia non trovano conforto in altre fonti dell’epoca o successive.
La Storietta viene scritta ottanta anni dopo la costruzione del terzo cerchio delle mura (« Le mura che si veggono sono da 80 anni in quà fatte dalla Rep. Fiorentina», c. 71v). Una lapide sulla Porta Pisana testimoniava che esse erano state erette nel 1487 25.
Parlando delle antiche origini di Empoli, l’autore offre un secondo riferimento: da notizia del rinvenimento, avvenuto quarant’anni prima, di « una piramidetta alta una spanna. Era di marmo, e avea nel fondo una medaglia, che pareva fatta di nuovo colla celata in testa, diceva Nausilverio » (c. 71v). Non essendo rimasta traccia del ritrovamento della « piramidetta » in registri capitolati, note d’archivio, testimonianze di autori o altro, questo argomento non assume alcuna importanza ai fini della datazione del testo. Così pure è irrilevante il riferimento a «Fabbrizio di Monterappoli che ancor oggi vive », del quale, eccetto la menzione in tre luoghi della Storietta 26, non sono state rintracciate altre notizie (tra cui la data di morte), sebbene si comprenda che il personaggio dovette aver assolto ruoli di una certa importanza nell’ambito della guarnigione stanziata a Empoli.
A c. 71r vi è il quarto e più discusso riferimento: « Era in tal luogo, come io ho trovato, già mille cento sei anni circa, una Pieve intitolata S. Andrea ». Anche questa data non offre un termine sicuro di riscontro. La frase, apparentemente chiara, si presta a un’interpretazione ambivalente: la Pieve esisteva da 1106 anni (cioè dal quinto secolo), oppure essa fu eretta nel 1106? Lami, pur senza la convalida di documentazione, propende per la prima soluzione. « Ecclesia Plebis S. Andreae Empoli antiquissima merito reputatur. Si quis eius construtionem Seculo quinto consignat, non contradixerim»27. L’unico dato certo è che la Storietta e stata scritta dopo il 1564, anno della pubblicazione de Dell’historia d’Italia del Guicciardini.
25 La lapide e andata distrutta durante il passaggio della seconda guerra mondiale, insieme alla Porta stessa. Pogni, nel 1910, scriveva: « Il nome è stampato in nero sotto l’arco della porta, nella muraglia che rimane a sinistra di chi entra in Empoli per la porta medesima, e la data è incisa sull’arco, dal lato estremo. Al di sopra del millesimo trovasi una targa di pietra che sostiene lo stemma Mediceo, scolpito a basso rilievo, da cui e scomparsa ogni traccia dell’iscrizione incisavi. La Porta Pisana, come si sa, venne sostituita alle due antiche porte del Noce e di S. Brigida; e l’anno 1487 rammenta l’epoca della sua costruzione». Le iscrizioni di Empoli / Olindo Pogni [77], n. 684. Il 1487 non è, però, la data effettiva dell’ultimazione della costruzione delle mura, ma la data che l’autore della Storietta presumeva: in questo senso la data è attendibile. La lapide sulla Porta pisana indica, quasi certamente, l’anno in cui fu terminata l’edificazione di un lungo tratto, comprendente anche la Porta. La costruzione delle mura inizia nel 1453 e termina circa nel 1507. Secondo il Manni (Osservazioni istotiche [64]) le mura furono terminate nel 1499. Nel Campione beneficiale A., c 11r, troviamo invece scritto che la Storietta risale al 1580 (« che circa l’anno 1580 scrisse la storia dell’assedio d’Empoli »).
Il problema può essere approfondito in: Le mura di Empoli / Mauro Ristori [81], e in: Fatti e vicende della ricostruzione delle mura di Empoli / Vanna Arrighi, visionato in bozze e di prossima pubblicazione sul “Bullettino storico empolese”.
26 Fabrizio da Monterappoli viene citato a c. 74r in quanto persona che, insieme ad altri, cattura un fanciullo « che spesso della Terra nostra usciva, e spesso entrava » per consegnare messaggi sospetti all’Orlandini. A c. 75v; «Trovavasi appresso di Orlandino, Fabbrizio Monterappoli molto suo familiare », il quale rappresentandogli il rischio insito nell’«andarsene dalla porta e aprirla e metter dentro il presidio del Campo amichevolmente», si sente rispondere: « Puttana di . . . fate quel che vi è detto ». A c. 76r come colui che riferisce a Francesco Ferrucci della codardia del Giugni. Il suo nome non compare nell’elenco Capitani e uomini d’arme che militarono per la Repubblica di Firenze nella guerra del 1529-1530, riportarono da Pierrugues [76], p. 483 e sgg. Fabrizio di Tommaso Fabrizi da Monterappoli è protagonista di due atti di procura stipulati uno il 14 aprile 1573 e l’altro il 5 maggio 1574. In questi atti e detto che egli è sacerdote della chiesa fiorentina ed abita a Monterappoli. Cf. ASF, Notarile moderno, 2508, c. 24 e 107. Devo queste notizie a Vanna Arrighi.
27 Sanctae ecclesiae Florentinae monumenta / ab Ioanne Lamio composita et digesta [52] Tomo IV, C. 101.
Il codice Riccardiano non è il manoscritto originale, bensì una trascrizione tardo cinquecentesca o seicentesca compiuta senza il controllo dell’autore. Possiamo corroborare questa affermazione basandoci su aspetti esterni, ma soprattutto interni al codice stesso.
Nel testo, infatti, vi sono espressioni di significato poco chiaro per dimenticanza o incomprensione di parole da parte del copista. A c. 70v, riga 5, nel contesto della trattazione sulla ubicazione geografica di Empoli, leggiamo: « . . . e tra Pistoia e Firenze, Prato, sebbene non città, seno grosse e tutte le suddette terre vi concorrono per i loro traffichi ». Il testo e decisamente oscuro: la difficoltà di comprensione ha addirittura consigliato al Lami e al Pierrugues, già editori della Storietta, di omettere seno grosse e di aggiungere ma terra grossissima, e al Lazzeri di omettere l’intera frase. Considerata all’interno dello stile letterario della Storietta questa frase risulta poco omogenea. Il livello espressivo dell’autore non è certamente eccelso, ma neppure così confuso come in questo luogo.
L’eventualità però, che la frase sia un inciso o un « addendum » presente nell’originale, mal compreso da un precedente copista, o addirittura non chiaramente e definitivamente inserito dall’autore nell’esatta collocazione può essere legittima, seppure con scarsissime probabilità. A c. 72v, riga 35, più e dire sono aggiunti in esponente di ardisco e di avuto e, più avanti, alla riga 35, è viene aggiunto in esponente a millantalore, A c, 75v, righe 20-21, pezzi di è trascritto due volte, alla fine della riga 20 e a capoverso della riga 21 (cancellata quest’ultima).
