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Silvano Salvadori: per Renato Fucini

SPIGOLATURE DI CASA FUCINI

La prof.ssa Renata Pratesi, nata nel 1923, è stata così gentile da raccontarmi alcune spigolature che illuminano, pur senza profferir parola, quel nostro sagace concittadino che fu il Fucini. Innanzitutto la mia interlocutrice mi informa che porta il nome di Renata proprio per un omaggio al sor Renato, essendo stato suo padre, Guido Pratesi, compagno e “infermiere” degli ultimi mesi di vita del poeta.

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Ultima dimora del Fucini

Lo zio di Guido, Antonio Balducci, era fattore a Dianella e quando dovette spostarsi per un nuovo incarico presso il Vannucci di Empoli, lasciò al nipote la carica di fattore.

Guido aveva fatto fino alla terza elementare ed era colono dei Righini, in una casa dietro quella villa oggi destinata a Biblioteca in Sovigliana; ma sotto la guida dello zio e abilitato con un corso specifico divenne appunto anche lui fattore. Acquistò certo favori da parte della famiglia Fucini per la vicinanza e l’assistenza che prodigò al nostro poeta Renato, sofferente per la grave malattia alla gola che lo aveva ridotto a dover esprimersi con gesti ed una voce debolissima.

La cultura che Guido aveva tratto dalla terra lo faceva talvolta esprimere con una lessico ed una grammatica un po’ “zollosa” ed allora il buon Renato, che di quella grammatica era certo esperto e ne aveva fatto una sua fonte di ispirazione in tanti racconti, si portava il dito alla bocca e lo redarguiva per insegnargli le buone regole dell’italiano, riaffiorando in lui quella sua ultima carica di ispettore scolastico.

Un semplice gesto, silenzioso e rispettoso, che rivelava ancora quel desiderio di educazione alla nostra bella lingua e di riconoscenza per chi lo accudiva in questa sua ultima avventura di caccia alla vita, che nella casa di Empoli lo vide come preda invece che come cacciatore.

Il sor Renato passava le sue giornate a volte sulla terrazza a solatio della villa e sempre più spesso in quel granaio riadattato a studio, ovvero lo Studionaio, al centro del quale aveva trovato posto anche un letto a baldacchino. Vi si accedeva, salendo tre gradini, dal primo piano, dopo aver lasciato sulla sinistra la camera della figlia Ida; qui spesso si rifugiavano, Guido e Renato, per le ultime lezioni che il Prof. “Dolore” impartiva a due esseri umani divisi per età da mezzo secolo, ma vicini nell’intelligenza della campagna che li circondava.

Certo il Fucini deve aver preso dalla sagacia del padre David quello spirito scanzonato e libertario che lo caratterizzava, come pure una grande quantità di aneddoti che la sua professione di medico condotto certo non gli aveva lesinato.

La signora Renata Pratesi ricorda che sulla parete della loggia della villa di Dianella verso oriente, il dott. David aveva scritto, a mo’ di sentenze che con le folate del vento potessero portare qualche frizzo di sapienza al volgo bacchettone, alcune rime. Una di queste diceva:

“Signore, un soldo per amor di Dio.

 Gesù vi salvi da ogni disgrazia!”

“Ecco il soldo pregate a conto mio.”

“Subito: Avemaria piena di Grazia!”;

ma appena il cavallo prese il trotto

mi trovai in terra con un braccio rotto”.

In “Acqua passata” Renato dice del padre: “Era nato poeta: poeta satirico; e adoperava la sua vena a tagliare a fette, con la lingua e con la penna, coloro che a lui non piacevano… Trascrivo qui alcuni epigrammi che con gran gioia di mio padre, piacquero anche al Carducci, il quale gli chiese copia di alcuni”. Uno di questi ha per titolo “Empoli”:

Ma in quel d’Empoli… il caso è proprio strano:

o muore un ciuco o nasce un sagrestano.

I lecci che circondano ancora il bozzo d’acqua in testa al viale di cipressi cercano forse ancora di ritrovar quel tempo passato, cercano ancora specchiati nell’acqua i visi di quei bimbi che in festosa compagnia sull’aia giocavano in circolo allo “sculaccione”; piccoli eventi che ancora fremono nell’anima della signora Renata Pratesi e ne invadono la mente come un ricordo stagnante che il tempo ha sigillato, ma che possiamo anche dissigillare riaprendo semplicemente le belle pagine del nostro grande Fucini.

5-2-13

Ma a conclusione è forse giusto ricordare ai nostri lettori uno di quei sonetti in vernacolo pisano di Renato Fucini di una cogente attualità:

Er Parlamento.

Sono stato a Firenze ar Parlamento

Pel senti’ ragiona’ quell’ arruffoni :

Nun fann’ artro che ride’ unni (1) mumento.

Che robba, bimbo mio, be’ mi’ lattoni (2) !

E di’ che son armèno (3) ‘n cinquecento

A mangiare alla balba de’ ‘oglioni !

Vedi, mi sento ‘r sangue bolli’ drento….

Di già sèmo ragazzi tròppo boni.

Se’ ma’ stat’ a vede’ lo Stentarello,

Quando ridan’ e fanno ‘r buggerio ?

Ti devi figura’ che appett’ a quello,

Pal (4) d’ esse’ ‘n chiesa, quant’ è vero Dio !

Ma quer ch’ è giusto è giusto: quer boldello

Lo fanno tutto pell’ Italia !… Addio !

Firenze, 1870.

1. ogni.

2. colpi a mano aperta su i cappelli a cilindro.

3. almeno.

4. Pare.

E questa ultima sua dedica:

Dedica

Al sole, al mare, ai nuvoli vaganti,

ai sereni stellati e agli uragani;

alle rupi nevose, alle sonanti

folgori, ai tetri abissi dei vulcani;

a te, Natura, al tuo divino ncanto

questi sorrisi miei, questo mio pianto.

 

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