Fu la politica a decretare la fine del volo del ciuco, che per secoli era andato a gonfie vele sotto l’usbergo di santa madre chiesa.
Le prime avvisaglie di ostilità si ebbero ai tempi della prima occupazione francese, dopo l’insorgenza del “Vìva Maria” culminata nei disordini ben noti del maggio 1799.
A Empoli piovve allora, un po’ come vicario, un po’ come commissario del popolo, lo sfegatato giacobino sanminiatese Michele Bonfanti. Al suo avvento furono divelti dal palazzo pretorio e quindi distrutti gli stemmi in pietra o in terracotta invetriata che, nel corso dei secoli, vi avevano lasciato i podestà fiorentini e granducali. Si salvò solo quello di un Vanghetti (“pretore in patria” nel 1754), che fu recuperato e poi murato nella casa di famiglia a Prunecchio. Il colpo più grosso del Bonfanti fu quello di rimuovere il glorioso catorcio di palazzo Mangiadori, cioè quel trofeo guerresco che Cantino Cantini aveva portato giù da San Miniato nel 1397 e che aveva ispirato poi a Ippolito Neri la bùfala delle capre e dei lumicini all’origine dell’annuale usanza del volo asinino. Da un sanminiatese, giacobino per giunta, non c’era da aspettarsi altro.