Da: "Il Tirreno", domenica 5 dicembre1993. 80 anni fa le ultime elezioni politiche col sistema…
Un’analisi e una proposta : la città ad anello. Di Vincenzo Mollica
Quando alcuni indicatori del territorio segnalano l’approssimarsi di uno stato di malattia nel sistema centrale, è salutare che la città s’interroghi sulle soluzioni da adottare per evitare che la situazione si aggravi.
Il dibattito avviato dall’Amministrazione, attraverso una straordinaria partecipazione di pubblico, sui malesseri del centro storico, si segnala, oltre che per la portata e la qualità dell’iniziativa, per la consapevolezza che un tema così vasto e delicato, non possa prescindere, per le soluzioni che cerca, dall’opinione di coloro che vivono il problema in modo diretto e trasversale, vale a dire tutti gli abitanti della città e del suo territorio.
Nell’ambito delle proposte avanzate per la rigenerazione del centro, figurano interventi di ordine e scala diversi, segno che la volontà dei partecipanti è quella di rimuovere e superare la condizione della crisi in corso. Si tratta di una risorsa preziosa e qualificata, purtroppo solo potenziale, fin quando verrà lasciata all’esterno di un disegno strategico approfondito e organizzato. Definire dove, come e quando si voglia arrivare, significa fotografare un obiettivo in ragione delle prospettive, della condivisione e della sua sostenibilità: se un grande sogno è sorretto dalla volontà e dalla ambizione di realizzarlo, esso prima o poi diventerà possibile.
Esiste una contraddizione profonda nei termini della transizione che stiamo attraversando: mentre la portata dei cambiamenti indurrebbe ad un quadro organico di convergenza e di coordinamento delle risorse intellettuali, fisiche, economiche e politiche, necessarie ad affrontare e risolvere le questioni che ci stanno davanti, l’atteggiamento di chi riveste i ruoli di responsabilità tende a privilegiare, invece, soluzioni parziali e a breve scansione, forse, perché più adatte ad alimentare un modello impostato su risposte brevi e ritorni rapidi, oltre che sulla scelta singola anziché condivisa.
Se le cose sono arrivate a questo punto, ciò non ci esime, però, dal sottolineare come la politica, in questa fase, abbia smarrito non solo il proprio primato rispetto al mercato, ma sia incapace di presentare ai cittadini che la eleggono, un orizzonte in qualche modo credibile . Giova, peraltro, ricordare che un sistema sano ed efficiente, qualunque sia la scala lo riguarda, non va mai pensato come la sommatoria elementare di situazioni parziali e provvisorie , ma include una visione complessiva , impostata sull’interazione delle forze coagenti, proiettate verso la crescita e il futuro del risultato generale. Ogni altra proposizione, intesa al perseguimento di interessi minuti, o di parte, non può realizzarsi senza che la sua azione, inevitabilmente, arrechi danno, al sistema.
La città, in quanto emanazione del modello economico , politico e civile, esprime in linea diretta la condizione nella quale è immerso l’agire della società. Condizione che ci vede, in questo tornante, impegnati nella ricerca di soluzioni urgenti e praticabili, a temi di enorme complessità, che riguardano non solo la dimensione fisica della urbs, ma anche il modus vivendi dei suoi cittadini. Lo spazio, dunque, connesso non solo alla disponibilità di prodotti e di servizi, che la città rende disponibili, ma la sua capacità di generare cultura e società, di offrire qualità alle prestazioni e opportunità di crescita al suo interno, di creare il piacere e il bisogno di partecipare al suo processo di crescita, sentendosene parte utile. Solo una ritrovata dimensione che ponga l’uomo al centro di questo processo potrà evitare che la città esaurisca la sua funzione millenaria di educatrice democratica, come qualche urbanista ha preannunciato e, con essa, finisca anche il corso dell’uomo cittadino.
Se fino a ieri, questi temi hanno destato scarsa attenzione perché ritenuti privi di applicazione e concretezza , rispetto a quelli dell’economia e del lavoro di cui si è occupata la politica, oggi sembra più matura la consapevolezza di come tali aspetti si intreccino viceversa in modo vivo e profondo con le nostre esistenze, di come il territorio e la città non possano intendersi come prodotti di consumo, ma beni collettivi, preziosi e delicatissimi, perché esauribili e soggetti a rovinarsi se non trattati con cura. Ciò implica quanto sia urgente rivedere il nostro atteggiamento nei loro confronti , all’interno di un progetto di rigenerazione della città e del suo insieme territoriale, quali fattori di rilancio di valori sociali condivisi, e di controllo delle conflittualità con le quali stiamo già convivendo.
