Claudio Biscarini: Storia militare, troppi ne parlano, pochi la conoscono.
Quella branca dello studio della storia che definiamo “militare”, molto accreditata all’estero, in Italia ha pochi, valorosi adepti. Tanti che si classificano come “storici militari” in realtà mescolano abilmente politica e cognizioni militari di cui, molto spesso, hanno solo un minimo sentore. Certo che “la guerra è la politica che continua con altri mezzi” (oggi si può fare questo parallelo riferendosi all’economia) e quindi fare storia militare senza affrontare anche problemi politici non è del tutto possibile. Sacrificare, però, alla politica problemi di stretta valenza militare e fuorviante per capire cosa avvenne in un determinato luogo in una determinata data. Alla fine, pur con tutte le risultanze politiche che si vuole, è sul campo di battaglia che si decide tutto. Uno dei classici esempi di come la storia militare tout cout, ripeto molto studiata all’estero specialmente negli Stati Uniti, in Francia e nei paesi del Commonwealth britannico, è la campagna d’Italia e il ruolo del soldato tedesco rispetto ai corrispettivi militari avversari. Molto inchiostro è stato scritto sulla disgraziata campagna che vide protagonista la nostra penisola e, spesso, è stato inchiostro buttato. Lo stesso dicasi per la figura del soldato tedesco che fu oggetto, per quanto ci riguarda, di uno studio ad hoc per la rivista francese 2é Guerre Mondiale di anni fa.