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 2 Febbraio 1943, liberazione di Stalingrado – di Claudio Biscarini

Nel febbraio 1943, esattamente 73 anni or sono, la guerra per gli italo-tedeschi era arrivata a un punto di non ritorno. Il 23 gennaio l’8th Army britannica, con il 1st Gordons, con carri del 40th Royal Tank Regiment e una compagnia del Seaforth su camion, entrava in Tripoli. La bandiera italiana, innalzata nel 1911, veniva inesorabilmente ammainata sulla colonia Libia.


Claudio Biscarini

 

 

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Il 2 febbraio, la bandiera rossa sventolava sulle rovine di Stalingrado. La gigantesca battaglia iniziata con l’avvio dell’operazione Blu il 28 giugno 1942, ovvero l’avanzata tedesca verso il Volga, si era conclusa.

Nella città rimanevano 91.000 prigionieri della 6. Armee tedesca, con 22 generali e un feldmaresciallo.

Gli scontri veri  e propri erano iniziati il 17 luglio 1942 quando le avanguardie tedesche erano giunte ai sobborghi della città che prendeva il nome di Stalin. L’imperativo per i russi era di resistere a ogni costo. “Non un passo indietro”, diceva infatti l’ordine n. 227 del 28 luglio 1942. Tra agosto e settembre, la lotta divenne aspra e si combatteva all’interno della città. Il 12 settembre 1942, al comando della 62a armata che contendeva ai soldati di Paulus le rovine di Stalingrado, arrivò il generale Vasilij Ivanovič Čujkov che si avvaleva della collaborazione del Commissario del Popolo Nikita Sergeevič Cruščëv. Il Fronte di Stalingrado andò sotto il comando del generale Andrej  Ivanovič Erëmenko: un trio di “duri”. Ad ottobre, la 6. Armee sembrava vicina alla vittoria. I nomi delle posizioni contese divennero tristemente famosi: la fabbrica di trattori, la fabbrica Barricady, la Krasnij Oktjabr, il mammellone di Mamaev Kurgan.

Stalingrad_Encirclement_it

Il 19 novembre 1942 scattò l’operazione Urano con la parola d’ordine Sirena, attuata dal  Fronte Sud-Ovest del generale Nikolaj Vatutin con la 1a armata della Guardia, la 5a armata corazzata, la 21a armata; il Fronte del Don del generale Konstantin K. Rokossovskij con la 66a armata, la 24a armata e la 65a armata a cui dava manforte il Fronte di Stalingrado con la 64a armata, la 57a armata e la 51a armata.

L’attacco a tenaglia, con un tempo meteorologico che stava diventando proibitivo, si chiuse il 23 novembre quando unità del 4° Corpo corazzato del Fronte di Nord-Ovest si incontrarono con il 4° Corpo meccanizzato del Fronte di Stalingrado nella località di Sovetskij pochi chilometri da Kalač il cui ponte, importantissimo, era stato preso di sorpresa il 22 novembre. La reazione tedesca fu inefficace, tardiva e confusionaria.

Nel Kessel di Stalingrado, la sacca, restarono: la 16. Panzer-Division, la 60. Infanterie-Division e la 3. Infanterie- Division del XIV Panzer-Korps guidato dal General der Panzertruppe Hans Hube; l’XI Armee-Korps del Generalleutnant Streker, con la 44. Infanterie-Division, la 376. Infanterie-Division e la 384. Infanterie-Division; l’VIII Armee-Korps del General der Artillerie Heitz con la 76. Infanterie-Division e la 113. Infanterie-Division; il IV Armee-Korps agli ordini del General der Pioniere Jaenecke con 29. Infanterie-Division, 297. Infanterie-Division e 371. Infanterie-Division; il LI Armee-Korps agli ordini del General der Artillerie Walther von Seydlitz-Kurzbach con 71. Infanterie-Division, 79. Infanterie-Division, 94. Infanterie-Division, 100. Jäger-Division, 295. Infanterie-Division, 305. Infanterie-Division, 389. Infanterie-Division, 24. Panzer-Division a cui si aggiungevano la riserva di armata composta dalla 14. Panzer-Division e dalla 9. Flak-Division, più 2 divisioni romene, un reggimento croato e 79 soldati italiani, autieri che erano stati mandati a Stalingrado a caricare legna. In totale circa 280.000 militari dell’Asse. Nella sacca, da subito, divenne palese che tutti questi uomini avrebbero avuto bisogno di una quantità enorme di approvvigionamenti. Hitler proibì l’uscita dall’accerchiamento che, forse se effettuata subito avrebbe avuto qualche successo. Per alimentare e rifornire le unità rimaste chiuse, il Reichsmareschall Göring, mentendo sapendo di mentire, assicurò che la Luftwaffe avrebbe trasportato nei tre campi di volo presenti all’interno dell’accerchiamento, Gumrak, Pitomnik e Barbukim, le derrate, le munizioni e il carburante necessari a far combattere l’armata. Niente di più falso, fu solo un modo per perdere un gran quantitativo di aerei da trasporto Ju 52.