Viviamo, per nostra fortuna, in un territorio dove la coscienza di questi valori è patrimonio diffuso e consolidato ( almeno fin qui ). Segno che, chi ci ha vissuto prima di noi si è occupato non solo del contingente, ma ha pensato a un progetto rivolto anche al futuro, una città e un territorio da tramandare alle generazioni successive, in quanto bene necessario allo salute della comunità, e perciò da utilizzare con riguardo e intelligenza.
Non occorre molto per comprendere la grandezza di questo messaggio, messaggio proveniente da una civiltà consapevole della responsabilità che andava a gestire. Messaggio, da porre al centro di qualunque trasformazione urbana o territoriale si renda necessaria da ora in avanti.
Il territorio che ci contiene, racconta la storia del rapporto dell’uomo con la terra, rapporto fatto di lavoro e di attenzione, di esperienza e disciplina , di applicazione e di cura, di manutenzione e di risultati. Ciò ha richiesto l’impegno di intere generazioni, ma l’esito di questo processo non rappresenta una conquista acquisita, una volta per sempre, semmai, disegna una sfida aperta al confronto con le mutazioni impetuose che ci stanno venendo incontro.
Abitiamo una conformazione urbanistica che, per storia, geografia, caratteri economici e sociali, assonanze politiche e convergenze programmatiche, qualità civili e democratiche, rappresenta un contenitore straordinario, capace di esprimere, non solo potenzialmente, un “nuovo”modello urbano: una città che intreccia i suoi i confini all’interno di un doppio rapporto con la campagna: una città ad anello, per buona parte già realizzata, rivolta per un verso su una vasta area verde, posta al suo centro ( l’area che da Serravalle si prolunga attraverso l’oasi di Arno vecchio, fino a lambire Fibbiana), per l’altro, contornata dal sistema collinare, aperto nella sola direzione della piana del fiume.
L’anello urbano non è attualmente concluso, in quanto una sezione verde, quella del pedecollinare sud, (tra il complesso Cabel- ComputerGross e Via Viaccia), attende di completarsi. Se questa conformazione, creatasi in modo,per lo più, spontaneo, diventasse la visione collettiva e condivisa delle diverse comunità presenti, e trovasse le condizioni per svilupparsi secondo un disegno organico e unitario, oltre i confini delle singole amministrazioni, ci troveremmo, di fatto, di fronte ad una città attrezzata, per contenuti e dimensioni, oltre che per forma e qualità, in grado di divenire un fulcro urbano a scala regionale, adatto ad affrontare le proposizioni economiche e sociali prossime future.
La convergenza verso un centro direzionale unificato, l’ organizzazione di una maglia infrastrutturale,( per altro in corso) la presenza di una rete delle risorse (ancora inesistente), la riqualificazione del corso del fiume come nuovo asse strategico finalizzato alla navigabilità commerciale e turistica, la localizzazione dei luoghi di lavoro in un rapporto di nuova urbanità, la presenza di nuove qualità dei servizi per il cittadino,( dallo sport alla cultura), la costruzione di nuove stazioni di scambio commerciale, la creazione di nuovi centri di formazione e servizi avanzati, il progetto dell’area verde centrale, rappresentano alcuni dei possibili appuntamenti di questo percorso.
Si tratta di un investimento a tempi neanche inverosimili, considerato che lo scheletro dell’impianto già esiste. Ma si tratta di una fotografia di cui esistono solo i contorni del sogno ,al quale si potrebbe e si dovrebbe ambire, per lasciare a quelli dopo di noi, il segno di una scelta strategica centrale, scaturita da una fase declinante nella quale una collettività che si eleva a protagonista e si assume la responsabilità di una scelta di fronte alla storia divenendo essa garante del bene comune.
