Uno dei Grandi, che è stato anche uno degli idoli della mia gioventù, è certamente il novelliere, poeta e scrittore Renato Fucini.
L’Orchestra Florida – di Tommaso Mazzoni
Se devo proprio esser sincero, in fondo non era la prima volta che mi capitava un fatto del genere: m’è accaduto in altre occasioni d’essere additato o fatto oggetto di manifestazioni di simpatia da parte di alcuni giovani-ma-non-troppo, specie in questi ultimi tempi.
Eh sì, il tempo è davvero ormai passato per me, ed è purtroppo passato anche per quelli che una volta, da giovani, venivano a ballare al suono dell’orchestra in cui suonavo. Lo sapete, credo, che parecchio tempo fa – capellone ante litteram – mi esibivo con un’orchestrina assieme ai cari e fraterni amici e colleghi di tante avventure musicali. Se non lo sapeste, ecco rimediato.
È stata una conseguenza della mia passione per la musica, applicata al fatto di eseguire brani (in prevalenza jazz), in orchestrina cosiddetta “da ballo”.
Normalmente la nostra attività si limitava ai sabati e alle domeniche, più i vari veglioni, festini, inaugurazioni, party…
Ma nel 1949, esattamente durante i mesi di luglio e agosto, stavamo offrendo (si fa per dire, perché ci pagavano; e bene) le nostre prestazioni in modo continuativo presso una sala denominata “Lo Scoglietto”, ubicata sul Lungomare di Rosignano Solvay in provincia di Livorno.
Seppure non fossimo che dilettanti, l’Orchestra Florìda – così si chiamava la nostra orchestrina – venne subito ben accolta dai dirigenti di allora, seppure dopo una regolare audizione-saggio. Ed anche, iniziato il nostro lavoro e senza volerci gloriare troppo, venivamo fatti oggetto di consensi da parte del pubblico, sia maschile che femminile; e sovente anche piuttosto apertamente, tanto che da quando iniziammo la nostra attività presso quel locale, il medesimo fece registrare un ragguardevole incremento di frequentatori. E ciò, mi capite, tornava tutto a nostro vantaggio, rafforzando e consolidando questo connubio che, per inciso, si protrarrà per diversi anni. Poi passammo ad altri locali: però, lo capite, la breccia, insomma, era ormai aperta.
Certo, si suonava discretamente, anche se perfetti non eravamo di sicuro. Tutto ciò, però, se raffrontati con orchestre di professionisti. Si suonava invece abbastanza bene se rapportati a talune orchestrine locali. Eppoi, c’era l’effetto “esoticità”, che in certi casi non guasta. Esoticità… quella distanza oggi farebbe sorridere: 75/80 chilometri, tanti sono quelli che dividono Rosignano da Empoli: era come se oggi si parlasse di distanze interregionali! Eppoi, dicevo, o i nostri vent’anni o poco più non li vogliamo mettere sul piatto della bilancia?
Il cocktail «Discreta musica, una buona presenza, il nostro impeccabile smoking estivo (giacca e camicia bianche, pantaloni neri e “regolamentare” cravatta nera a farfalla), il nostro entusiasmo, nonché, ad abundantiam, la propensione innata ad ammirare con gli sguardi birbanti le ragazzine che frequentavano la sala» risultava di formulazione vincente.
Altre volte, ho sopra accennato, erano capitati casi di aperti apprezzamenti per l’Orchestra Florìda, il nostro caro complesso. A Siena, ricordo ancora, durante una fastoso ballo frequentato perlopiù da studenti, ci furono coppie e coppie in sala che cessarono di seguire, col passo, i ritmi della musica per schierarsi sotto il palco ad ascoltare le nostre note ed a guardare e seguire quello che per loro era evidentemente apparso come una specie di rarità.
Chi esegue in pubblico, sa che vi è, o può comunque sorgere, una sorta di reciproca compartecipazione, agli eventi: il loro entusiasmo si assommò al nostro, e per questo ne nacque un’autentica apoteosi (oggigiorno, ciò che accade in circostanze simili, eruditi di psicologia potrebbero chiamarlo quale una sorta di sintonico transfert e controtransfert).
I dirigenti del locale della nobile e antica Città di Siena però non ci richiesero più. Sapemmo più tardi che i sindacati degli orchestrali (che, ricordiamolo, sono stati assai forti per tantissimi anni), per reclami loro causati da taluni colleghi del luogo, avevano imposto alle sale senesi di ingaggiare solo orchestrine della loro provincia. Noi, invece, provenendo per l’appunto da quella di Firenze, eravamo perciò… stranieri. E dovemmo desistere; tant’è che non ci presentammo più. D’altra parte, di locali, ne avevamo più di uno in parecchi centri, e il lavoro non ci mancava di certo.
