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Silvano Salvadori: Giorno della Memoria

Il 27 gennaio del 1945 furono aperti i cancelli di Auschwitz, ma al di là di essi, mentre pochi essere umani uscivano, tutta l’umanità si trovò dietro altre sbarre, calate come una ghigliottina sulla sua gola. Si spalancarono i cancelli, ma invisibili come ossessi rimasero le grandi fauci dell’orrore e dell’ipocrisia in cui veniva inghiottita la nostra pretesa cultura occidentale, tutta la nostra memoria.Solo il silenzio invase i respiri di quanti videro (e di quanti ancor oggi continuano a vedere quelle testimonianze in bianco e nero), di quanti videro quei corpi emaciati sulla cui faccia si leggeva, con le ossute arcate sopraccigliari a cavallo delle orbite dei due occhi infossati, la parola OMO, così come la lesse Dante su un dannato dell’Inferno.

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Auschwitz – immagine di pubblico dominio

Un silenzio in cui si strozzava ogni giustificazione, in cui moriva ogni urlo, un silenzio abissale che risucchiava ogni luce dell’intelligenza.
Infatti cosa potremmo dire? Ogni parola sarebbe una menzogna, perché ogni parola è il nobile frutto dello spirito e smentisce se stessa se nomina il vocabolo “olocausto”.

Eppure c’è un tempo in cui tutta l’umanità ha tradito se stessa (e forse non è finito, perché la storia ha molti orologi i cui tempi si rincorrono e forse qualcuno ancora suona la sveglia alla barbarie). A voi oggi di quel tempo è affidato il riscatto, è affidata la sincronizzazione degli altri orologi perché l’umanità abbia un solo tempo per la giustizia, fondata sul rispetto per qualunque vita; tutto è affidato a voi giovani, frastornati dai telefonini e dalla pubblicità, a voi studenti che sarete i protagonisti del futuro.
Perché un futuro ci sia, lo dovete prima sentire nel cuore, duro come una pietra, fatto di volontà; colorato come un fiore, fatto d’amore.
Il futuro è come un bimbo: lo dovete accudire giorno per giorno. Lo si costruisce anche oggi, qui: vuole solo il vostro impegno; vuole i fatti e non solo promesse. Per divenire uomini e donne basta solo questo.
E questo fardello di memoria che vi affidiamo sia calibrato per non farvi né sprofondare sottoterra, né volare verso sogni improbabili, ma camminare sereni sulla superficie del mondo.