A c. 75r, righe 11-12, compare l’espressione adoperando in ciò un . . . . aio di quattrino da Empoli, e un ser Buccino da Cascina. Doveva comparire il nome di un empolese, quello di Niccolaio (o Niccolò) di Quattrino, come scrive il Varchi28.
La considerazione fondamentale e che il copista non ha compreso il nome e ha trascritto solo ciò che aveva letto, sostituendo con alcuni puntini il resto della parola. Se questo codice fosse l’originale o una copia commissionata dall’autore non avrebbero dovuto comparire i puntini di sospensione seguiti da tre vocali 29.
Può darsi che si tratti di una copia intermedia, in attesa della revisione da parte dell’autore: il copista avrebbe potuto, cioè, aggiungere il nome in un secondo tempo, una volta decifrato o chiarito dall’autore; lo spazio lasciato (solo un centimetro) non avrebbe permesso alcun inserimento. L’autore (0 il copista incaricato dall’autore) non avrebbe mai scritto . . . . . aio neppure se avesse approntato un certo numero di copie e neppure nel caso avesse voluto omettere il nome. La mancata trascrizione del nome, certamente noto (citato correttamente da Varchi), dimostra anche che il copista non aveva una buona conoscenza di fatti e documenti: nel decifrare un nome che non riusciva a leggere, avrebbe ben potuto documentarsi altrimenti o aiutarsi con qualche altro espediente.
Più avanti, invece, (c. 75v) i tre puntini di sospensione che seguono Puttana di . . . sono più giustificabili: l’imprecazione (forse blasfema), e rivolta a Fabrizio da Monterappoli. L’autore poteva aver lasciato all’ovvia intuizione del lettore il seguito del rabbioso epifonema30.
Stabilire la data di trascrizione di questa copia, l’unica individuata, è assai difficoltoso. Nell’arco di tempo che va dalla seconda metà del secolo XVI (periodo in cui è stato composto il testo), alla prima metà del secolo successivo (periodo in cui il manoscritto risulta descritto) in gran parte dell’Italia la scrittura non presenta elementi distintivi tali da poter essere facilmente riconoscibile come tipica di un luogo o di un particolare periodo. La grafia del manoscritto (che può rientrare tra i diversi esempi della cosiddetta bastarda italiana, inaugurata dal Cresci intorno al 1560)31 è assai movimentata, « tracciata con penna a punta sottile, molto inclinata a destra, con aste lunghe e ingrossate alle estremità quelle alte e con lunghi svolazzi quelle basse » 32 . La mano si dimostra esperta, di un’abitabilità comune per una persona che aveva familiarità con la penna, ma non di un calligrafo professionista. Né da un esame di natura grafica, né sulla base della filigrana possiamo, quindi, datare la trascrizione del manoscritto. La considerazione, però, che la filigrana non si trovi citata nel Briquet rende plausibile l’ipotesi che si tratti di una copia seicentesca 33.
28 ll nome Niccolò, infatti, variava comunemente in Niccolaio, e questa, con ogni probabilità, è la parola che si trovava nel testo usato dal copista per questa trascrizione. Il Varchi, non soltanto riporta il nome di « Ser Baccio cancelliere» e di « Niccolò di Quattrino », ma anche quello di un terzo membro della delegazione, Francesco di Tempo (cf. anche F. D. Guerrazzi, [48], p. 565, 570 e seguenti). Non sappiamo chi fossero Niccolò di Quattrino e Francesco di Tempo. Ser Baccino (o Ser Baccio) era il cancelliere della comunità: a lui si deve una tarda riforma (1520) degli statuti empolesi del 1428, pubblicati in: Empoli : statuti e riforme [29]. Aver indicato i tre nomi e segno evidente che egli disponeva di fonti di prima mano, costituite principalmente dalla documentazione dell’Archivio mediceo. Sicuramente conosceva il carteggio di Francesco Ferrucci, perché appena citati i nomi dei tre empolesi, più avanti, parlando del Commissario fiorentino, scrive « . . . come aveva scritto il Ferruccio ». Varchi conosceva la Storietta ?
29 Mario Bini [8], basandosi sulla trascrizione del Pierrugues, asserisce che la locuzione va letta « Ricco » (seppure sia scritto con la r maiuscola), diminutivo di Enrico, non Niccolò.
30 A c. 75v, ultima riga in margine a destra, inoltre, le parole levate grida sono ripetute due volte, senza essere cancellate, (la seconda sotto perché), ma non appaiono a c. 76r.
31 Esemplare di più sorti di lettere… [26]. Cf. Lezioni di storia della scrittura latina / Armando Petrucci [74], in particolare: p. 130.
32 Lineamenti di storia della scrittura latina / Giorgio Cencetti [19], in particolare: p. 344-348. Cf. anche: Paleografica latina / di G. Cencetti [20], p. 151. Notizie dettagliate in: Trattati di scrittura del Cinquecento italiano / di Emanuele Casamassima [18], in particolare: p. 61-81.
33 La copia presente in Riccardiana è l”unica conosciuta. Ricerche compiute presso quegli istituti (archivi e biblioteche) che potevano essere presumibilmente depositati di altri esemplari hanno dato esito negativo: Archivio storico di Empoli, Archivio storico ecclesiastico di Empoli, Archivio di Stato di Firenze, Archivio di Stato di Pistoia, Biblioteca comunale di Empoli, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Biblioteca Mediceo-Laurenziana, Biblioteca Marucelliana, Biblioteca Universitaria di Pisa, Biblioteca Fonteguerriana di Pistoia (ed altre della città). Ciò non esclude, pero, che una copia possa trovarsi altrove o, addirittura nei fondi degli archivi e delle biblioteche elencati. La ricerca, per ovvi motivi, è stata condotta sugli inventari degli archivi e sui cataloghi di biblioteca, che segnalano comunemente (come nel caso degli istituti consultati) solo monografie, e non anche opere contenute in volumi miscellanei.
Nella storiografia empolese la Storietta presenta un interesse particolare perché non ne e stato finora individuato l’autore. Il primo ad occuparsi del problema è stato Giovanni Lami, bibliotecario della Riccardiana, il quale, parlando della storia di Empoli, non trova di meglio che citare una lunga relazione inedita, attribuendola ad un « Anonimo scrittore », considerato un’ottima fonte « che mostra grande amore per la libertà, e non poco giudizio in questa sua ‘istoria’ » 34. Anni più tardi, lavorando alla redazione del Catalogo della Riccardiana, intesta l’opera ad un titolo da lui attribuito Historia di Empoli, seguito dalla segnatura del manoscritto S. II.4 35, dimostrando così di non aver risolto la questione nonostante avesse avuto modo di indagare sull’autore durante la sua permanenza a Empoli, dove si era recato per compilare i regesti delle pergamene conservate nell’Archivio capitolare e successivamente utilizzate nei suoi Sanctae ecclesiae florentinae monumenta.
