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La patente di nonno Gigi – di Roberto Taviani

Lui era  abituato ad andare col calesse. Era nato negli anni novanta dell’ottocento. Col calesse la Domenica e le altre feste comandate, con la famiglia, tutti tirati a lucido, anche il cavallo. Penso che il viaggio più lungo sia stato a Montecatini. In capo al mondo per quei tempi.

Il giorno di lavoro, invece col barroccio, e vestito in modo diverso, spesso a Pescia a rifornirsi di carta alle cartiere. Passando dai “Bosconi” dove mi raccontava che c’erano i briganti e perciò si aspettavano e andavano “in convoglio” con altri carrettieri e mettevano la paglia nei campanellini del cavallo per non farsi sentire.

Però il mondo va avanti…arrivano i motori, e… piuttosto in su con gli anni, decise di prendere la patente, ma poveromo era negato.

Non so se di solito allora si prendeva a Empoli, o bisognava recarsi a Firenze. Non credo che ci fossero le autoscuole. La “Rapida” no di certo, il Cerbioni era bambino. Forse l’Aci, che però si chiamava Raci. Bertino è capace c’era di già. Il Fruet no di certo. Checchè ne dica lui. “R”  sta per “reale”. Era tutto reale allora. Fatto sta che Empoli o Firenze ci rimbalzò.

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Si diffuse la voce che a Livorno, la davano facile…la patente. Chissà forse c’era già Galeazzo Ciano. Era patito anche dei motori. Donne e motori! Come sempre. Gli avevano intitolato la “coppa Ciano” a Montenero.

Forse il Suocero Benito, allora andavano d’accordo, gli aveva consigliato di incrementare la motorizzazione, per il bene della Patria.

E nonno Gigi decise di andarci. Ce lo vedo. In treno a vapore, sulla Leopolda, andare a Livorno a prendere la patente.

Mi raccontava, a me bambino, che all’inizio fu tutto facile. La prova pratica sul lungomare, lunghi viali, larghissimi, deserti, tutto a diritto, non ci stava di sbagliare. La cosa più difficile era mettere le frecce, quando lo chiedeva l’ingegnere, perché non ce n’era bisogno. Tutto dritto. Poi la teoria. Qui cascò l’asino. Per lui che era abituato ad andare col col cavallo. Mi raccontava che l’ingegnere gli disse: “ora Le fo una domanda facile facile”. Forse si era fatto anche raccomandare!

-<Dica dica ingegnere>

-Cosa si fa quando bolle l’acqua.

La risposta più ovvia sarebbe stata:”mi fermo”. Gli sembrò così ovvia che si mise a pensare alle cose difficili. E s’impelagò. Non riusciva ad andare avanti allora..la mise in “burletta” o in bulletta…come si diceva da noi.

Rispose allora:

-<dipende dal momento ingegnere>.

-come dal momento

-<certo perché se è mezzogiorno>

-che c’entra  mezzogiorno

…L’ingegnere cominciava a spazientirsi

-<eh si!>

-come sarebbe a dire?

-<si..perchè se è l’ora di desinare…>

-che c’entra il desinare

-<c’entra c’entra, eccome se c’entra>

-non mi prenda per il culo

– <non mi permetterei mai>

– e allora

-<allora…se è mezzogiorno, e bolle l’acqua….”si butta la pasta”> .

Sembra che l’ingegnere diventò paonazzo e…fu sonoramente bocciato anche a Livorno!

Poi dai dai riuscì a prenderla. Però non era un gran pilota, si trovava meglio col cavallo. Quando ci portava a spasso, me e mio cugino, noi s’aveva un po’ di paura, specie quando cercava di correre. Ed allora gli si diceva: nonno va più piano che bolle l’acqua. E Lui: “tranquilli bambini, non ci sono problemi…si butterà la pasta!

Temporibus illis!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Qualche anno dopo con l’Appia si tornava dal mare, c’era anche Fausto. Nella macchia di Migliarino fece un sorpasso, che non so come si fece a cavarcela. Fausto, con nonno da quel giorno non c’è più salito in macchina.

Poi si fece il camion e lo battezzò “TIVADO”……

di Roberto Taviani


 

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