Limite 27-1-06

LETTERA DA AUSCHWITZ AI MIEI STUDENTI

Potrò io domani tornare a parlarvi dei sogni dell’uomo sulla bellezza? O dovrò piuttosto aprire l’antologia macchiando io stesso di sangue le pagine? Potranno detergere le parole dei poeti questo sangue?
Quella dei vostri libri è la sola verità e la sola esperienza che vi abbiamo offerto; ma posso io non gridare il mio disagio di uomo, di uomo che ha “fatto finta” di parlare di cultura!
Abbiamo chiuso la finestra ai rumori del mondo; sono stato un maestro o un ingannatore?
Quante volte facciamo finta di nulla e non ci vergogniamo del nostro silenzio sui fatti della storia!. Silenzio, silenzio, anche se riempiamo le mattine di parole. Facciamo finta che il mondo non ci tocchi; facciamo finta di poter sublimare tutti gli orrori nella grande lezione di Dante, tutti i dolori nel Leopardi, tutti gli amori nel Foscolo, tutte le fedi nel Manzoni.
Vi diciamo: “guardate nei libri la verità” e ci riteniamo soddisfatti se ne deduciamo scontate condanne morali alle violenze che si profilano su di un orizzonte che ormai assedia la nostra vita.
Mi sento inadeguato. Di quante morti letterarie potrei parlarvi, di quanti “Massacri di Schio”, di quante “Guernica”? Ma vi giuro: io mi vorrei solo alzare con gli occhi bassi vergognandomi perché la “cultura dei morti” mi opprime, quella cultura che si è spenta nel silenzio, nel grido, ma che ora è assente e non ha la forza di coprire neppure il flebile ronzio di una mosca che vola.
Dovrei gettarvi nella disperazione o darvi la speranza? Quale è il mio dovere? Se per una volta non recitassimo, forse dovrei avere il coraggio di piangere, forse dovrei interrogare i miei e i vostri occhi per sapere se veramente crediamo nell’amore, fino alle estreme conseguenze di questa affermazione, se noi insegnanti facciamo il possibile per darvi un mondo migliore, se è plausibile quella fede che con l’inganno forse esteriormente mostriamo di avere.
Forse allora dovrei dirvi che sento che la mia gioia è ad altri strappata, che la mia sazietà non si è mai misurata con la fame.
Quale esperienza di vita posso veramente vantare e mettere in comunione con voi che non sia farcita di meschine illusioni?
Sono io immune dal peccato dell’ipocrisia e del tradimento?
Se mi mettessi a nudo scoprirei che avrei solo da insegnarvi dubbi.
Se la sola cultura in noi è quella che diventa gesti, cose, comportamenti, non dovrei allora strappare i libri, uscire dalla stanza e andare ad urlare là ove l’umanità è stata od è schiacciata, dove l’umanità, dimentica delle belle forme di Policleto, si è vestita di carni putrescenti?
L’uomo di Auschwitz annerisce tutte le pagine dei libri che leggiamo; non possiamo leggere oltre nel carbone di Birkenau se non rinasciamo dopo aver attraversato quei forni, se non ci immergiamo insieme ai cadaveri di tutte le guerre, se non interroghiamo la frenesia folle che guida la Storia.
E’ possibile risalire dalla follia alla conoscenza? (la follia dei comportamenti umani nella guerra, nella droga, nel sesso).
Ecco questo mondo di follie che sembrava lontano è qui che ci avvolge, è già dentro noi.
Forse, allora, dovrei aiutarvi a vomitare, dovrei macchiare le pagine di tutti i libri col sangue di quell’usignolo che ho udito per tutta la notte cantare, schiacciandolo crudelmente fra esse, poiché la parola dell’uomo è macchiata dal sangue dei fatti e non la si può leggere più, se non creiamo fatti che detergano di nuovo le parole.
Anche da voi attendiamo questi fatti, da ognuno di voi nella vostra specifica competenza.
Il fine della mia didattica è di comunicarvi pensieri che si incarnino in opere. E’ dunque il tempo di scendere nelle strade abbandonando la speculazione?
Forse.
Ma le opere devono avere un progetto e noi qui siamo per fare un progetto; non un progetto in stile, ma un progetto contemporaneo.
Se leggiamo Dante, lo leggiamo per costruire un progetto contemporaneo, per cementare e per scoprire il senso di un muro di pietre che si chiamano: misericordia, umiltà, giustizia, amore. Decidiamoci a definirle queste pietre, facciamone cippi che ameremmo mettere sulla nostra tomba!
La maturità è la scelta delle pietre con cui decidiamo di costruire. E questa scelta parta dalla costruzione in noi di umili cose:
-dal rispetto sacrale ed eucaristico per ogni cibo che mangiamo; dal senso di sazietà che la semplice acqua può dare, nel rispetto di ogni fame ovunque nel tempo e nello spazio patita.
-l’essere di ogni istante come splendente miracolo, pienamente appagato dal solo “essere”, realizzato in sé ( noi, invece, sempre in attesa di miracoli rumorosi, di forti eccitazioni, di possessi futuri).
-la gioia del lavoro; il tempo principale della nostra vita è nel lavoro. Non illudetevi che l’appagamento possa avvenire da latro. Purtroppo si vive sempre nell’ansia dello svago del sabato sera, dell’estate, sempre alienati da quello che stiamo facendo; la gioia del lavoro in sé, il pieno realizzarsi di ciò che è nel presente.
Solo così, concentrata in ogni attimo, c’è il sapore e l’estensione dell’eternità (io non voglio essere che con voi: qui, ora, non altrove).
Ed anche quell’eternità che ponete davanti a voi, il vostro futuro, non sia altrove, ma concentrata nel secondo in cui vivete!
Tutti i vostri sogni e la vita futura, le speranze; tutto ciò che sarete, siano una scintilla presente!
Questa è la via: ogni attimo pieno ha l’estensione dell’eternità, ogni futura eternità si concentra nella favilla che vi fa agire; siate la pulsante clessidra che distilla il tempo, voi, ugello del trapasso!
In voi i sogni e le azioni non stiano in una scala susseguente, ma si coniughino nell'”essere”.
La vostra responsabilità è totalmente nell’essere, nell’ora, qui. Resistete da tutto ciò che vi ruba questa coscienza, da tutto ciò che vi fa essere altri ed altrove!
Per parte mia, purtroppo, posso dirvi solo che non è stato sufficiente il tempo neppure ad insegnarvi le tecniche di scavo, per reperir le pietre di quel muro; che forse, come in un nido, io ho portato solo piume e pagliuzze.
Di più ora mi pesa l’inadeguatezza delle mie certezze, delle mie competenze. Ora, nel lasciarvi ormai prossimo, vi fo partecipi di un patrimonio di dubbi, che vorrei per magia si dissolvessero tutti in speranze (possibilità non lontana dal vero).
Coltivando il dubbio della fede, gli Dei si concretizzano veramente più che dai dogmi.
Diffidate della parola “amore” definita da altri!
Quando la sentirete nascere incerta e balbuziente in voi, ripetetela tante volte, fino all’estremo dei giorni, finché sempre più scivolerà via, sempre più leggera e veloce, sempre un passo più in là da dove voi siete.
Sia la vostra parola la vostra cometa!