Occorre attendere oltre due secoli perché un altro studioso si occupi dell’autore. Nel 1972 Mario Bini tentò di dare una risposta all’enigma in Un nome da dare all’anonimo autore della «Storietta d’Empoli»36. Pur con le limitazioni nella ricerca delle fonti (costituite esclusivamente da documenti dell’Archivio storico ecclesiastico empolese) 37, e per le deduzioni, peraltro presentate in forma provvisoria e dubitativa”, questo saggio rappresenta un punto di partenza obbligato.
Eliminata subito la possibilità, già avanzata, di ravvisare l’autore nel notaio empolese Giovanni Guidi che « altro non può essere che il frutto di una suggestiva ipotesi » 39, Bini trae dal testo alcuni elementi che definisce certi e li assume come presupposti ad ogni successiva indagine, senza però riscontrare la intrinseca validità. Dopo aver analizzato circa centoventi nominativi maschi battezzati nella parrocchia di S. Andrea, restringe a tre la rosa dei candidati (Bartoloni, Zeffi, Tani), propendendo per il nome di Sebastiano Tani, Proposto della Collegiata.
Secondo le nostre considerazioni l’autore non doveva essere uno storico: molto probabilmente scrive questo testo occasionalmente, come testimonianza rivolta a chi poteva scrivere di storia, in modo da fornirgli i dati esatti di come si svolsero i fatti. Se fosse stato uno storico o fosse autore di altri saggi, il suo nome non sarebbe certamente sfuggito al Lami o ad altri eruditi, seppure si fosse nascosto sotto l’anonimato.
Dalla lettura della Storietta non si deduce che l’autore sia nato a Empoli: non possiamo infatti escludere l’ipotesi che sia nato altrove e che sia giunto in « questa terra » all’età di pochi anni. Non è neppure certo che, sebbene « empolese », sia stato battezzato al fonte di S. Andrea, dal momento che, durante il XVI secolo esistevano altri fonti battesimali nelle chiese di Monterappoli e di Pontorme40. Il libro dei battesimi di S. Andrea 41, nonostante il suo valore documentario, è, infatti, valido solo nell’ipotesi che l’autore sia nato a Empoli e sia stato battezzato in S. Andrea.
Anche il registro dei morti non ha un valore probante, dato che l’autore poteva essere nato e cresciuto a Empoli e, in età imprecisata, essersi allontanato ed aver scritto la Storietta altrove: niente prova che essa sia stata redatta in loco. Il titolo del manoscritto, tuttavia, dichiara espressamente che l’autore è un empolese. Egli afferma di aver «trovato » documenti circa la fondazione della Pieve di S. Andrea (c. 71r), segno evidente che può accedere alle carte dell’Archivio capitolare, del quale cita alcuni documenti lì conservati, come, ad esempio, l’Istrumento del 1119 (c. 71v)42. A conferma della sua asserzione circa il restauro della facciata di Andrea, adduce «i versi nell’architrave sotto il frontespizio» (c. 71v) dimostrando così di conoscere il latino.
L’interesse per la sua patria è testimoniato anche dalla lunga disquisizione sull’etimologia di Empoli (c. 72r).
E’ a conoscenza della letteratura sulla « presa » d’Empoli, intende render giustizia di come si svolsero realmente i fatti e desidera valorizzare il coraggioso comportamento dei « terrazzani e dei rifuggitivi », nonché « l’onor di pochi soldati» che la difesero (c. 74r). Afferma di aver verificato più volte, a distanza di tempo, la dinamica degli avvenimenti (« siccome ho poi mille volte a grand’agio misurato» c. 73v) per contestare il comportamento vile del Giugni e dell’Orlandini.
Scrive che non avrebbe intrapreso «questa fatica s’ella [la presa d’Empoli] fusse stata scritta fedelmente come fa il Giovio » (c. 72v); avrebbe accettato anche che fosse stata scritta in modo « non veritiero » da storici non toscani, come Marco Guazzo, che « dice Empoli fu presa per forza; ma a costui io perdono volentieri essendo egli dell’ultime parti di Lombardia e simil dico di Fra Leandro », bolognese, in quanto essi se « ne stettero all’altrui relazione ›> (c. 72v). Ma poiché « il Guicciardino dice anche Empoli fu preso per forza [. . .] a costui si può difficilmente perdonare, perché sendo Fiorentino, se bene in tal tempo era in negozi col Papa, poteva informarsi del vero » (CC. 72V-73r)43.
Indica la sua eta al 29 maggio 1530: « fanciullo d’anni quattordici » (C. 75r) e informa di avere una sorella, un fratello minore, la madre; non fornisce indicazioni sul padre o su altri parenti44. Non dà indicazioni circa la sua professione e la sua condizione al momento in cui scrive, cioè intorno al 1567. Riassumendo, i requisiti dell’autore sono: è empolese, è di sesso maschile, è nato nel 1516 (il 29 maggio 1530 ha quattordici anni), ha in vita, a quella data, almeno la madre, una sorella ed un fratello, è vivente in data successiva alla prima edizione di Dell’historia d’Italia del Guicciardini, pubblicata nel 1564 45.
Seppure le nostre non possono rimanere che considerazioni esterne al documento, si possono enunciare alcune ipotesi che delimitano ad uno solo il possibile autore del testo. Dopo una ricerca attenta, possiamo escludere definitivamente i nominativi di Domenico Bartoloni e di Sebastiano Tani. Entrambi nascono a Empoli nel 1516, sono battezzati al fonte di S. Andrea, provengono da uno specificato ceppo familiare 46. Domenico di Bastiano d’Antonio Bartoloni nasce l’8 marzo 1516, ha un figlio nel 1552 al quale viene dato il nome di Domenico 47, non sappiamo la data della sua morte. La famiglia proviene da Capraia e risiede in Empoli dalla fine del XV secolo, dopo il trasferimento di Antonio, nonno di Domenico 48.
I Bartoloni esercitano il mestiere di tessitori e rientrano nel ristretto numero delle famiglie più agiate. Essi hanno lasciato poche tracce di sé 49: Domenico aveva fratelli e sorelle, ma per essere un laico ed esercitare una modesta attività (non conosciamo neppure se sapesse leggere e scrivere) la sua candidatura pare difficilmente sostenibile 50.
Sebastiano Tani, figlio di Lazzero di Bastiano, nasce il 12 aprile 1516 e muore il 28 giugno 1598 51. I Tani si trasferiscono a Empoli agli inizi del Quattrocento, provenienti da Campo Collese, sui colli di Spicchio, una frazione del Comune di Vinci; alcuni si insediarono a Vitiana, altri a Bassa ed in varie località delle vicinanze; altri ancora nel castello di Empoli, dove si dettero all’attività di « spetiali », con un negozio, dal tempo di Lazzero Tani, nei pressi di Porta Pisana 52.
