Skip to content

Silvano Salvadori: La Deposizione di Santa Felicita del Pontormo

Credo che questa pala, nella cappella Capponi della chiesa di S. Felicita a Firenze, sia il sublime assoluto della pittura e confrontarsi ad essa con le parole è impresa ardua.

Jacopo_Pontormo - deposizione

Jacopo per eseguire questo lavoro eresse una staccionata a chiudere la cappella per non avere occhi indiscreti che ne guardassero il procedere dei lavori e la meraviglia dei fiorentini, quando fu aperta, fu molta. Io direi lo stupore, perché l’opera questo suscita: certezza che l’autore ha conosciuto la pienezza del gesto di deporre il corpo di un Dio quale lo è non per sola dottrina teologica, ma per coscienza in una madre che eterna si erge a proclamare il dramma della separatezza che la morte produce da ciò che divinamente ella ha messo al mondo. Ogni madre ha partorito un dio per sé, e quando la storia sovverte la logica successione delle morti, il dolore non ha il nome di dolore, ma è puro dissolvimento doppio della vita.

L’opera va vista nell’insieme della Cappella che ha, sulla destra, l’Annunciazione in affresco con al centro la vetrata della “Deposizione nel sepolcro”, sui pennacchi i quattro evangelisti e sulla cupola (distrutta per l’affaccio eseguito dal corridoio vasariano) Dio padre. La luce viene da destra dalla finestra reale della cappella.

A livello iconografico in questa opera del Pontormo c’è un una sorta di compendio fra quello che intendiamo come: Deposizione dalla croce, Compianto su Cristo, Deposizione nel sepolcro. Erano, questi, temi ben definiti che Jacopo rivoluziona.

Inconsueto il trasporto di Cristo fatto dagli angeli che si prendono tutto il carico del lavoro. Quello in basso ha gli occhi pieni di pianto e ci guarda quasi a dirci: “Come potete non piangere anche voi!”

Cristo vien deposto quasi sulla reale mensa dell’altare della cappella; infatti gli angeli procedono con un movimento rotatorio per adagiarlo infine, vera carne, sull’altare stesso. Il critico Natali suggerisce che da qui, mentalmente, noi prefiguriamo la sua ascesa e resurrezione al fianco del Padre che lo attende al centro della cupola, secondo la testimonianza che ne danno gli evangelisti presenti nei pennacchi.

Panis angelorum; nella Bibbia il Salmo 77 ricorda l’anticipazione eucaristica della manna, chiamandola “pane degli angeli”(25)

l’uomo mangiò il pane degli angeli,

diede loro cibo in abbondanza.


Tale enunciato, attribuito a Cristo, lo riprende S. Agostino nell’Omelia 13:

“Panem coeli dedit eis: panem Angelorum manducavit homo. Quis est panis Angelorum? In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Quomodo panem Angelorum manducavit homo?”

Lui è il pane degli angeli, manna della nostra salvezza nel deserto; e qui lo spazio è deserto di cose, di oggetti, di segni fisici del mondo. E’ deserto per i nostri sensi, ma pieno di emozionanti sentimenti che direttamente parlano all’intelletto.

Ma soprattutto San Tommaso lo celebra nei due canti liturgici da lui composti, su commissione di papa Urbano IV, allorchè nel 1264 istituì la festa del Corpus Domini, dopo il miracolo di Bolsena, per il il dogma della transustanziazione. InPange lingua”:

Canta, o mia lingua,

il mistero del corpo glorioso

e del sangue prezioso

che il Re delle nazioni,

frutto benedetto di un grembo generoso,

sparse per il riscatto del mondo.

….

Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola

il pane vero nella sua carne

e il vino nel suo sangue,

e se i sensi vengono meno,

la fede basta per rassicurare

un cuore sincero.

 

Anche a noi i sensi vengono meno, come a Pontormo, perché gli occhi più non vedono le cose reali del mondo, ma tutto si dispiega in un teatro del mondo, vero nell’anima più che nella vita.

Ancora Tommaso in “Lauda, Sion Salvatorem”:

….

Ciò che non comprendi, ciò che non vedi,

ardita assicura la fede,

contro l’ordine delle cose.

Sotto specie diverse,

(che sono) solamente segni e non cose,

si nascondono cose sublimi.

……

In questa mensa del nuovo Re,

la nuova Pasqua della nuova legge

pone fine al vecchio tempo.

La novità (allontana) la vetustà,

la verità allontana l’ombra,

la luce elimina la notte.

………

Ecco il pane degli angeli

fatto cibo dei viandanti:

vero pane dei figli

….

Tu fa’ che noi vediamo le cose buone

nella terra dei viventi.

“Ciò che non comprendi, ciò che non vedi, ardita assicura la fede”. Quante volte Jacopo avrà sentito e meditato quest’inno, dietro la staccionata quando era intento al lavoro! Anche qui “si nascondono cose sublimi”; vediamo “segni e non cose” e tutto si posiziona e  si muove “contro l’ordine delle cose”.

“La verità allontana l’ombra, la luce elimina la notte”: i Compianti e le Pietà hanno sempre ambientazione notturna; qui l’ombra è allontanata e la luce, tanto bianca da vulcanizzare i colori, elimina la notte.

Panis Angelorum factus cibus viatorum, ripete da S.Agostino: noi viandanti quante volte incontriamo la passione di uomini e ci voltiamo altrove?

Potrebbero soccorrerci le parole del poeta; Dino Campana descrive una scena che una certa Catrina incontrata nel suo pellegrinare, rivivendola come un’opera del Ghirlandaio:

come è dolce [il tuo pianto] quando tu assistevi alla scena di dolore della madre, della madre che aveva morto l’ultimo figlio. Una delle pie donne a lei dintorno, …. cercava di consolarla: ma lei non voleva essere consolata, ma lei gettata a terra voleva piangere tutto il suo pianto”.

Qui Maddalena rimane sospesa col fazzoletto in mano  per detergere le lacrime di Maria, forse già esaurite; per questo non agisce, non conclude il suo gesto. Ed anche noi assistiamo impietriti; anche Nicodemo, in cui Jacopo si ritrae, rimane lontano a guardare.

Nessuno è santo, nessuno ha aureole, non c’è gerarchia fra i dolenti.

In alto una donna porta un telo bianco in cui forse avvolgerà il Cristo, un Cristo che è come un bimbo addormentato soffice nella carne; sembra tolto dalle braccia di Maria, seduta non si sa dove, come uscisse dalla Pietà di Michelangelo: per questo sembra ancora reclamarlo con un ultimo gesto.

I piedi delle figure non posano su di un piano prospettico: vicini, pur nel passo, quelle dell’angelo dietro, troppo distanti fra loro quelli dell’angelo inginocchiato; ancora più distanti e visti come dall’alto i piedi di Maddalena.

Da una impalcatura invisibile procedono le altre figure sporgendo con un anima di pietà verso il centro del quadro: quel fazzoletto che non detergerà nessun pianto perché il dolore lo gela dentro le palpebre.

Una nuvoletta vagante per lo spirito del vento è l’ultimo testimone. Non esiste azzurro nel cielo perché è disceso in terra fra le genti e il rosa della nuvola di un lontano tramonto è divenuto carne.

11-1-13 Silvano Salvadori

Torna su