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Giuliano Lastraioli: Memorabilia Urbis

La prima volta che andai a Roma fu per l’anno santo del 1950. Con alcuni vicini di casa mi intruppai in un pellegrinaggio organizzato da don Maltinti, pievano o proposto (non ricordo bene) di Montopoli Valdarno.

Fonte dell'immagine: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/ab/Umberto_Eco_04.jpg/601px-Umberto_Eco_04.jpg

Fonte dell’immagine: Wikipedia


Avevo diciassètte anni e ricordo poco del contesto, ma ricordo benissimo – invece – le gran  pomiciate che feci con una ragazza più anziana di me,  che funzionò egregiamente da nave scuola e mi dette un mare di soddisfazioni.

Non l’ho più rivista e chissà che fine avrà fatto. Non era bella, ma neppure spregevole e allora mi parve il non plus ultra dell’erotismo da tanto che era sveglia.

Il risultato fu che con lei alle costole non ebbi modo di lucrare l’indulgenza giubilare, anzi dovetti confessare, al ritorno, le mie peccata, dal momento che i miei sodali avevano fatto la spia al sor priore.

A Roma tornai da solo nell’agosto del 1952 per un convegno di giovani studenti cattolici alla Domus Pacis, riservato ai delegati diocesani. Già da un anno ero all’università e avevo dato i primi esami, diritto costituzionale e storia del diritto romano. Credevo di essere un intellettuale, ma dovetti ben presto ricredermi a sentire gli sproloqui forbitissimi di Umberto Eco e di Wladimiro Dorigo, per me poco comprensibili. Visto dove entrambi sono andati a parare non mi meraviglio. Conservo ancora un numero di “Gioventù”,  organo della G.I.A.C., Gioventù Italiana di Azione Cattolica, dove nella stessa pagina c’è l’articolo di Eco ed il mio: l’elefante e la pulce.

Il buon Umberto, allora sbarbatissimo, passava il tempo libero passeggiando a braccetto con don Arturo Paoli, un prete carismatico di Lucca, che passava per gran personaggio di curia, ma poi girò anche lui a sinistra, finendo a fare l’anacoreta in Africa con somma uggia per papa Pacelli.

C’erano altri ragazzi destinati a una gran carriera: un Perna di Noto, che con me divideva la camera, bravo figliuolo che credo essersi poi inserito nella politica e nel giornalismo; c’era Emmanuele Milano, di cui ben si conoscono i successi.

Il pesce più grosso e navigato era un mio condiscepolo della facoltà di giurisprudenza a Firenze, Ugo Zilletti, figlio di un funzionario delle finanze e fratello di una notaia di Fucecchio.

Da bravi toscani ci mettemmo subito a sfottere gli altri, soprattutto il nutrito gruppo di veneti, noiosissimi con i loro canti alpini (oddìo la Valsugana!) e friulani (Stelutis alpinis).

Incidentalmente e per la cronaca: lo Zilletti diventò professore ordinario di diritto romano e vicepresidente del  CSM (il Consiglio Superiore della Magistratura). Rimase sputtanato con le liste della P2 e finì anche in galera, penso immeritatamente. Pace all’anima sua; oggi suo figlio Lorenzo è uno dei migliori penalisti di Firenze.

Il clou del convegno fu una relazione interminabile dell’onorevole ministro Paolo Emilio Taviani, genovese ma di origini miniatensi, come dovette ammettere a mia precisa domanda di delegato della città della rocca.

Morale della favola: è forse cambiato qualcosa nelle associazioni, nei partiti, nella società ?

Cosimo Ridolfi apprezzava solo chi lavora la terra. Per tutto il resto diceva: “Tempo perso”.

GIULIANO LASTRAIOLI              31 agosto 2013

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