Sebastiano, avviato alla carriera ecclesiastica, nel 1531, all’eta di quindici anni, consegue il beneficio della cappella di S. Maria Maddalena nella Chiesa di S. Cristina a Pagnana Canina; fanno successivo, giovanissimo, diviene canonico. Nel 1536 ottiene il beneficio della cappellania di S. Ivo nella Pieve e, nel 1546, quella di S. Iacopo nella prioria di S. Michele a Pontormo. Il 26 giugno 1561 si laurea in diritto canonico all’Università di Pisa, dopo aver studiato anche a Bologna 53. Il 24 maggio dello stesso anno era stato nominato Proposto (succedendo a Ronconcelli, del quale fu coadiutore per diversi anni)54 carica che ricoprì fino alla morte 55.
Bastiano Tani, però, è da escludersi 56 sia perché non ha sorelle 57, sia perché la sua forte personalità e il desiderio di lasciare tracce del suo operato, fanno ritenere che avrebbe firmato il testo 58.
Le nostre conclusioni portano invece a focalizzare l’attenzione su Iacopo Zeffi, nato il 2 ottobre 1516 e morto nel 1587. La sua più puntuale vicenda biografica, svolta alla luce di documenti inediti e finora inesplorati, porta a concludere che lo Zeffi, se non fu l’autore del testo, e tuttavia il solo che avesse motivi e possibilità per stendere un’opera, quale la Storietta, scritta da un testimone oculare e da persona che aveva libero accesso ai documenti dell’Archivio capitolare. Membro di una delle più autorevoli ed agiate famiglie empolesi (che godeva da tempo della cittadinanza fiorentina, privilegio di pochissime) 59, Jacopo possiede i requisiti familiari dichiarati dall’autore della Storietta a, c. 76r; ha almeno una piccola sorella (da individuarsi in Francesca, 1522-1582?) e perlomeno un minor fratello.
In realtà Jacopo ha (o ha avuto) quattro sorelle: Maddalena (n. 1505), Maria (n. 1507), Piera (n. 1510) e Francesca, e due fratelli: Giovanni Battista (1519-1574) e Tommaso (1526-1608). Un nucleo così composito non esclude che al momento del « sacco » fossero insieme all’autore della Storietta solo due fratelli, precisamente « una piccola sorella, ed un minor fratello »60.
Se la supposizione delle « presenze » può quindi assumere un certo rilievo, altrettanto importante appare il dato della sua familiarità con il Capitolo e, di conseguenza, con l’archivio dell’istituzione religiosa. Zeffi entrò, infatti, nel Capitolo nel 1545 come rettore della Cappella di S, Guglielmo; ottenne tre anni dopo il canonicato e, successivamente, numerosi benefici ecclesiastici nella Pieve ed in altre parrocchie entro e fuori il piviere: a Riottoli, a Pontormo, a Orbignano di Vinci, a Marcignana, a Cascialla, a Cerreto61.
Fu per molto tempo (e fino alla morte) titolare della chiesa di S. Pietro a Riottoli, una modesta parrocchia a ovest di Empoli62.
Provenendo da una ricca famiglia, preferì abitare in una delle due case di proprietà in Empoli, disdegnando le certamente più modeste canoniche alle quali, nel corso degli anni, fu assegnato come parroco63.
Come aiutante del Proposto Bastiano Tani, lo Zeffi aveva quindi libero accesso alle carte dell’Archivio capitolare e, per censo, estrazione sociale e formazione culturale, poteva disporre, anche a titolo personale, di libri e documenti necessari ai suoi studi e al suo magistero o direttamente riferiti ai propri interessi. Egli, dunque, e il solo che possiede i requisiti anagrafici (ha quattordici anni nel 1530; ha una sorella ed un minor fratello); proviene da un ambito sociale e culturale elevato, è vivo nel 1567. Con questo non si vuol affermare che Jacopo Zeffi sia l’autore, quanto far convergere su di lui un’attenzione diversa da quella precedente 54.
34 Deliciae eruditorum . . . [51], p. 1555. La dizione « Anonimo empolese » si deve al Lazzeri (Campione beneficiale A, capitolo Notizie istoriche della Chiesa d’Empoli.
35 Inventario dei manoscritti della Biblioteca Riccardiana [7], p. 255.
36 (8).
37 Alcune ipotesi circa la paternità della Storietta erano state preannunciate in: Il sacco d’Empoli secondo il racconto del Giovio / Mario Bini [9], p, 259-269, Bartolomeo Romagnoli attorno alla metà del Settecento, copiò di propria mano la Storietta in un libro capitolare, il Giornale A, iniziato nel 1530, che conteneva, tra le altre cose, importanti informazioni circa gli avvenimenti successivi al sacco. Il libro era presente fino al tempo della guerra mondiale 1939-1945 nell’Archivio storico ecclesiastico empolese e da quel periodo risulta disperso.
38 Bini presenta il suo saggio come una « prima comunicazione », alla quale avrebbe dovuto far seguito un intervento più organico che, però, non ha visto la luce per la scomparsa delle studioso, deceduto a Empoli il 13 giugno 1980.
39 Abbiamo compiuto ricerche nella collezione del « Bullettino storico empolese » (luogo più probabile di ogni dibattito sulla storiografia empolese) ed in altre pubblicazioni, ma senza trovate riferimenti sulla proposta. L’unico spunto può rintracciarsi nella nota 7 della premessa di Lastraioli a Della storia d’Emp0li di Chiarugi, nella quale afferma: «Risulterebbe interessante anche una riedizione sull’originale dell’“Anonimo Empolese”, che poi non è detto rimanga ancora per lungo tempo anonimo, dal momento che una semplice indagine archivistica, nient’affatto laboriosa, può rilevarci il nome dell’autore, sulla cui identità già abbiamo qualche serio indizio ». La proposta di attribuire la Storietta al Guidi era motivata dalla circostanza che il notaio aveva redatto gli statuti comunali di Empoli del 1560.
40 Attorno al 1516 tre chiese avevano il fonte battesimale: Pieve di S. Andrea, S. Michele a Pontormo (dove si cominciò a battezzare dal 1435 con bolla di Papa Eugenio IV tuttora conservata in quella chiesa) e Pieve di S. Giovanni a Monterappoli. E certo, pero, che veniva considerato empolese solo chi era battezzato al fonte di S. Andrea, al quale venivano battezzati sia i nati dentro il castello, sia i nati in tutte le altre parrocchie del piviere. Di Monterappoli e Pontorme e rimasta documentazione insufficiente per una ricerca efficace sui libri battesimali che possa portare a esiti positivi. E, tuttavia, solo una eventualità, poiché Monterappoli, all’inizio del Cinquecento, è una piccola frazione, avendo perduto il ruolo ricoperto fino a tutto il XIV secolo, oramai abitata da poche decine di persone, Se fautore fosse stato battezzato a Pontorme, presumibilmente sarebbe stato qualificato « de Pontormo » o « pontormiensis », come, con questa documentazione, sono appellati altri autori cinquecenteschi.
