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La generosità dei fratelli Bini immortalata in una lapide sulla piazza della stazione d’Empoli – di Paolo Santini

Sulla facciata di quello che ai primi del Novecento era il Palazzo Cinali, sull’angolo fra via Roma e via Verdi in piazza della Stazione (oggi piazza Don Minzoni), pur seminascosta da una decrepita insegna pubblicitaria di una compagnia di assicurazioni, riusciamo un po’ faticosamente ad intravedere ed a leggere la seguente iscrizione, incisa con grandi caratteri capitali su una pregevole lastra marmorea finemente lavorata: “Sia noto che i fratelli Pietro e Paolo di Saverio Bini di Empoli donarono al comune il terreno per questa piazza e vie adiacenti. Il municipio riconoscente decretava questo marmo,1888”. L’epigrafe ricorda una delle fasi più significative d’espansione della città, a cavallo fra Otto e Novecento.

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Nella seconda metà dell’Ottocento le mura del medievale castello di Empoli non bastavano più a contenere la crescente pressione demografica, ormai inarrestabile, che aveva visto raddoppiare la popolazione in meno di un secolo. Nel 1847 era arrivata la strada ferrata Leopolda, annullando di colpo distanze fino allora ritenute abissali. Nel 1855 poi, era stato costruito il primo ponte sull’Arno, un ponte privato a pedaggio finanziato in parte dalle comunità, ma soprattutto dai borghesi che lo ritennero giustamente un investimento, per favorire gli scambi commerciali fra le comunità della sponda destra del fiume, (Vinci e Cerreto Guidi), e la cittadina empolese. Per la costruzione del ponte era stato addirittura interrato, con una grandiosa colmata, il braccio sinistro del fiume, che per secoli aveva lambito il castello di Empoli, situato grosso modo nel luogo occupato oggi da piazza Guido Guerra fin lungo l’attuale via Salvagnoli. Con l’interramento del braccio sinistro dell’Arno si era unita la grande isola del Piaggione, l’antico Bisarnus (toponimo frequente lungo tutta l’asta del fiume peraltro) alla terraferma empolese; in pochi anni, nella seconda metà dell’Ottocento, nasceranno in quell’area piazza Umberto I (oggi piazza Matteotti) e piazza Regina Margherita (oggi piazza Gamucci). Un’epoca di grande sviluppo urbano per Empoli, un’epoca in cui si gettano le basi per la città moderna, anche per la città attuale se vogliamo, perché le scelte fatte allora condizionano ancora oggi la viabilità cittadina; basti pensare alla scelta, allora ritenuta comoda, di tracciare la linea ferroviaria così vicina al centro, scelta che oggi sta condizionando lo sviluppo della città oltre la barriera ferroviaria in maniera pesante, costringendo il centro urbano ad un’espansione est-ovest verso Pontorme da un lato e verso Santa Maria dall’altro  Mancava in ogni caso un’ultima scelta importante: la sistemazione dell’asse viario fra il ponte e la stazione. Ed ecco la realizzazione di un progetto di sistemazione in chiave moderna per la piazza del Campaccio (nel 1859, poco prima dell’Unità d’Italia diverrà piazza Vittorio Emanuele e poi, dal 1925, piazza della Vittoria), dove addirittura si sposta il mercato settimanale del giovedì; tale nuovo spazio diventa strategico per la vita economica della città, posto com’è al centro della via che conduce dalla stazione al ponte.
La conseguenza logica è la creazione, nel 1888, della grandiosa via Roma, asse di collegamento fra la stazione e la piazza; ne farà le spese anche il bastione di sud ovest dell’ultima cerchia muraria, il terrapieno dove nel Settecento era stato costruito l’ospedale, che sarà in parte demolito proprio per consentire l’apertura di via Roma.
Altro intervento determinante sarà poi la realizzazione della grande piazza della Stazione ferroviaria e, dopo aver abbattuto la fornace Bini, la creazione di un altro asse viario parallelo a via Roma, cioè via Curtatone e Montanara, realizzata nel 1905. Tutto questo fermento costruttivo, in pochi decenni vide la trasformazione completa della città; giova ricordare che dal 1860 al 1940 Empoli addirittura raddoppiò la superficie del centro cittadino. L’area intorno alla stazione però, una delle più importanti della città moderna, fu trasformata solo grazie al fatto che i fratelli Bini, come ricorda il nostro marmo, donarono al comune molti dei loro terreni e permisero la demolizione della loro fornace; forse i generosi fratelli Bini meriterebbero che l’epigrafe in memoria di questa gran benemerenza fosse resa un po’ più visibile sulla piazza che un tempo, comunque, apparteneva alla loro famiglia.

Paolo Santini

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