Fatti simili a quello sopra ricordato ne sono accaduti tanti. Mi ricordo, ad esempio, che una volta, a Follonica in provincia di Grosseto – era l’anno 1950 -, un giovane si avvicinò verso di noi e ci chiese se conoscevamo, e se potevamo eseguire per lui e la sua ragazza, un brano americano, ma inconsueto: glielo eseguimmo. Non appena ne udì le prime note, dalla contentezza si entusiasmò moltissimo, tanto da trascinare, come un’ovazione, tutte le coppie o quasi, che ballavano in quel locale. Per precisione, il brano richiestoci, e che eseguimmo, s’intitola “Creole love call”, di Ellington-Jackson-Miley.
Come dicevo, di casi analoghi ne potrei descrivere molti. E la soddisfazione era grandissima. Credo che soltanto chi è potuto stare al pubblico in una posizione, volenti o nolenti, privilegiata, quale l’attore o il musicista, possa provare ciò che io ho provato; gli altri sono in grado solo d’immaginarlo. Ma parlare di un sentimento, seppure con tutti gli aggettivi giusti, non è la stessa cosa che avvertirlo! Un esempio tangibile? Provate a raccontare l’intima soddisfazione che avete provato per aver dato un bacio a una ragazza (o, per le femmine, per aver dato un bacio a un ragazzo). Descrivetelo pure con tutti gli aggettivi che la vostra fantasia è capace di ricercare, ma quel determinato, speciale effetto che avete provato non lo potrete descrivere mai: tutt’al più potreste raccontare anche meticolosamente i fatti secondari, ma in nessun caso cosa effettivamente avete provato. Non vi pare?
Lascio solo a voi, che mi seguite in questa descrizione così autobiografica, l’immaginare e il tentare d’interpretare a vostro modo quanto ho inteso raccontarvi: vi sentirei, se possibile, ancora più vicini.
Aggiungo una cosa e poi procedo, per quel poco che ancora ho da dirvi circa questi argomenti, che sono arrivato a capire, se non ovviamente a giustificare, quell’attore o quel musicista che, assurto ai fasti della notorietà e poi caduto nell’oblio, per non dire della disistima, si abbandona a sé stesso o, peggio, alla droga. Che cosa terribile, vero? Ma capisco. Benché personalmente non possa certo dire d’essere arrivato a diventare un qualcuno; tuttavia certe sensazioni, sottolineo, le ho provate ugualmente, nel bene e nel meno bene; mai ho raggiunto, però, la disistima, né mai ho cercato rifugio nei cosiddetti paradisi artificiali. Nei miei alti e bassi di tipo reattivo, quindi, ha dominato sempre un prezioso, ricercato equilibrio.
Eseguivamo canzoni alla moda, misti a pezzi di autori nordamericani che tuttora qua e là ascolto alle radio e alle televisioni, specialmente quelle di lingua tedesca.
Più di una volta, noi orchestrali, semplicemente per il fatto d’avere calcato una pedana o per aver indossato un abbigliamento insolito, siamo ravvisati per strada. E non è che ci facciamo molto caso: è un fatto che accade a qualsiasi persona che si ritrovi, per merito o per combinazione, appena un po’ più “in vista” di altri.
Ma in quel tardo pomeriggio – ecco il perché della mia premessa -, mentre mi trovavo a passeggiare per la via principale di Rosignano Solvay, la Via Aurelia, ecco che vedo avvicinarsi a me un signore non più giovane, ma neppure, dall’aspetto, di persona che si possa definire anziana.
Ero lì da solo perché mia moglie s’era trattenuta presso dei parenti, e avevo colto l’occasione per fare alcune commissioni e dare al contempo uno sguardo a ciò che di nuovo presentavano alcuni negozi di mio interesse, generalmente elettronica, radio e via dicendo. Era la mia, insomma, una passeggiatina, che, aveva perlopiù lo scopo di rivedere e di “riappropriarmi” del posto, dopo i lunghi mesi autunno-invernali, ossia di quella località che un tempo era chiamata dai Solvaìni “il Paese Nòvo”, luogo a me incondizionatamente caro.
Ero solo, dunque (s’era capito, direte), quando questo signore si presenta a me e mi dice: – Sono P. D., ma lei non è mica uno degli orchestrali che hanno suonato qui a Rosignano?