41 I libri dei battesimi sono conservati in Archivio storico ecclesiastico empolese e portano le seguenti segnature: N. I (1482-1577) ed e una copia, N. 2 (1482-1547) ed è originale.
42 « . . . e dirò il vocabolo del contratto che io ho visto, e letto: « Un Casalino dove egli potessino edificare le lor case. E questa concessione fu del 1119 » (c. 71v). L’atto si trova nell’Archivio storico ecclesiastico empolese, n. 112 ed è citato da Lazzeri nel Campione beneficzale A, c. 11r, n. 1.
43 L’attribuzione, da parte del Guicciardini, della sconfitta della « fortezza d’Empoli » alla debolezza della difesa (« con pochissimo danno lo presero per forza et saccheggiarono ») [50] contrasta con l’interpretazione di altri storici contemporanei e posteriori.
44 « . . . con mia madre e una piccola sorella, e un minor fratello » (c. 76r). L’autore parla di se stesso anche in riferimento al sacco che seguì la presa di Empoli, accennando alla restituzione di beni e suppellettili rubate (c. 76r).
45 Non riusciamo a comprendere il motivo per cui Bini citi come termine non post quem la pubblicazione di Discorsi historici di Cosimo Bartoli, avvenuta a Venezia nel 1569, dal momento che Empoli non vi è mai menzionato.
46 Ci e sembrato un requisito selettivo quello dell’estrazione dell’autore da un ceto sociale affermato e da una famiglia agiata, scartando ogni altra ipotesi (nomi senza un cognome, abitanti fuori le mura, etc.).
47 Ciò lascia supporre che il padre sia morto prima della nascita del figlio. Non abbiamo, però, potuto appurarlo, nonostante varie ricerche in proposito.
48 Notizie di famiglie empolesi . . . [33] P. 74, n. 823.
49 Si distinguono due nomi: Giuseppe, nato nel 1619, podestà in vari luoghi della Toscana, e Pier Domenico, nato nel 1651, letterato, autore di Delle storie de’ Duchi di Boemia.
50 Il ceto imprenditoriale, artigianale o mercantile non era sempre ed in ogni caso analfabeta; anche tra costoro troviamo persone che possedevano e leggevano opere di un certo livello. Si veda l’emblematico caso di Domenico Scandela, detto Menocchio, mugnaio di Montereale, nei pressi di Pordenone, che possedeva alcuni libri e sapeva leggere e scrivere in: Il formaggio e i vermi . . . / Carlo Ginzburg[43].
51 Archivio storico ecclesiastico empolese, Libro dei battesimi, c. 46. Tommaso Marchetti, erede di Bastiano Tani, in un manoscritto di memorie familiari, ne descrive il decesso: < Ricordo come questo dì 28 di Giugno 1598 in Domenicha da mattina a hore 9 e 3/4 di giorno passò di questa vita presente la felice memoria del molto reverendo Messer Bastiano Tani, Proposto di Empoli; el suo corpo si seppelli a hore 22 da sera il medesimo giorno e nel suo mortorio si consumo libbre 525 di cera tra gialla e bianca . . . » Cf; Archivio storico ecclesiastico empolese, Ricordanze, ovvero, Ricordi de’ Marchetti. Manoscritto cartaceo terminato nel 1640, n. provvisorio 384. La citazione è a c. XIIr.
52 Alcune notizie sulla famiglia in: Un nome da dare . . . / Mario Bini [8], p. 314-315. Bini riporta l’albero genealogico della famiglia a p. 315.
53 Cf.: Libri matricolarum Studii pisani [95], p. 164. Notizia della sua laurea si ha in: Acta graduurn Academiae pisanae [94], vol: 1, ad indicem. Si tratta, in entrambi i casi, dell’elaborazione elettronica di informazioni contenute in registri e filze dell’archivio dell’Università di Pisa.
54 Cf. la bolla pontificia di Papa Pio IV in Archivio storico ecclesiastico empolese, Diplomatico, n. 74.
55 Il giudizio sul suo operato fu molto positivo. Il Cardinale Alessandro de’ Medici, nella sua qualità di Arcivescovo di Firenze, in una lettera indirizzata a Cosimo Bartoli, successore del Tani, scrive che egli si comportò « valorosamente » (Cf. Campione beneficiale A, c. 23r-23v). Dalla lettura del Campione siamo informati pure del fatto che Tani si prodigò per rendere operanti alcune direttive emanate a Concilio di Trento, soprattutto quelle che miravano a moralizzare il malcostume ecclesiastico. Tani lotta contro alcune famiglie empolesi, le quali, facendo leva sul censo e sull’autorità conseguita, consideravano il Capitolo esclusivamente come un « consesso [. . .] prodigo elargitore di sinecure », cui ciascuna di esse si arrogava il diritto d’accesso. « E sino all’anno 1570 admesse le presentazioni dei Benefizii, e conferiva non solo le Cappelle, Canonicati, Dignità della Collegiata di libera Collazione, ma ogn’altro Benefizio del Piviere, di che si privò, e cedé al Cardinale Arcivescovo di Firenze, che fu poi Papa Leone XI; e ciò si dice che facessi per sfuggire le liti, et i romori che nc nascevano » (Campione beneficiale A, c. 22v).
55 Per Mario Bini « nessun altro empolese più del Tani appare aver avuto la materiale possibilità, cognizioni e requisiti idonei a compilarla con quella dovizia di dati storici contenuti nella premessa alla narrazione del sacco » ([8], p. 319).
56 Da un controllo sul libro dei battesimi, quell’Andrea, fratello di Bastiano, che Bini vuol dimostrare essere una femmina (in modo da ricreare quello che egli ritiene essere la composizione del nucleo familiare dell’autore) risulta certamente essere un maschio. La supposizione poteva avere qualche fondamento in quanto effettivamente Andrea è un nome che, dalla fine del Quattrocento alla metà del Seicento, fu assegnato a ben quaranta femmine battezzate al fonte di S. Andrea di Empoli, ma, nel caso in questione, non corrisponde al vero. Andrea è seguito dalla specificazione figliuolo nell’originale del libro battesimale e dal nome Romulo, vocabolo decisamente maschile. Non pare, inoltre, pertinente l’interpretazione della presenza del segno di indice al nome di Andrea Tani, come segnalazione di un errore, di aver cioè registrato per maschio una femmina: il segno e posto a molti altri nomi (solo nell’arco di venti carte prima e dopo il nome di Andrea ne abbiamo contati oltre dieci), compreso lo stesso Bastiano Tani. L’indice di per sé non ha un valore preciso, se non quello di indicare qualcuno per motivi diversi.
