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Giuliano Lastraioli: Recensioni, Francesco Lilloni Alberti

 Francesco Lilloni Alberti, POESIE,  Amici del Bargello, Firenze, 2002

 

Solitario in patria

UN POETA SEGRETO

Agli esami di quinta ginnasiale fu proprio lui a interrogarmi in latino e in greco. Ho casualmente ritrovato i verbalini;  epistole ciceroniane a latino e un dialogo di Luciano a greco,  quello per cui “basta sempre la pura sufficienza (“emòi men oun kaì touto ikanòn”). Me ne ricordo  come se fosse ora. Il suo giudizio fu lusinghiero. Debbo dire che il suo tratto sorridente era “ben diverso dai modi arcigni e scostanti della sua terribile zia Maddalena Alberti,  che ci aveva terrorizzato per due anni con una didattica assolutamente impropria. Non per nulla noi studenti la chiamavamo tutti “la Gufa”  (o gups, alla greca).

Ora, a distanza di quasi undici anni dalla sua morte, mi  trovo fra le mani, grazie agli Amici del Bargello, che ne sono stati l’erede universale, il suo libro postumo di poesie.

Sapete ormai guanto io abbia in uggia i conati poetici dei frustrati di paese, ma le liriche del Lilloni sono ben altra cosa dal profluvio di versicoli in libertà degli avventizi.

Francesco Lilloni Alberti (Empoli, 1925 – 2001)

E non solo per la forma elevatissima e per il retroterra culturale che le supportano, ma soprattutto per i sofferti contenuti che le sostanziano.

Contenuti di natura intima e personale, senza escursioni eteroclite in quella che oggi chiamano la società civile.

Sono portato a ritenere che il suo dramma sia stata proprio la sua precocità (laureato alla Normale a poco più di venti anni), sotto l’assillo dei genitori e delle zie,  tutti professori, che lo vedevano destinato al successo e alla fama.

Il suo carattere schivo e riservato, i suoi ritegni e la sua francescana modestia (fedele al nome!) non consentirono invece quella emersione nel mondo accademico che avrebbe meritato. A ciò si aggiunga pure un gossip malevolo dei linguacciuti empolesi che lo avevano sempre più spinto all’autoemarginazione.

Negli ultimi anni della sua vita ci incontravamo spesso dal giornalaio Bergamasco sul canto del Pretorio.

Io parcheggiavo l’auto in regolare divieto di sosta, il professor Francesco arrivava in bicicletta con la sporta della spesa (viveva solo e non aveva mai guidato un veicolo a motore). Lo scambio di battute era sempre improntato al reciproco rispetto e ai commenti ironici sui fatti e fattacci del giorno. Contrariamente alle apparenze, Lilloni era anche informatissimo sull’attualità e pieno di satirico humour su personaggi e avvenimenti all’ordine del giorno.

E’ un vero peccato che la sterminata cultura e la sensibilità acutissima di Francesco Lilloni abbiano prodotto soltanto questa raccolta di una sessantina di pagine. Probabilmente, fra le carte lasciate dal professore c’è ben altro. Almeno la sua tesi di laurea sulla poesia barocca e gli altri suoi lavori accademici a Parigi e a Pisa andrebbero rivisitati.

Qui basterà proporre un passaggio di vera poesia. Servirà a valutare il resto.

Giuliano Lastraioli

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