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Vincenzo Chiarugi, Della Storia d’Empoli, Libro II°

CAPITOLO II. Del supposto dominio dei Pisani sopra Empoli antico
È facile il provare, che dal momento in cui Empoli il vecchio fù smantellato per opera per quanto si crede delli stessi Pisani nel 1015 (67), affine di prender vendetta sugli Empolesi sottrattisi al loro dominio non ebbe mai quella celebre Repubblica in seguito, verun dominio sopra di quel paese. Ma si può ancor dubitare, che essa ve lo potesse aver avuto in addietro. Avrebbero per vero dire, in tal tempo potuto gli Empolesi profittare delle terribili circostanze, nelle quali trovavasi la Repubblica Pisana, la quale secondo il Tronci medesimo (68) era in quell’anno tutta « intenta alle Guerre », che aveva contro dei barbari nemici, che l’Arcivescovo Lanfranchi (69) chiamò Pagani, e dai quali asserisce, che Pisa « destructa permansit ». Ma non sà intendersi come una Repubblica a tali estremi ridotta da perder la Capitale, avesse potuto pensare a vendette; e come occupata, ed astretta a difendersi da esterni nemici, si fosse tanto colle sue armi dalla Capitale per tale oggetto allontanata. Mancandosi a questo riguardo per altro di prove dirette, fondasi sù due fatti la prova di questa opinione. Il primo riguarda una Iscrizione che viene diversamente riportata da vari autori, e che à perciò la marca d’apocrifa, o male intesa, o male applicata; il secondo è la certezza, che appartenesse la Pieve d’Empoli alla Diogesi Pisana. L’Iscrizione, di cui fà caso il Tronci, il Marangone, e l’Arcivescovo Lanfranchi, sembra che estenda i confini della Città, ossia dello Stato Pisano, non menoché della Diogesi, a Pietrafitta, ove quel Marmo, secondo il Manni (70) fu appunto scavato; e questo posto altro non è attualmente, che una Casa rustica, un terzo di miglio appena lungi da Empoli verso Firenze, e precisamente a metà Strada tra Empoli, e Pontorme; e che perciò include Empoli in quello spazio, che corre tra Pisa e quel punto. Or questa Iscrizione secondo il Tronci porta, che quivi i Consoli Pisani, Tito Flamminio, e Tito Quintio, « posuerunt Fines Civitatis»; e nel medesimo tempo dichiara, che quivi erano ancora i Confini « nostri Episcopatus, et Comitatus Plebium Diocesis Pisanae » (71), e manca l’epoca, intanto, o qualunque altra espressione, che dia qualche autentica all’Iscrizione medesima. Le stesse espressioni, appresso a poco, si trovano in quella, che è riportata dal Marangone (72) ; mà in essa è segnata la distanza di 32 miglia da Pisa, come realmente vi corrono; e presso a poco si dice altrettanto dall’Arcivescovo Lanfranchi (73).

Ma se è vero, che l’iscrizione trovata a Pietrafìtta è quella stessa, che fù citata dal Tronci, dal Marangone, e dal Lanfranchi, e che come asserisce il Manni (74), ed il Lami (75), è quella medesima, che attualmente esiste nel Cimitero di S. Michele a Luciano, bisogna dire, come benissimo riflette il medesimo Lami (76), che i precitati autori, o non l’avessero letta, o che si fossero riportati a delle infedeli relazioni, o che avessero usato di mala fede nel tramandarla alla memoria dei posteri. Questa inscrizione la quale una volta era stata posta nel cimitero di Luciano, Parrocchia, e Villa di Casa Antinori, poco più di sei miglia distante da Empoli per la parte di Firenze, in Collina, e sull’Arno, ma, che poi fù collocata in Firenze nel Cortile del Palazzo di questa nobil Famiglia, rammenta solo un T. Quintus T(iti) F(ilius) Flamininus, non Flaminius, con l’aggiunta della parola Pisas. E siccome conforme avverte il Lami sullodato (77) si trova, che T. Quinzio Flaminio fù Console di Roma, insieme con Elio Peto nel 556 « ab urbe condita », 191 anni prima dell’Era Cristiana, bisogna supporre, che questa Iscrizione rimonta ai tempi Consolari di Roma, e che la parola Pisas non à in questo momento un interesse particolare; e probabilmente fù questo Marmo una Pietra Milliaria, anziché un termine posto al confine dello Stato; e tale sarebbe di fatto, se fosse esistito nell’Iscrizione quel XXXII (trigintaduo) M(illia) P(assuum) che volle supporre il Lami (78), ma che non si può neppur travedere nel marmo stesso tracciato, e consunto; e che nell’Iscrizione d’Uberto Lanfranchi riportata dal Mattei essendo scritta in caratteri diversi si può supporre che fosse gratuitamente aggiunto. Non è perciò una prova della Dominazione Pisana sopra l’antico Empoli questo monumento; ma non lo è pure la sicurezza, che alla Pisana Diogesi la Pieve d’Empoli appartenesse in antico. Potea questa Chiesa essere Censuaria di quella di Pisa, come è provato in un Libro « de Censibus » esistente nell’Archivio di quella Diogesi, e non esserle sottoposta nello spirituale; e quand’anche lo fosse stata, non era necessaria, e indispensabile conseguenza, che esercitare dovesse sul territorio d’Empoli la Repubblica Pisana, egualmente il Dominio temporale. Non è raro il vedere, particolarmente nei tempi andati, Diogesi appartenenti ad una data Potenza estendere ancora sul territorio d’un’altra la loro Giurisdizione. Così essendo esclusa, o resa almen dubbia l’opinione riguardante il Dominio Pisano sopra l’antico Empoli, è certo ancora, e provato, che appunto nel tempo non molto posteriore, era in confine Pisano all’occidente lungi abbastanza da Empoli. Soprattutto un Diploma di Ottone IV Imperatore del 1209 prodotto da Leone Urbevetano (79), ed altro del V Idus Ianuarii 1355 del medesimo Imperatore fanno vedere, che in quei tempi i confini per la parte dei Fiorentini, eran segnati dalla Torre di Banno, o Benno, che è quanto dire da Torrebuoni fino all’Arno, ed a Canneto, e Barbialla, lo che equivarrebbe in certo modo lungo l’Elsa. 

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