58 A corroborare questa ipotesi e la cura della sua « immagine » sui documenti firmati, nonché gli infiniti segni architettonici e pittorici tuttora parzialmente presenti in Collegiata. Anche Mario Bini sottolinea questo aspetto della sua personalità: «Divenuto Proposto, si diede subito alla ricostruzione a fundamentis, di sua tasca, del palazzo della Propositura, tempestandone – è la giusta parola – le strutture interne ed esterne con decine e decine dei suoi stemmi lapidei, quasi a fissare al ricordo dei posteri che con lui iniziò, per la Chiesa empolese, un’era nuova » ([8], p. 518).
59 Il ramo degli Zeffi da cui proviene Jacopo esercitava il mestiere di « pannaioli ». Possedevano case in via Fiorentina e in via Guiducci. La famiglia si è estinta all’inizio del Settecento, con Giuseppe e Matteo, i quali appartennero all’ordine dei Cavalieri di S. Stefano; cf.: La galleria dell’onore ove sono descritte le segnalate memorie del Sacr’Ordine militare di S. Stefano P.M. e de’ suoi cavalieri . . . / Giorgio Viviano Marchesi [65].
60 Mentre per Bini le sorelle dell’autore potevano, al 29 maggio 1530, essere « supposte morte o accasate e quindi separate dalla famiglia d’origine », i fratelli dovevano necessariamente fra parte della famiglia: la presenza anagrafica di due fratelli di Jacopo (uno di undici e l’altro di tre anni) in famiglia durante la presa di Empoli, e uno dei motivi principali che lo inducono a « rifiutare anche la candidatura dello Zeffi ». Secondo noi, invece, la motivazione dell’esclusione discende da un assunto inesatto: l’autore, a c. 76r della Storietta elenca solamente i familiari con cui si trovava al momento dell’impiccagione del soldato spagnolo, non intende necessariamente discutere sull’intero nucleo familiare. Tommaso, di soli tre anni, non poteva trovarsi altrove o semplicemente dentro casa, da solo, oppure accudito da un altro familiare? Perché si vuole, inoltre, affermare categoricamente che tutta la famiglia si trovava unita « data la gravità del momento »? Proprio per questo motivo può essere valida anche l’ipotesi opposta, cioè che i membri della famiglia potevano trovarsi dispersi presso parenti.
61 Campione beneficiale A in più luoghi.
62 Il suo nome è menzionato in una memoria del vescovo Niccolò Bennarino, compiuta nel (marzo?) 1576, conservata nell’Archivio arcivescovile di Firenze: Idem Reverendus Nicolaus visitavit ecclesiam sancti Petri a Riottolj cuius rector est reverendus dominus Jacopus Zephius, est de jure patronatus de Riccis et Alessandris de Florentia; que habet in redditibus scudos 40, AAF, Z 1, IV, 8. Visita pastorale Bennarino, c, 196v. Il documento, finora inedito, è citato in: La chiesa fiorentina [25] p. 347-548.
63 Dal suo testamento, conservato in ASF, Notarile moderna 5434 (Ser Batista Bruschieri cc. 21 e sgg.) sappiamo che possedeva una casa in Borgo al pesco ed una al Canto al pesco (quest’ultima lasciata in usufrutto ad una sua serva). Purtroppo l’autore della Storietta non menziona il luogo dove avvenne l’impiccagione del soldato spagnolo, casa che si trovava « incontro » alla sua, potevamo avere un elemento importante per la sua identificazione, nel caso lo Zeffi avesse ereditato l’abitazione, nella quale abitava all’età di quattordici anni.
Il manoscritto proviene dalla libreria di Vincenzo Capponi65 confluita nella libreria Riccardi come bene dotale della figlia Cassandra, sposata con Francesco Riccardi. Ne è prova la citazione dell’opera, sotto la voce Hist. d’Empoli nelle Stime de’ libri della libreria dell’Ill.mo Sig.re Marchese Vincenzio Capponi, l’elenco dei libri posseduti dal grande bibliofilo, terminato il 31 ottobre 1689, un anno dopo la sua morte, e conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze66. Al tempo in cui il Lami compilò il catalogo della Biblioteca Riccardiana, edito nel 1756, e frutto di anni di lavoro 67, il codice aveva già assunto la fisionomia attuale, cioè composto di sei parti, ciascuna contenente un’opera. I vari scritti furono riuniti senza un preciso nesso analogico, se non per il formato dei supporti cartacei ed una vaga motivazione di carattere tematico. Si può ipotizzare che le opere furono rilegate dal Lami, ma non dal Capponi, poiché nell’inventario della sua libreria la Storiella figura come pezzo autonomo e, in quanto tale, singolarmente segnalato 68.
Ma poichè tutte le sei opere contenute nel codice figurano nel catalogo Lami con la medesima segnatura (S.II.4), si deduce che la miscellanea era già formata al tempo in cui Lami compilò il catalogo della Riccardiana. Non c’e alcun dubbio, quindi, sulla provenienza della Storietta. Partendo dal presupposto che la Riccardiana non ha subìto dispersioni e prendendo come base il catalogo a stampa dei manoscritti pubblicato dal Lami nel 1756, e infatti «possibile identificare tutte le opere possedute in un solo esemplare ai tempi del Lami »69 e, soprattutto, tutte le opere con un titolo specifico: la Storietta ha questi requisiti ed inoltre e l’unica che tratti di Empoli 70.
La diversa numerazione del manoscritto rispetto a quella attribuita da Lami risale al 1810, quanto l’intera raccolta della Libreria Riccardi fu inventariata per la vendita all’asta: 1892 e il numero progressivo dell’indice dei libri compilato71. Come la Storietta sia pervenuta nella libreria del Capponi resta un problema irrisolto. Non sappiamo se l’opera fosse già patrimonio della biblioteca di famiglia, oppure se sia entrata a farvi parte per merito di Vincenzo. Mentre è stato individuato un legame particolare tra la raccolta di libri a stampa c gli interessi personali e culturali dell’illustre fiorentino, e stato altresì appurato che la collezione delle opere manoscritte era dettata da motivi occasionali e diversi, senza un piano preciso d’indirizzo.
Dalla biografia di Vincenzo non appare neppure un legame personale o familiare con Empoli 0 con personaggi empolesi. La presenza della Storietta nella libreria di famiglia può essere ricondotta a motivi casuali o al più generale interesse dello studioso per la storia del Principato mediceo72.