All’interno di un programma di sviluppo organico e sostenibile, come quello prospettato, la rigenerazione del centro storico della città acquista un profilo diversamente collocabile. Se la città si pone al centro di questo schema, il centro storico torna ad essere centro d’area e si alimenta non più solamente del vissuto dei suoi abitanti, ma anche della presenza consistente di un esterno, richiamato dalle sue qualità e dall’offerta di nuovi servizi. Altri scenari, affidati a tentativi sperimentali,come il reinnesto di alcune funzioni nobili in contenitori in di pregio, la pedonalizzazione allargata del reticolo stradale, la riqualificazione del decoro spaziale, rappresentano, passi utili ,certo, ma impotenti di fronte alla progressione di una crisi che sta aggredendo la città non solo in superficie ma anche in profondità. Anche la saturazione graduale dei vuoti urbani, periferici o centrali, (giustificata dall’assenza di domanda edilizia), non arresterà la spinta recessiva perché,evidentemente, la città non offre più richiamo all’investimento e alla qualità dell’abitare. Si potranno con tali operazioni, ricomporre formalmente gli spazi, evitare o contenere fenomeni di conflittualità e di degrado metropolitano, ma questo non sarà sufficiente per rimuovere il clima di impotenza che immobilizza qualunque tipo di investimento.
Con il territorio, l’abbiamo detto, non si fanno scommesse azzardate, perché ogni decisione genera conseguenze con le quali ,a volte, fanno i conti diverse generazioni. Ma neppure si può pensare come soluzione del problema di affrontarlo pensando di trovarsi difronte ad un crisi passeggera. Si tratta di una crisi di sistema che richiede per la sua soluzione, un salto visuale e il coraggio di scelte forti.
Finale provvisorio: se consideriamo il risultato che abbiamo davanti, come il migliore possibile, nel rapporto costi prestazione, la scelta ci condurrà a difendere il mantenimento dello linea in atto, sostenuta dalla tesi che la crescita della popolazione urbana non segnala incrementi e , dunque, conviene,, investire sulla qualità dei servizi più che sulla crescita della città. Ma per migliorare la qualità dell’offerta occorrono risorse e investimenti, difficili da reperire in fase recessiva. Perciò, siamo al punto di partenza. Anzi, c’è da aspettarsi che lo stesso mantenimento dell’offerta attuale diventi sempre più penalizzante e problematico. Possiamo attendere che il vento cambi direzione e nel frattempo domandarci quali errori sono stati commessi. Ma, più opportunamente, bisogna evitare di stare fermi e trovare il coraggio di compiere delle scelte significative. In queste condizioni i motivi di richiamo e di investimento risultano difficili. Un ciclo( favorevole?) si è esaurito e se si vuole dare inizio ad un altro bisogna introdurre un cambiamento forte. L’ordine che abbiamo prodotto è un ordine solo apparente, vuoto, perché privo di qualità e di contenuti, speculativo, perché prodotto da un mercato senza concorrenza, giustificato e sostenuto da pastoie burocratiche di ogni tipo e ordine. Questo modo di difendere il territorio, assegnandogli profili e divieti che spesso derivano da astrazioni e forzature, se non da previsioni sulla carta, non rappresentano più la soluzione adatta alla sua difesa, perché sclerotizzano i processi di sviluppo spontanei e lasciano su di esso vuoti e cicatrici difficilmente colmabili.
Un programma ordinato, di sviluppo edilizio territoriale, che disegni una nuova città per l’uomo, condiviso per area, impostato attraverso un disegno a scala ampia, per lungo termine ma flessibile nello sviluppo, rappresenta quella visione alla quale dovremmo fare riferimento in una fase come questa, se vogliamo, davvero aspettarci un cambiamento qualitativo e trasformare una crisi strutturale del sistema in una straordinaria opportunità di rilancio. Altri modi, sono quelli attraverso i quali si tira a campare, o per mancanza di coraggio o per convenienza.
Esistono altre ragioni che sostengono, secondo noi, la visione della città ad anello: di fronte ad una mutazione planetaria che sta ridisegnando le coordinate della città storica, pensiamo che un’ area urbana, immaginata e progettata per affrontare questo cambiamento, possa porsi all’attenzione di una regione e di un Paese,in termini di modello, quale centro d’eccellenza internazionale, per qualità di vita, livello culturale e specificità produttiva..
La presenza di un grande attrattore territoriale, alla convergenza della Valdelsa, diverrebbe, inoltre, riferimento qualificato per una vasta area, in grado di contaminare incisivamente sia il bacino del medio Valdarno sia quello della Val di Nievole, riproponendo, in quest’ordine, una questione che si pose intorno al 1850. In quella circostanza fu elaborato un progetto, poi abbandonato, di far passare da queste parti la linea ferroviaria nazionale: quella che doveva collegare il Nord alla Capitale, attraversando l’Appennino, via Modena-Pistoia, Empoli, Siena. E non passare da Firenze, come poi , invece, è avvenuto.
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