Il 12 dicembre 1942, i tedeschi tentarono di rompere l’accerchiamento, nel frattempo la vita nella sacca stava diventando impossibile, con l’operazione Wintergewitter (Tempesta invernale) programmata dal geniale von Manstein e diretta sul campo dal generale Hermann Hoth. Inizialmente, con un tempo infernale, l’avanzata procedette fino a che il 19 dicembre, elementi della 6. Panzer-Division arrivarono a 48 chilometri dal perimetro della sacca dove vennero fermati. A quel punto non rimaneva che la possibilità per salvare gli uomini rinchiusi, o almeno una parte di loro, che Paulus ordinasse una sortita. In questo senso venne organizzata l’operazione Donnerschlag (Colpo di Tuono) che non ebbe mai attuazione per il rifiuto di Hitler di ordinare l’uscita dall’accerchiamento.

Il 16 dicembre 1942 scattava l’operazione Piccolo Saturno da parte sovietica, contro i reparti dell’8a armata italiana e i romeni che si trovavano scaglionati a difesa della riva occidentale del Don. Le nostre divisioni di fanteria si difesero con accanimento per alcuni giorni, poi i carri T 34 russi sfondarono e si diedero a una corsa verso le nostre retrovie e quelle rumene. Iniziava la tragedia della ritirata di Russia. In più, l’attacco sovietico costrinse von Manstein a far ripiegare le unità che avrebbero dovuto arrivare alla sacca per non cadere in una trappola più ampia. Da quel momento, la fine dei soldati della 6. Armee era decisa. I sovietici in avanzata occuparono anche alcuni dei campi da cui partivano gli aerei per Stalingrado, rendendo quasi impossibile far arrivare rifornimenti nella città assediata ed evacuare i feriti. La fame, le malattie, la mancanza di cure e i combattimenti stavano distruggendo la 6. Armee. Il 12 gennaio 1943, sul fronte del Corpo d’Armata Alpino italiano e delle unità ungheresi, iniziava l’operazione Ostrogorzk-Rossoš che inflisse una cocente sconfitta ai nostri militari che iniziarono una lunga, lenta, ritirata aprendosi la strada combattendo.

Dal 10 gennaio, sul fronte di Stalingrado, era iniziata l’operazione Anello e i sovietici, a poco a poco, conquistarono tutto il territorio fino a spezzare la sacca in due. Il 31 gennaio 1943, Paulus, promosso feldmaresciallo da pochi giorni, si arrese al generale Mikhail Sumilov della 64a armata. Il 2 febbraio 1943, le restanti forze tedesche, al comando del generale Karl Strecker si arresero ai sovietici. 91.000 prigionieri venivano inviati verso le retrovie. Le perdite sovietiche ammontavano a 485.751 morti e 650.000 feriti. I tedeschi ebbero, dentro la sacca, 140.000 morti e dispersi e 91.000 prigionieri. Furono distrutte 20 divisioni tedesche a Stalingrado, 15 nelle operazioni fuori dalla sacca, 10 divisioni italiane e 10 ungheresi e 19 rumene.

A mezzogiorno del 2 febbraio 1943, un solitario aereo da ricognizione tedesco sorvolò la città. Il pilota trasmise questo messaggio: “Non ci sono più segni di combattimento dentro Stalingrado”. La corsa dell’Armata Rossa, pur con tanto sangue ancora da perdere, era iniziata e si sarebbe fermata a Berlino il 2 maggio 1945.

 

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