[65] Durante la ricerca per l’dentificazione del nome dell’autore abbiamo preso in considerazione anche l’ipotesi di Enea Galletti, nome sconosciuto alla recente storiografia empolese, autore di una Universalis historia, edita a Firenze nel 1584. Il suo nome, citato da Manni [64], p. 128 e da Lazzeri a p. 147 del Campione baneficiale A e a p. 131 della Storia di Empoli, poteva essere preso in considerazione poiché si presentava (o era presentato dall’editore dell’Universalis historia), come « emporiensis ›>, aveva vissuto durante il XVI secolo, era canonico della Collegiata di S. Andrea, era studente dell”Università di Pisa (matricolato il 2 novembre 1573 per il corso di diritto; cf.: Libri matricolarum . . . [93], ad indicem), era autore di molte opere inedite (cf. il suo testamento in ASF, Notarile moderno, n. 6316, c. 100, rogato in data 21 settembre 1598, cioè: 1) Theologie speculative opus tribus libris distinctis; 2) Verum [?] mundus fuit eternus; 3) An sint Platonis idee; 4) Si intellectus possibilis una occidit ex Aristotelis sententia; 5) Il Gundebano poema fiorentino; 6) Il resto della vita di Cristo in versi fiorentini; 7) Se l’arte dell’alchimia e in frase fiorentina). E’ stato successivamente appurato che la candidatura di Enea Galletti, pur suggestiva, e da escludere per vari motivi, in particolare per l’età.
Egli, infatti, fu « emancipato » dal padre, Cino, medico, con atto notarile del 25 marzo 1583 (cf. ASF, Notarile moderna, 2513, c. 10v). Sembra difficile ipotizzare che Enea fosse emancipato all’età di 67 anni. Resta il fatto che giovanissimo pubblica la sua Historia [40].
La data del testamento (21 settembre 1598) contraddice la data di morte riportata da Manni (1590), tratta dall’iscrizione tombale di Enea « perita ora nel rifacimento della chiesa ». L’errore è da attribuirsi al Manni.
65 I Capponi vivevano in Firenze nel Palazzo di via Frescobaldi, vicino a Santa Trinita; possedevano da tempo una ricca biblioteca. Tra coloro che avevano dato impulso alla raccolta, va ricordato Ludovico, padre di Vincenzo. Per un profilo biografico cf.: Capponi Vincenzo/ M. Capucci [17],p. 99-100.
66 ASF, Fondo Mannelli-Galilei-Riccardi, filza 346, n. 22, c. 146, colonna 1. L’inventario rappresenta una fonte essenziale per la ricostruzione della libreria Capponi, in quanto essa fu unita « senza riguardo» per la provenienza, a quella dei Riccardi (ben più esigua, contenendo allora circa cinquecento opere a stampa). L’Elenco si compone di 75 carte scritte su due colonne ed è diviso in due parti: opere a stampa (circa 1.500) e opere manoscritte (249). In esso troviamo segnalate tutte le opere degli autori ai quali l’autore della Storietta fa riferimento: Giovio: c. 28, col. 2; c. 97, col, 1; c. 107, col. 1; Guicciardini: c. 53, col, 2; c. 92, col, 1; c. 103, col. 1 (inizio e meta); c, 104, col. 1; Alberti, Leandro: c. 101, col. Z; c. 105, col. 2; Guazzo, Marco: c. 105, col. 1.
67 I Riccardi . . . [80], p. 177 e ad indicem.
68 Un ulteriore argomento a favore di questa ipotesi è fornito dalla data di redazione dell’opera contenuta alle carte 3744, che sembra essere di fine secolo XVII lo inizio XVIII), posteriore alla morte del Capponi.
69 I Riccardi . . . [80], p, 177.
70 Altre volte, invece, la genericità della descrizione (esempio, Orazioni di vari, Storia di Firenze, etc.) impedisce l’identificazione dell’opera, poiché lo stesso titolo può indicare più di un manoscritto.
71 Il codice che stiamo esaminando è indicato con i dati relativi al primo testo: 1892, Giocondi, Francesco. Storia. Cod. cart, in fol. Sec. XVII. Cf.: Inventario e stima della libreria Riccardi [7]. I manoscritti, dal Riccardiano 1 al Riccardiano 3588, sono indicati alle p. 5-60. Prosegue manoscritto. Per notizie dettagliate cf.: Una biblioteca all’incanto : la Riccardiana / Maria jole Minicucci [69].
72 Nell’Archivio di Stato di Firenze, dove si conserva buona parte della documentazione relativa all’attività del Capponi e in particolare della sua libreria, non sono state rintracciate ricevute d’acquisto di libri o altri documenti, né atti di donazione. L’esame diretto dei libri e dei manoscritti a lui appartenuti, infine, non offre alcuno stimolo per ulteriori indagini, dal momento che i documenti si presentano privi di qualsiasi tipo di nota che attesti una precedente appartenenza. Pare anzi, che il Capponi evitasse di acquistare documenti che non fossero in perfetto stato di conservazione, provvedendo a sua volta a mantenerli intonsi, senza apporvi note di possesso o di commento. Tuttavia i libri del fondo Capponi in Riccardiana sono solitamente segnati con una sigla nel foglio di guardia interiore al frontespizio, di mano coeva a Vincenzo Capponi.
La Storietta non è mai stata pubblicata autonomamente, ma sempre nel contesto di altre opere e addirittura con soluzione di continuità del dettato. Il testo viene pubblicato per la prima volta nel 1741 ad opera di Giovanni Lami nel tomo X Charitonis et Hippophyli Hudoeporicon delle Deliciae eruditorum. La Storietta non ha una particolare evidenza all’interno del volume, ma e trascritta in modo decisamente corretto. All’inizio dell’Ottocento il Fontani pubblica nuovamente alcuni brani della Storietta nel quarto volume del Viaggio pittorico della Toscana, nella lezione del Lami. Nel 1873 la tipografia dei fratelli Monti stampa, a cinquant’anni dalla morte dell’autore, il manoscritto inedito Notizie istoriche della Terra d’Empoli raccolle dal canonico Luigi Lazzerí (1768-1823), con il titolo Storia di Empoli.
Nella prefazione Lazzeri fa esplicito riferimento alla Storietta, attribuendole un titolo diverso, semplicisticamente più corretto: «E poiché l’Anonimo empolese incomincia la sua Storia della presa d’Empoli con una bella descrizione che fa di questa terra, sua patria, perciò con la medesima do principio ancora io alla raccolta di queste istoriche notizie ».
Cita l’autore della Storietta anche per la fedeltà del suo racconto: egli « per esservi trovato presente in tempo di detto assedio, poté raccontare cose più genuine di quello che l’avevano scritte molti altri storici ». Lazzeri smembra la Storietta disponendo i brani che la compongono all’interno dell’impianto annalistico della sua opera: trascrive alcuni passi (cc. 701′-71v) in apertura ed i rimanenti all’anno 1530.