(Scritta a Varsavia Maggio 1993)

AI GENITORI

Vi voglio leggere questa lettera, scritta dal vivo a Varsavia dopo la visita a Auschwitz.
I vostri figli sono ancora piccoli e forse non la intenderanno appieno. Voi la maturità l’avete superata da tempo.
Ma ne siamo davvero sicuri? Quante maturità dobbiamo ogni giorno di nuovo maturare?
Ma spesso, invece che maturare, in noi i pensieri marciscono; si putrefanno, senza che sappiamo togliere i semi dal frutto ed accettare di sotterrarli nel fertile terreno del cuore, della nostra convinzione per la giustizia e l’amore.
Siamo, dobbiamo essere, eterni contadini, che non possono fermare il ciclo dell’eterno susseguirsi delle stagioni, che non possono produrre, per industria, il bene di consumo della libertà in maniera tale che sia non deperibile.
Dobbiamo seminare, con la fatica di ogni anno, quel seme; maturarlo e strapparlo dall’albero dell’indifferenza, per riporlo ogni anno nel suolo; nel suolo dei nostri figli, concimato non di lacrime sentimentali, ma dei fosfati dell’intelligenza e della conoscenza.
Vogliamo proteggerli dal dolore?
Vogliamo distogliere il loro sguardo dal male?
Vogliamo essere il loro scudo protettivo!
Ma imparerete presto che essi hanno sete di scavalcare questi scudi; lo faranno senza che noi abbiamo avuto il tempo di informarli su quello che c’è al di là.
Allora, con serenità, con il fermo sorriso di chi coltiva negli atti di ogni giorno l’amore, informiamoli!
Loro ascoltano distrattamente, non capiscono le parole dei telegiornali. Noi non riflettiamo su questo.
Pensiamo che con i nostri beni terreni li renderemo eredi anche dei principi della democrazia e della legalità.
Ma non è così!
A loro non passerà questa eredità, perché va guadagnata di nuovo; bisogna faticarla di nuovo, moneta su moneta.
Ed i tempi sono difficili. C’è troppo rumore intorno. C’è confusione. Siamo deboli!
Ecco: la coscienza di questa debolezza deve renderci forti! Forti perché umanamente deboli.
E’ questa delicatezza delle nostre coscienze, fatte come di un bel vetro trasparente di Murano, che deve farci porgere delicatamente a loro la mano, per poi stringerla, con forza, per quel cammino che insieme a loro, voi genitori e noi insegnanti, stiamo facendo.
Diamo a loro questa fiducia e questa sicurezza!
Anche stasera abbiamo fatto un passo che deve lasciare un’orma su questo cammino.
Ed ora tornate ad essere dei giovani di diciannove anni!
E’ possibile esserlo ancora; vi prego!
Rientrate nei panni dei vostri diciannove anni, che stanno ancora lì, dentro il vostro guardaroba, che miracolosamente non invecchia e non passa di moda; il guardaroba della vostra coscienza.
Compito della scuola non è solo di operare nei vostri figli, ma anche in voi, tramite loro.
Dobbiamo essere insieme. Vi chiediamo aiuto.

