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Nota sui fatti di San Miniato. Occhio ai refusi – di Giuliano Lastraioli

La polemica sulle lapidi di San Miniato sta precipitando nel ridicolo.
A sui tempo non mancai di rilevare quanto fosse falsa quella del professore Luigi Russo e quanto fosse moscia quella del presidente Scalfaro.
Mi onoro di avere servito più volte la messa al canonico Enrico Giannoni e di averne più volte ascoltato le sue puntuali filippiche in merito alle cause dell’eccidio del 22 luglio 1944.
Sono stato un pioniere della ricerca storica.
Monsignor Stacchini e don Luciano Marrucci mi hanno dato una mano e confortato nell’impresa.
Nel Luglio del 1988 scrissi il primo pezzo sull’argomento. Il lavoro fu sbriciolato in varie puntate e pubblicato di malavoglia da una redazione allora impaurita dalla verità. I tempi non erano ancora maturi per far digerire la storia a chi la negava per partito preso.
Nel luglio 1991 uscì “Arno-Stellung”, scritto in collaborazione con Claudio Biscarini. Fu quello un vero siluro contro la tesi del misfatto tedesco.
Ne fece tesoro anche il professor Paoletti nel suo successivo volume, supportato da varie perizie tecniche.
Si può affermare che, a quel punto, i fatti siano rimasti stabiliti.
Non basta, perchè nel 2001, sempre con Biscarini, pubblicai l’ammunition record della batteria americana che aveva sparato il colpo micidiale con l’ora e l’indicazione delle coordinate topografiche esatte. Si dava la prova “per tabulas” della responsabilità americana.
Da quel momento non c’è stata più requie.
Gli irriducibili sono insorti con le più bislacche teorie. Ne misi a posto uno stampando nel 2007 una brossura intitolata “De bilia”, che conteneva anche i vecchi interventi del canonico Giannoni e l’ordinanza di archiviazione del Tribunale Militare della Spezia.
Altri irriducibili continuano a negare l’evidenza (Bini e Cintelli), ma sono stati zittiti e confutati su ogni aspetto delle loro riserve da una chilometrica precisazione del colonnello Cionci, che fu tra i consulenti del professor Paoletti.
Ultimo ma non minimo è stato il professor Pezzino, autorevole ordinario dell’Università di Pisa, che però mette le mani avanti pur adombrando dubbi e incertezze tanto per tenere in vita la polemica.

Pezzino insiste sulla circostanza del concentramento di persone civili in duomo, ma dimentica che l’analoga operazione adottata in San Domenico non ebbe alcuna funesta conseguenza.
Non sussiste un diretto nesso causale fra tale iniziativa e l’esplosione omicida. Infine il cattedratico pisano dà credito allo scoppio di un ordigno tedesco presso il balaustro dell’altare maggiore, ma afferma di non esserne sicuro. E allora ?
Questi sterminazionisti farebbero meglio a farla finita.
Tempo addietro sfidai a contraddittorio, ma non hanno mai accettato un sereno confronto di vedute e di indagine.
Sono tuttora a disposizione.

16 Aprile 2015                          GIULIANO LASTRAIOLI


 

Giuliano lastraioli patrocinante

Questo articolo ha 2 commenti

  1. Ovviamente, visto che da 71 anni in città ci sono due schieramenti, a favore o contro la granata americana, l’effetto “punizione palese” di una ritorsione tedesca per motivi di appoggio ai partigiani decade. Se la punizione fosse stata, come era di regola, chiara a tutti non ci sarebbero queste polemiche sterili visto che una “memoria divisa” esiste anche tra chi era in Duomo quel giorno e non solo tra coloro che videro o seppero dopo.

  2. Il prof. Pezzino fa bene ad avere dei dubbi. La mina in Duomo non ha riscotri materiali visto che manca del tutto, sul pavimento sotto la balaustra, il caratteristico “foro” che fa un’esplosione che sfocia sia in alto che in basso se l’ordigno è poggiato a terra. Coloro i quali negano l’evidenza ci dovrebbero spiegare diverse cose. Le stragi di civili con cui i tedeschi insanguinarono l’Italia centrale, e soprattutto la Toscana, in quella estate del 1944 hanno tutte un modus operandi preciso che non si riscontra a San Miniato. Soprattutto dovevano servire di monito ai civili perchè non collaborassero con i partigiani e quindi l’azione di repressione doveva essere palese di una punizione collettiva con tanto, spesso, di esposizione dei cadaveri degli uccisi onde rimarcare la determinazione dei tedeschi a punire tutti coloro che, in modo volontario , avessero aiutato i partigiani. Ciò valeva anche per l’aiuto supposto o, addirittura, solo per sgomberare le retrovie delle linee di arresto in vista di una ritirata con POSSIBILI problemi con i partigiani. A San Miniato non sussiste nemmeno questo motivo in quanto la città non aveva nessuna importanza tattica per l’esercito tedesco che, invece, attestato sulla linea dell’Arno applicò questo metodo nel Padule di Fucecchio. E questo è solo un esempio di quel che si può contestare ai “negazionisti” della granata americana.

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