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Empoli, 11 Settembre 1943

Riporto una memoria testimoniale di un partigiano che ci ha purtroppo lasciato qualche anno fa. Tenuto conto che trattasi di una memoria verbale, la trascrivo come l’ho sentita.
Inoltre, non essendo più in vita per eventuali riscontri, esulo da citare il suo nome, anche se era ben noto a Empoli, persona di spessore generoso, valoroso e profondamente stimato, anche dagli avversari.
Peraltro, essendo una versione verbale, rimango ben disponibile ad integrarla con altri riscontri documentali più precisi.

<<Era l’11 settembre 1943, un giorno in cui la vita quotidiana ad Empoli sembrava avesse ripreso il suo solito corso, soprattutto dopo l’esiguo comunicato dell’Armistizio firmato da Badoglio che ridondava alla radio. La paura della Guerra ormai era divenuta parte del ns vivere, ma ormai faceva parte della normalità; però l’idea dell’avvenuta firma dell’Armistizio ci aveva anche sollevato, anche se di poco. Speravamo infatti che la Guerra fosse finita lì, male, ma finita.
Invece l’incubo peggiore doveva ancora arrivare.
Era la mattina dell’11 settembre 1943, mi trovavo alla stazione di Empoli perchè aspettavo un amico proveniente da Firenze che era già arrivato e mi aspettava sulla banchina dentro la stazione, saranno state più o meno le nove di mattina ma non ricordo bene, e quel treno era ancora fermo al binario.
Appena vidi l’amico, Giovanni M., ci abbracciammo perchè erano mesi che non ci vedevamo, a dire il vero eravano lontani parenti. I famosi “parenti di Firenze”.
Subito quattro chiacchere, sorridenti forse della speranza che la Guerra era davvero finita, però in quei tre giorni non si parlava di altro: <<” E ora che facciamo? sono arrivati alcuni nuovi ordini? hanno detto di non ingaggiare combattimenti con gli Alleati”>>.
Erano le frasi che dicemmo anche noi all’incontro in stazione, ma non sapevamo altro, per lo meno noi civili non eravamo informati come i militari.
E nel frattempo il treno a vapore venuto da Firenze e che aveva portato il mio amico stazionava ancora sul binario in attesa di una coincidenza che ancora non arrivava (da Siena o Pisa ? non l’ho mai saputo).
A un certo punto, mentre continuavamo a chiaccherare notammo il Capostazione che comincia a correre freneticamente dalla banchina alla cabina del Reparto (oggi diremmo la regia della stazione).
Dopo pochi attimi lo vedemmo uscire fuori ancora piu rapidamente, ma sul viso aveva un espressione che prometteva niente di buono, sembrava seriamente preoccupato.
E presi dalla curiosità, o meglio, dall’ansia che in pochi attimi riusci a trasmetterci, ci avvicinammo al Capostazione per cercare di capire cosa stava succedendo, tenendoci un pò a distanza per non sembrare troppo impiccioni.
Il Capostazione, ricordo benissimo, ritorno in cima alla banchina, e vi sopraggiunsero due persone uscite dal suddetto Reparto a cui era andato a chiedere qualcosa.
Questi si miserò a scrutare l’orizzonte verso Firenze per qualche manciata di secondi, e si aggiunsero ad osservare anche altri passanti che erano lì, incuriositi come noi.
Pure noi ci avvicinammo, a quel punto facemmo capannello.
Scese anche il macchinista dalla locomotiva ferma in stazione, un pò spazientito per l’attesa prolungata e per assenza di spiegazioni.
In quel momento, traguardando l’orizzonte delle verghe ferroviarie vedemmo comparire la colonna di fumo nero che preannunciava l’arrivo di un treno, ovviamente a vapore.
Il Capostazione cominciò a sbottare verso i suoi colleghi dicendo << “ma questo treno è speciale, non è sulle tabelle, non ci hanno neppure comunicato il suo arrivo. Che storia è questa? ora mi sentiranno dal CapoReparto di Firenze”>>.
Avevamo il groppo in gola…purtroppo era un momento particolare, le notizie arrivavano col contagoccie e scarne, dubbie, incerte, sapevamo che in quella situazione comunque tutto poteva succedere. Niente era escluso.
E tutto successe.
Il Capostazione farfugliò prima una parola, incomprensibile, e il suo collega, quello basso , gli domandò “come ha detto?”.
Egli ripetè quella parola, ma stavolta a voce alta, e avrei preferito non sentirla. <<” i tedeschi” !!>>.
E l’altro collega, quello alto, rafforzo urlando a squarciagola: <<“un treno di tedeschi, arriva un treno di tedeschi !!! c’è la bandiera sulla locomotiva, la vedete anche voi?!!!”>>.
Fu un frangente: tanti passanti, si dileguarono come gatti frucati.
Noi rimanemmo qualche secondo inebetiti, forse perchè giovani e non avevamo ancora realizzato cosa stava per succedere.
Ma in quell’istante, i due tizi del Reparti li vedemmo scappare dentro la cabina, mentre il Capostazione ordinò all’istante al macchinista del treno in stazione di partire.
Il macchinista gli rispose <<” Partire ? ma per dove? non aspettiamo la coincidenza da Pisa? “>>.
Il Capostazione rispose: <<” Parti all’istante, e fuggite in direzione Siena. Cercate di prendere qualche ora di vantaggio sull’arrivo dei tedeschi”>>.
Il macchinista non fece cenno e si apprestava ad avviare il treno.
Vidi il mio amico cominciare a correre verso la porta di un vagone, mentre correva fece appena a tempo a urlarmi qualcosa che non riusciì a capire, ma ne compresi il senso: montò sul treno per fuggire alla imminente minaccia.
E io ?
L’amico riuscì a salire sul treno, che aveva appena avviato la marcia.
Io mi diressi a corsa verso casa in Via del Papa, dalla paura rammento che in pochi minuti arrivai a casa e non sentii neppure la fatica dei quattro piani di scale che facevo da sempre.
Durante il tragitto verso casa, riuscìì a malapena ad avvisare della notizia un carabiniere di passaggio che incontrai in Via Leonardo da Vinci.
Dopo qualche ora, richiamati dal rumore, ci affacciammo alla finestra e rimanemmo impauriti alla sola vista : un piccolo gruppo di militare tedeschi marciava in Centro. Increduli e impauriti rimanemmo serrati, finchè non torno lo zio.

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