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La Giornata della Fede 18 dicembre 1935 XIV E.F. a Empoli – di Claudio Biscarini

Dalla mia ormai incontrollabile biblioteca è saltato fuori un piccolo pieghevole che comperai anni fa dalla libreria antiquaria Arrigucci, via dell’Oriolo a Firenze. Si tratta di un ricordo della “Giornata della Fede” del 18 dicembre 1935.

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Fonte della foto: “Le veline del Duce” di R. Cassero, anno 1935, pag. 40 – pubblic domain

Claudio Biscarini

 

 

 

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Veniamo ai fatti. Mussolini aveva scatenato l’assalto contro l’Etiopia il 2 ottobre 1935 dopo il famoso discorso dell’”ora basta!”. Una guerra coloniale fatta con mezzi moderni rispetto a uno stato sovrano che poteva mettere in campo molti combattenti ma armati ed equipaggiati come peggio non si poteva.

L’Etiopia era membro della Società delle Nazioni e proprio questa assemblea deliberò, il 18 novembre 1935, di affibbiare all’Italia, colpevole di attacco proditorio contro lo stato del negus neghesti  Tafari Makonnen Woldemichael Hailè Selasiè, sanzioni economiche, un poco come oggi regola le stesse cose l’O.N.U. e col medesimo risultato.

Tra i 51 paesi membri su 54 che firmarono il documento sanzionatorio c’era la Gran Bretagna all’epoca padrona del canale di Suez. Sarebbe bastato bloccare alle nostre navi quell’importante passaggio verso il Mar Rosso perché le truppe italiane fossero costrette a fare il periplo dell’Africa, con gran dispendio di tempo, per giungere in Eritrea. Ma ciò non accadde.

Mussolini approfittò subito delle “inique sanzioni” per una martellante campagna autarchica e con l’avvicinamento al Terzo Reich che, non essendo più membro della Società delle Nazioni, non aveva firmato le sanzioni e, anzi, commerciava tranquillamente con l’Italia. Tra le manifestazioni che il duce organizzò ci fu la citata “Giornata della Fede”.
Il mattino freddo e piovigginoso del 18 dicembre 1935, sull’Altare della Patria a Roma la regina Elena gettò per prima la sua fede nuziale e quella di Vittorio Emanuele III in uno dei tre  crogioli presenti, seguita da tutte le altre donne convocate tra le quali le vedove e le madri dei caduti in guerra.
In tutta Italia si ebbero le stesse cerimonie e furono consegnati, non solo le fedi, ma molti altri oggetti in oro. Al posto dell’anello nuziale  in oro furono consegnate fedi di ferro con incisa la data del 18 dicembre. Molti anelli furono raccolti in modo simbolico in elmetti Adrian della I guerra mondiale.

Anche a Empoli ci fu la stessa cerimonia. In quella occasione, lo Stabilimento Tipografico A. Lambruschini stampò e dette in omaggio il pieghevole che ho ritrovato nella mia biblioteca. Su una facciata c’è riportato quello che sembra un messaggio rivolto alla cittadinanza:

Fascisti, Popolo di Empoli!

All’appello del Duce, all’impegno solenne e commovente preso dalle Madri e Vedove di Caduti, al gesto pieno di incomparabile bellezza del Re e della Regina, deve rispondere l’entusiastica offerta delle vostre “fedi”, simbolo di una più alta idealità della Patria. Il monito dei morti che s’immolarono a fianco degli alleati d’ieri, sanzionisti di oggi, deve essere il nostro comandamento più sacro, per l’avvenire dei nostri figli, per la causa dell’Italia eterna!

Non conosco l’estensore del testo ma è interessante analizzarlo. Accanto alle consuete frasi retoriche del fascismo, alla citazione del  gesto di Elena di Montenegro, il richiamo ai caduti nella grande guerra accanto a francesi e inglesi (gli alleati d’ieri) diventati “nemici sanzionisti” oggi, è illuminante e già potrebbe prefigurare quell’allontanamento dalle potenze democratiche e l’avvicinamento a Hitler foriero di disastrosa politica del duce negli anni a seguire.

All’interno del pieghevole c’è una poesia altrettanto interessante di Anna Emilia  ( Annie) Vivanti, personaggio eccentrico, con interessi in ogni campo, nata a Norwood il 7 aprile 1866 e morta a Torino il 20 febbraio 1942.
Il padre Anselmo, mazziniano, si era rifugiato nel sobborgo londinese nel 1851 dopo i moti di Mantova e la madre Anna Lindau era una scrittrice tedesca sorella di eminenti letterati. Annie visse tra l’Inghilterra, la Svizzera gli Stati Uniti e l’Italia.
Dopo l’ascesa di Mussolini si avvicinò al fascismo e, quindi, col marito al Sinn Fein e all’indipendenza irlandese.
Nel 1941, ormai stabilitasi in Italia, venne per breve tempo internata ad Arezzo come cittadina britannica ma fu liberata su ordine del duce.
Numerose sono le sue opere letterarie sia in poesia che in prosa ma la prima, da cui credo sia stata estrapolata la poesia riportata nel pieghevole, fu la raccolta pubblicata a Milano dall’editore Treves nel 1890 dal titolo Lirica con la prefazione di Giosuè Carducci. Ecco il testo: Ave Albion.

Tetra, nebbiosa, gelida Inghilterra,

Aborrito paese ov’io son nata,

Colla tua buona gente addormentata,

 Che Iddio ti danni, maledetta terra.

O tristi inglesi dai capelli gialli,

O magri inglesi rosei e scipiti,

E’ forse il freddo che v’ha istupiditi?

Lunghi fagotti di paracqua e scialli!

O savia gente dai sereni affetti,

Dal sommesso parlar, dal riso fioco,

Datemi un po’ di sole, un po’ di fuoco,

O inglesi freddi, inglesi maledetti.

Datemi il folle amor, l’odio furente

E le vendette dei meridionali!

Lo sfolgorar di sguardi e di pugnali,

 l’impeto d’ira, e il perdonar repente.

Datemi il facil riso e il pianger forte

E la favella dell’Italia mia!

Nei vostri plaids portatevele via

Le vostre idee convenzionali e storte.

Via, nazion di raffreddati! Ed ora

Che il fangoso suol più non mi alloggia,

Popolo secco sotto eterna pioggia,

Va coi tuoi grandi piedi alla malora.

Che regalo per Mussolini! La “perfida Albione” era servita col contro coscio. Bella la descrizione degli Italiani: sembran tutti camorristi! Ma chi sarà stato a Empoli a  tirar fuori queste rime?

Claudio Biscarini

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