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“Il Cinema è l’arma più forte” – il cinema attraverso il ventennio fascista – di Martina Biscarini

Prima del fascismo: ascesa poi declino poi grande ascesa poi lento declino.

Il primo film a soggetto italiano la dice lunga su come si orienterà la futura produzione: si chiama La Presa di Roma, è del 1905, il regista è Filoteo Alberini ed è una pellicola capostipite del filone storico monumentale, che assieme al melodramma e al dramma realistico e alla commedia (che pure si diffonde dal ’05) costituiranno i generi in voga.
Il cinema italiano “muove i primi passi pensando in grande e puntando, senza alcun complesso di inferiorità, al mercato internazionale ”. L’Italia è all’epoca un paese definibile come proto­industriale, lo sviluppo economico non è omogeneo, la lingua parlata dagli italiani non è ancora una sola. Di conseguenza, il cinema italiano non nasce Roma­centrico: uno dei massimi studiosi di storia del cinema italiano, Gian Piero Brunetta, nota con un certo stupore come nel 1907 è piuttosto Torino ad essere la capitale del cinema italiano. Dal ’12 al ’15 sono gli anni migliori del cinema italiano delle origini.

Lo stile italiano piace e viene esportato fin negli Stati Uniti, dove dive comici e i cosiddetti pepla a soggetto storico­romano vanno a ruba, tipo Quo Vadis? di Enrico Guazzoni (1912), il primo kolossal della storia del cinema.
L’Italia cinematografica chiama poi a raccolta le dive del teatro, come Eleonora Duse (con un solo titolo, Cenere, 1916) o soprattutto Francesca Bertini, resa famosa dal ruolo partenopeo di Assunta Spina (1915), e la spezina Lyda Borelli, la divina di Ma L’Amore Mio Non Muore! (Caserini, 1913), Rapsodia Satanica (1915, musicato da Mascagni) e successivamente di Malombra (1917 di Carmine Gallone).
Infine, il cinema sperimentale. Citiamo Thais (1917) di Anton Giulio Bragaglia e le scenografie ipnotizzanti del Prampolini che ispirarono non poco l’espressionismo tedesco. O il purtroppo perduto Vita Futurista (1916) di Ginna nel quale eseguivano performances anche Balla (nel capitolo dal curioso titolo di Balla s’innamora di una sedia e ne nasce un panchetto) e Martinetti.

L’apoteosi di questo periodo fu, com’è noto, Cabiria (1914) di Pietro Fosco (cioè Giovanni Pastrone) e con Gabriele D’Annunzio come testimonial, perché fu chiamato autore, ma alla fin fine scrisse solo le didascalie. Anche Cabiria è certamente definibile come kolossal, se non altro per la lunghezza (3 ore e 10 minuti) e per il capitale speso (un milione di lire-­oro).

Negli anni successivi a Cabiria, e soprattutto dopo la fine della prima guerra mondiale, la nave dell’industria cinematografica italiana iniziò pian piano ad andare a fondo. A conti fatti, era cosa piuttosto prevedibile vista la natura dell’imprenditoria che fino ad ora aveva investito nel cinema.

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Curriculum dell’autrice dell’articolo, Martina Biscarini

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