L’edizione del Lazzeri ricalca così pedissequamente quella del Lami da escludere che si tratti di una nuova trascrizione, quanto piuttosto di una riproposizione del testo del Lami con alcune lievi varianti formali. Chi, invece, certamente ha visionato il manoscritto e Pierrugues, il quale, nel 1889, pubblicò la seconda parte della Storietta con il titolo Resa di Empoli73, successivamente riproposta sul «Calendario artistico-letterario » per il 1902 74, La sua trascrizione, seppure vicina a quella del Lami, e compiuta direttamente sull’originale per la presenza di parole ed espressioni finora inedite (ricco di quattrino, puttana . . .).
Nel 1971 Mario Bini pubblica la seconda edizione (o, più correttamente, una nuova edizione) delle Notizie istoriche della terra d’Empoli raccolte dal canonico Luigi Lazzeri basandosi sul manoscritto autografo dell’autore 75. La Storietta non presenta alcuna variante di rilievo. Fa parte della storia editoriale anche la pubblicazione della seconda parte della Storietta, nel testo del Lami, in calce ad una stampa intitolata Affresco del Vasari che adorna la Sala di Clemente VII in Palazzo Vecchio76, edita in occasione di un avvenimento sportivo, con scopo celebrativo e promozionale; questa edizione ha contribuito più di ogni altra pubblicazione scientifica alla diffusione di un testo ripetutamente edito, ma non per questo molto conosciuto77.
73 Francesco Ferrucci . . . [76], p. 373-379. La trascrizione termina a c. 76, riga 31.
74 « Calendario storico-artistico » 1902 [16], p. 135-145. Si tratta di una pubblicazione di poco conto, stampata per finanziare un monumento, mai realizzato, a Francesco Ferrucci. A p. 142 del «Calendario » appare una nota relativa a un . . .ricco di quattrini; si legge: «Queste parole sono abbreviate nel testo e poste in margine; il Guerrazzi ne trasse un quattrini da Empoli! A.D. Pierrugues ». L’autore si riferisce a L’assedio di Firenze.
75 Delle Notizie . . . esistono due manoscritti: uno, autografo, è di proprietà di Aldo Mantellassi; l’altro, apografo, di pugno del sacerdote Giuseppe Neri, è conservato presso la Biblioteca comunale di Empoli (fondo Marchetti, 1.35.G 24). Per un confronto tra la lezione dei due manoscritti e l’edizione del testo da parte del Monti, cf.: La « Storia d’Empoli » del Lazzeri nella lezione d’un manoscritto autografo / Mario Bini [10], p. 477-484.
76 [1].
77 In un’antologia comparativa di brani relativi anche alla presa di Empoli del 1530, manca proprio il testo della Storietta. Si veda: Sette assedi di Firenze [86], p. 352-372.
ALBERO GENEALOGICO FAMIGLIA ZEFFI:
Firenze, Biblioteca Riccardiana, 1892
Fattizio di 6 elementi. Sec. XVI-XVIII. Di origine toscana. Cart. I-IV, 77, V-VIII (cc. I-III, VI-VIII guardie del sec. XX (1971); V, V guardie del sec. XVIII?); numerazione a penna nell’angolo superiore destro del sec. XVIII?; numerazione meccanica nell’angolo inferiore destro del sec. XX. Pergamena su struttura di cartone (1971). Restaurato in parte (cc. 1-16; 66-77) nel 1971. Raccolte dalla Biblioteca Riccardiana (tra il 1689 e metà sec. XVIII). Antica segnatura: S.II.4 (c. IIr, sec. XVIII); la stessa segnatura anche a c. 1r, in basso a sinistra (sec. XVIII?). Segnatura attuale ricevuta nel 1810. Proveniente dalla libreria della famiglia Capponi.
I) cc. lr-14v Francesco Giocondi, Storia di Giocondo II) cc. 18r-34v Storia fiorentina dal 1494 in poi (tit. el.). III) cc. 37r-44r Ritratti delle cose della Francia composti per Niccolò Machiavelli. IV) cc. 62r-65r Notizie riguardanti la storia d’Italia (tit. el.). V) cc. 66r-69v Copia de nomi de Padroni di quelle Galee che i Pisani perdettero alla Meloria, essendovi Cap.no el condottiere Ugolino conte di Donoratico nell’anno 1288 a dì 8 d’agosto. VI) cc. 70r-76r Storietta d’Empoli scritta da un Empolese.
G. Lami, Catalogus codicum manuscriptorum qui in Bibliotheca Riccardiana Florentiae adservantur . . . Liburni 1766, p. 107, 210, 272, 235, 303. Pag: 107: Catalogus de’ Padroni delle Galee Pisane, che si perdettero alla Meloria, l’anno 1288. Di famiglie pisane; p. 210: Giocondi, Giocondo Istoria Fiorentina; p. 272; Machiavelli, Niccolò Ritratti delle cose della Francia; p. 235: Historia di Empoli; p. 303: Notitiae riguardanti la storia d’Italia.
* Descrizione conforme a: Guida ad una descrizione catalografica uniforme del manoscritto / Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche ; a cura di Viviana Jemolo e Mirella Morelli. – Roma: [ICCU], 1984.
Microfilm integrale presso la Biblioteca Riccardiana.
Firenze, Biblioteca Riccardiana, 1892, cc, 7Or-77r
Sec. XVII. cc. 8. mm 350 x 220. Disposizione del testo a piena pagina. Scrittura corsiva, inchiostro nero. Restaurato nel 1971. Antica segnatura: S.II.4. Posseduto da Vincenzo Capponi (Stime de libri della libreria dell’Ill.mo Sig.re March.se Vincenzo Capponi, 31 ottobre 1689, in ASF, Mannelli-Galilei-Riccardi, filza 346, n. 22). Proveniente dalla libreria Capponi. Passato alla libreria Riccardi nel 1689, come rata dotale di Cassandra Capponi, figlia di Vincenzo, sposa di Francesco Riccardi. Notizie storiche della libreria di Vincenzo Capponi in: I Riccardi a Firenze e in Villa. – Firenze : Centro Di, 1983, p. 176-178.
cc. 70r-77r Storietta d’Empoli scritta da un empolese. La c. 76r ha, in alto, centrale, su due righe: Storietta a penna d’Empoli scritta da un Empolese. Incipit: Empoli, terra del dominio fiorentino nella via di Pisa discosta da Firenze sedici miglia. Explicit: la qual s’era ribellata, lasciando in guardia l’Orlandino d’Empoli.
– Catalogus codicum manuscriptorum qui in Bibliotheca Riccardiana . . . [6], p. 235: Historia d’Empoli
– Il sacco d’Empoli secondo il racconto del Giovio / Mario Bini [9].
– Un nome da dare all’anonimo autore della « Storietta d’Empoli » / Mario Bini [8].
FINE PARTE 1
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