Su facebook il lettore Salvatore Amenta ci passa una foto scattata la mattina del 31/10/1992…
Il Barco Reale Mediceo ieri e oggi – di Paolo Santini
Il Barco Reale era una delle più vaste e importanti bandite di caccia realizzate dai granduchi medicei fra il secolo XVI e il secolo successivo. Era un “recinto di muro”, con lo scopo di custodire e facilitare l’allevamento della selvaggina destinata alle cacce dei granduchi, che si snodava per oltre cinquanta chilometri (attualmente ne rimangono visibili circa 35), con un’altezza di due metri, racchiudendo tutto il crinale del Montalbano da Artimino a San Baronto.
Porte e cateratte. Lungo il percorso del muro erano presenti circa sessantacinque punti d’accesso, cateratte per il deflusso dell’acqua e un complesso sistema fognario. E proprio una di queste grandiose cateratte, una delle pochissime, forse l’unica rimasta, situata su un corso d’acqua che ha origine sul crinale del Montalbano nei pressi di Sant’Amato, è stata salvata da un crollo certo e restituita a nuova vita. Tutto questo è accaduto nel luglio del 2012. Artefici della straordinaria operazione, i benemeriti volontari dell’Associazione Sant’Amato a tavola, che hanno recuperato circa un chilometro di sentiero fino a pochi mesi fa impraticabile ed hanno messo in sicurezza la struttura muraria della cateratta tagliando l’insidiosa e distruttiva edera e altre piante infestanti che minacciavano l’integrità della muratura. L’operazione ha permesso di rendere visibile, per tutti coloro che lo vorranno, la magnifica opera muraria. Per arrivarci, a piedi, basta parcheggiare nei pressi della chiesa di Sant’Amato, salire oltre l’edificio sacro ancora per qualche decina di metri e prendere il primo stradello sterrato sulla sinistra. Il sentiero è percorribile da tutti, ed i volontari dell’associazione hanno recuperato proprio sul tracciato anche una antica fonte dalla quale sgorga acqua freschissima. Una visita da consigliare, soprattutto adesso che si sta avvicinando la bella stagione.
I Medici e la caccia. Già Lorenzo il Magnifico aveva iniziato ad acquistare terre sul Montalbano, ma l’impulso maggiore al reperimento di terreni per le cacce lo darà Ferdinando I, facendosi costruire la villa di Artimino (1596-1600) – la Ferdinanda appunto – nel luogo privilegiato di accesso a quello che poi sarà il Barco Reale, evidentemente già progettato o quantomeno previsto. Sicuramente la grandiosità dell’opera, la sua destinazione, l’essere stata costruita “per delizia” dei granduchi cacciatori, ne fa un’istituzione unica nel suo tempo.
Il bando. La bandita fu istituita ufficialmente con bando granducale del 7 maggio 1626: un vero e proprio regolamento di caccia, con pene severissime per i trasgressori. La selvaggina nobile – cinghiali, lepri, fagiani, oche, daini – era riservata alle cacce del Granduca; anche il taglio dei boschi all’interno del Barco era rigidamente regolamentato. Prima di arrivare alla Chiesa di Santa Maria Assunta a Faltognano, sulla destra, troviamo un nucleo di case, sul luogo dove si apriva una delle porte d’accesso alla riserva di caccia del Barco Reale Mediceo. Davanti alle case si erge la cosiddetta Cappella del Barco; la prima notizia sul muro infatti risale al 1624: è il “ricordo”, scritto il 6 ottobre di quell’anno dal parroco della chiesa di Santa Maria a Faltognano, della benedizione data il giorno stesso a un “tabernacolo”, la cui “muraglia […] la fece la fabrica del Bargo di Sua Maestà Granduca Ferdinando secondo Granduca di Toscana”: segno evidente che le maestranze granducali stavano già da tempo lavorando in quel periodo alla costruzione del muro. La speranza è quella di poter assistere un giorno alla valorizzazione piena e alla protezione dei tratti rimasti di quest’opera monumentale, sulla quale per adesso nessuno vigila. Ricordiamo che sarebbe difficile comprendere appieno la bellezza delle ville medicee di Artimino, Quarrata, Poggio a Caiano, senza aver presenti le funzioni e la maestosità del Barco Reale. Ampi tratti di muro restano visibili nei dintorni di Faltognano, Dero e Mignana (Vinci), del “colle” di Limite sull’Arno, nella parte più alta del comune di Carmignano.
Paolo Santini
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