Viale IV Novembre, tanti anni fa.
San Pietro in Castro a Monterappoli, una vergogna tutta italiana
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Sarebbe fin troppo facile affermare che queste cose possono succedere soltanto in questo nostro straordinario e contraddittorio paese chiamato Italia. Dove peraltro di cultura si mangerebbe, ma nessuno ne vuol sapere. E ancora una volta siamo costretti nostro malgrado a segnalare lo scempio.
Stavolta parliamo di una testimonianza artistica di eccezionale valore, l’oratorio di San Pietro in Castro. Si arriva a Monterappoli salendo da Empoli attraverso l’antico tracciato della via Salaiola, ricco di memorie legate al commercio del sale con l’entroterra toscano, percorrendo uno dei crinali più suggestivi dell’Empolese Valdelsa.
Giunti in paese, terminata l’ascesa al colle, la strada scende leggermente e, oltrepassata di poco la chiesa, ricomincia a salire per arrivare nel punto più alto del tracciato. Prima di imboccare una strettoia piuttosto pericolosa incassata fra le abitazioni e senza marciapiedi, sulla destra osserviamo la mole di una bella costruzione, elegante e austera. Si tratta della villa Orlandini. Proprio di fronte al prospetto settentrionale dell’agglomerato di case, imbocchiamo una scalinata che conduce ad un passaggio pubblico. Da lì si arriva fino all’acropoli del borgo, un tempo sede della rocca e dell’insediamento castellano.
Ma prima di salire alla rocca la nostra attenzione è attratta da un edificio prospiciente la villa Orlandini e un tempo sicuramente di pertinenza di questa. Siamo arrivati di fronte all’oratorio di San Pietro in Castro. Nomen omen, nel senso che siamo nei pressi dell’antico castello, il castrum appunto. Appare subito un estremo degrado tutto intorno al magnifico edificio, che a prima vista sembra inserito nell’area del parco pubblico.
Ci avviciniamo e osserviamo molte piante cresciute in prossimità delle mura dell’oratorio: pericolose acacie, arbusti di ogni genere, vegetazione infestante e alberi ormai di notevoli dimensioni che insidiano la stabilità del complesso. Avvicinandoci ancora, attratti dalle forme aggraziate e dai pregevoli materiali decorativi da costruzione, dietro un cancelletto malfermo e praticamente inutile, ci affacciamo verso l’interno. Ed è qui che scorgiamo lo scempio. Alla nostra vista centinaia di piccioni si levano in volo all’interno dell’oratorio, fanno capolino dagli oculi e dalla lanterna della cupola, svolazzano su un orripilante e spesso strato composto di guano e volatili morti accumulatosi lì chissà da quanto tempo, depositano i loro bisogni sull’altare maggiore e sulle nostre teste e incuranti si allontanano da quello che un tempo era un autentico scrigno d’arte. Ma com’è possibile che si possa lasciare in queste condizioni una tale testimonianza artistica? E quali vicende hanno consentito lo sviluppo di questa vergogna? Cerchiamo di capirlo. Inviati del quotidiano Il Tirreno vennero qui nel 2006, e fu l’occasione per documentare lo
stato in cui versava la costruzione. Siamo andati a ripescare gli articoli. Da allora nulla è cambiato, anzi, tutto è peggiorato notevolmente. I residenti di Monterappoli sostengono sia di proprietà del Comune. All’epoca l’affermazione venne smentita: «Non è di proprietà comunale – dissero gli organi competenti – anche se in più occasioni ci siamo mobilitati per la pulizia e manutenzione. Dell’oratorio di San Pietro in Castro abbiamo pochissime attestazioni. Sappiamo che era censito nel catasto leopoldino nell’Ottocento.
Ad ogni modo non è del Comune. Forse appartiene agli eredi di Annibale Orlandini, che ne ha fatto il restauro nel 1630». Qualcuno dice che, per passaggi di proprietà e eredità in epoche ormai lontanissime, la chiesetta appartenga a privati. Ipotesi accreditata allora anche dalla Soprintendenza ai Beni artistici e storici. «L’oratorio di San Pietro in Castro a Monterappoli non compare nei nostri cataloghi – dissero da Firenze – e questo è un problema anche per noi. Se volessimo occuparci della manutenzione, del restauro o del reperimento delle informazioni, dovremmo aver chiaro il nome del proprietario». Invece il bene di qualcuno dev’essere.
E comunque l’attività di tutela spetta alla soprintendenza. Ed è possibile che, in assenza di documenti che comprovino il contrario, l’edificio appartenga o al comune, visto che si trova in un’area incastonata in proprietà di pertinenza comunale, o molto più probabilmente al demanio, quindi allo stato italiano. È noto del resto che, quando si acquista un bene, generalmente nessuno vuole la proprietà di terreni sui quali sorgono strutture sacre. È un fenomeno diffuso che i notai e gli operatori del diritto conoscono bene.
Chiese e oratori, per il timore che rechino con se gravami di natura ecclesiastica come la decima da versare alla pieve, od obblighi e oneri di qualche genere, spesso vengono a far parte di piccole porzioni di terreno staccate che poi rimangono in una sorta di limbo, anche dal punto di vista giuridico. Alla fine il proprietario diventa lo stato, come probabilmente è accaduto in questo caso particolare, in cui, al momento dell’ennesima successione, nessun erede legittimo ha accettato l’eredità. Fatto sta che evidentemente alle istituzioni non interessa salvare l’oratorio.
L’oratorio
L’oratorio rinascimentale di San Pietro in Castro fu fatto restaurare da Annibale Orlandini nel 1630 e consiste in un tempietto a base esagonale completamente realizzato in laterizio, un tempo protetto dall’intonaco, e caratterizzato dalla cupola anch’essa in laterizio simile a quella di diversi edifici costruiti tra Cinque e Seicento nel contado fiorentino. La costruzione presenta uno zoccolo modanato ed è chiusa da una cupola a spicchi, coperta a squame in laterizio e sormontata da una lanterna in pietra serena. L’interno, devastato, è illuminato da sei oculi ed ha il lato opposto all’ingresso occupato da un grande altare lapideo.
Paolo Santini
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