Il mio sì era però un po’ misto a meraviglia, perché al momento non ricordavo quel signore. Ma lui continuò a descrivermi fatti e circostanze, di cui sinceramente avevo presente qualcosa, ma per la maggior parte assai vagamente. Non v’erano però dubbi: mi aveva già incontrato e conosciuto prima d’allora.
Per non rischiare di tediarvi più di quello che forse ho già fatto, carissimi amici, stringerò un po’ il mio dire su ciò che sono state le sue effusioni di simpatia sviscerata, che non mi consentono di riportarvi tutto, anche per esercitare quel tanto di modestia quanto occorra.
Insisté per offrirmi un caffè, fra l’altro ottimo; o presunto tale, data la gradevole circostanza[1].
Taglio anche la coda di questa mia piccola grande sorpresa facendo però una considerazione.
I suoi accenni si riferivano sicuramente all’anno 1949.
L’incontro con P. D. è avvenuto quasi a fine agosto del 1999.
La sottrazione si fa anche bene: il risultato è 50: cinquant’anni dopo che si era svolto il fatto, o i fatti. L’incontro singolare con questo cortese fan (oggi si direbbe così) di ben mezzo secolo fa. Incredibile se non fosse che l’ho vissuto io. E ci potete credere. Per delicatezza non ho messo per esteso nome e cognome, limitandomi alle sue vere iniziali, ma è vivo e verde, come si dice, ve l’assicuro, e fa il dirigente di una squadra ciclistica. E anche se qualcuno lo riconoscesse, non c’è niente di male: i fatti si sono svolti realmente così.
Vi prego di credermi anche in questo – ma ora parlo di un’altra cosa -, all’amico, al vecchio pressoché sconosciuto amico sono molto grato. Non posso fare a meno, però, con immodestia, lo so, di pensare che fatti simili non possono capitare a tutti; forse nemmeno a qualche affermato attore. Cinquanta, dico cinquant’anni sono molti, per la memoria d’un uomo.
Grazie, amico P. D., grazie per avermi offerto un momento di felicità, che in me, te l’assicuro, farà persistere quest’eco che non potrà durare un attimo soltanto.
Con gentile concessione a pubblicare.
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Note e Riferimenti:
[1] La gradevole circostanza – Da dopo che ho pubblicato in rete i miei lavori – ormai è già qualche anno -, diverse, per il vero, mi sono capitate le espressioni di simpatia.
A parte queste, tutte completamente ben accètte e graditissime, agli inizi di Marzo 2006, esattamente il 9, m’è pervenuto il seguente messaggio che intendo di riportare a voi assieme alla mia risposta. Proviene da una lettrice non di madrelingua italiana, la quale, certo avrà incontrato magari anche maggiori difficoltà di comprensione. Non metto il suo nome e cognome per discrezione, per cui scriverò solo un nome fittizio, ma che però si confà alla sua stessa lingua: la chiameremo perciò Caroline.
Ebbene, Caroline mi ha scritto in questi precisi termini: «Signor Mazzoni, ho scaricato “tutti libri” sul’ mio computer e la ringrazio per questa opportunità, di poter leggere ai miei momenti di svago tante BELLE cose. Ho già informato una mia amica a questo proposito. Vorrei tanto avere delle sue belle melodie, come fare ? Anche pagando. La ringrazio ancora e tanti auguri. Caroline».
Le ho così subito risposto: «Gentile amica, non ho pronte altre melodie, ma conto di poterne registrare, e poi pubblicare, qualche altra in un prossimo futuro. Quindi, come Lei comprende, non è una questione di lucro. La ringrazio molto delle buone parole e continui a leggermi e ad ascoltare le mie musiche: ne sono lusingato. Auguri a Lei e tanti cari saluti. Tommaso Mazzoni».
È inutile che sottolinei che questo “ne sono lusingato” è più che spontaneo e autentico. Sono cose che, nella vita, auspicherei che le potessero provare tutti: dànno un senso agli sforzi profusi per, non dico completare, però tentare di ridurre un po’ le frequenti e pur incolmabili plaghe della mia profonda ignoranza; ma soprattutto per sentirsi gratificati con un significato pari all’espressione, tipo quella, ad esempio, “sono stato intellettualmente utile, almeno a qualcuno”.
In fatto delle soddisfazioni in campo musicale, be’, ne ho già parlato a profusione nel testo di questo medesimo articolo…
A parte ogni considerazione, ancora una volta esprimo la mia gratitudine nei riguardi di tutti coloro che si sono protési con un sorriso dal didietro delle luci della mia pur sparuta ribalta, offrendomi in tal modo tutte queste così generose, gradevoli sensazioni.
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