25-1-05

A MAUTHAUSEN

Vedete: la Natura non ha una memoria; essa fiorisce di nuovo come sempre, la spiga granisce come sempre e fra poco di nuovo si mieterà; eterna si rinnova come se nessun inverno fosse esistito; essa cancella le tracce di ogni ferita, di ogni diluvio.
La memoria degli uomini che qui sono morti è rimasta in piedi sull’attenti, all’appello di ogni giorno, senza trovare un luogo dove rinchiudersi e riposare, dove riorganizzarsi per divenire fondamento di un agire. Si è confusa con la paura di ogni giorno ed è rimasta sotto i tacchi degli aguzzini come una cicca di sigaretta, anche se loro ugualmente la fecero dissolvere in fumo.
Anche la memoria degli uomini che sono sopravvissuti si è accovacciata nei loro corpi come un rapace notturno, alzandosi in volo per accanirsi a volte contro se stessa, fino a strappare il proprio stesso cuore, come in Primo Levi.
Rimane la vostra, la nostra, di memorie, come una rondine nera su un cielo azzurro che, quasi una freccia, attraverserà i mille e mille giorni che avrete, che avremo, ancora da vivere.
Sarà l’indizio di una primavera?
O gli insetticidi del mondo l’avveleneranno?
Se qualcuno ucciderà quella rondine (piccola scritta nera di memoria) sarà responsabile di aver trasformato il vostro azzurro in un perenne tramonto di sangue, in cui ognuno sarà come l’uomo del grido di Munch.
Vogliono farvi asettici alla memoria, perché hanno da riempirvi solo di presente. Prendete una bisaccia, come i partigiani, e metteteci queste briciole di memoria (come le briciole di pane che Saffo Morelli si metteva in tasca quando tornava qui); andate, lasciando le paludi dell’ingorde città, andate nelle montagne dello spirito!
Solo qui, nel silenzio, sui quattro punti cardinali mettete queste quattro lettere: U, O, M, O.
La “U” è di terra: come quella del fango di Adamo; come quella del concime dei corpi combusti qui a Mauthausen.
La “O” è di aria: come il pneuma che alitò dentro Adamo; come quella in cui si alzò la libertà perenne, dal camino dei forni.
La “M” è di acqua: come quella che uscì salata dagli occhi piangenti dei progenitori quando furono cacciati dall’angelo; come quella che qui battezzava, uscendo col gas dalle docce, battezzava alla morte.
La “O” è di fuoco: come la pira del primo sacrificio di Abele a Dio, rossa come il sangue del primo omicidio; come le fiamme di questi forni che cercarono di far sparire le prove di uomini che sono vissuti, fiamme che son diventate le lingue dei loro Spiriti, rendendo a Dio il dono Santo di cui non siamo stati degni.
Appendete dunque le lettere ai quatto lati del mondo per farle fondere in oro dal sole e per, così fuse, incastonarle nel cuore.
Non abbiate paura di portare questi quattro sigilli da cui siete definiti; ricordate che saranno la bussola per il vostro, per il nostro, domani.
Tracciate la rotta!

(scritta il 3-5-02 e letta il 5-5-02 al memorial italiano)

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