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L’empolese di Dongo

di Claudio Biscarini

Il nuovo interessantissimo libro di Giuliano Lastraioli [1] ha portato di nuovo alla ribalta un nome ai più sconosciuto a Empoli: Idreno Marco, Benedetto Utimpergher, o Utimperghe [2]. Chi era costui?  Era nato primo di quattro fratelli a Empoli il 9 dicembre 1901 [2/bis]. Il padre Giovanni nato nel 1876 era venuto via da Murano per la crisi del vetro e, arrivato nella nostra città, mise su una piccola impresa di fiaschi e sposo Drusola Dicomani nata nel 1881. Idreno, invece, non si sposò mai e rimase molto attaccato a due sorelle insegnanti.
Si vociferò, all’epoca, di una sua relazione con Elena Curti figlia naturale di Mussolini ma senza prove. Il fratello Italico, nato a Empoli l’11 settembre 1905, divenne giocatore nell’Empoli Football Club. Idreno partecipò alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922 e divenne, in seguito, esponente del fascismo empolese per quanto riguardava i giovani e del dopolavoro. Nel 1930, diventato giornalista pubblicista, divenne sindacalista e  segretario del Corporazione dei Lavoratori dell’Industria a Vercelli, quindi ricoprì lo stesso incarico a Udine, Mantova, Palermo, Taranto e Trieste. Il 10 settembre 1943 in quest’ultima città fondò il Partito Fascista Repubblicano.

Il Municipio di Dongo - Foto di C. Biscarini
Il Municipio di Dongo – Foto di C. Biscarini

Con accordo con i tedeschi assunse la direzione provvisoria del quotidiano Il Piccolo al posto di Silvio Benco. Con un gruppo di fascisti triestini, partecipò alla riapertura delle sedi del PFR di Treviso, Venezia, Rovigo, Padova  e Belluno. Dal novembre 1943 al giugno 1944 ebbe incarichi in seno al partito a Maderno quindi è a Lucca dove sostituì il Capo della Provincia in carica Luigi Olivieri.  In questa veste, dopo la formazione delle Brigate Nere[3] da parte di Alessandro Pavolini, prendeva il comando della XXXVI Brigata Nera “Benito Mussolini[4] con 140 squadristi circa . Firma anche alcuni articoli del giornalino della brigata “L’Artiglio”. Con l’arrivo degli Alleati, Idreno e la Brigata lasciavano Lucca per stabilirsi in Garfagnana tra Barga , Castelnuovo e Bagni di Lucca dove non lasciarono buona impressione, anzi tutt’altro. I brigatisti parteciparono ad operazioni antipartigiane ed ebbero anche atteggiamenti violenti verso la popolazione civile. Non intervennero mai, come tutte le altre brigate nere, in combattimento contro gli Alleati.
Ritiratesi a Pavullo sul frignano, fino a marzo 1945 la brigata nera fu a Piacenza. E nell’arsenale di questa città Utimpergher fece blindare il camion Lancia 3Ro requisito alla Manifattura Tabacchi di Lucca  che divenne la famosa “autoblinda di Dongo”. Il mezzo  era armato con una mitragliatrice Breda 37 da 9 mm davanti, due Breda 37 da 88 mm ai lati e una mitragliera Scotti da 20 mm sulla torretta. Nelle portiere anteriori aveva la pantera simbolo di Lucca. Nella brigata nera c’era un altro mezzo blindato, un camion Fiat 626 con una mitragliera da 20 mm. L’equipaggio della “blindo” era formato dal capo macchina capitano Evandro Tremi, dal maresciallo Giulio Taiti, dal sergente Giovanni Giorgi, dall’autista piacentino caporalmaggiore Merano Chiavacci e dai fratelli Mario e Nello Degli Innocenti. Il 23 aprile 1945 la brigata nera si spostava verso Vercelli e Novara arrivando a Milano alla sede del comando generale delle brigate nere in via Mozart. Sulla “autoblinda” salivano i mitraglieri militi Sergio Banci, Ginese Del Grande, Alberto Menichini, un ammalato di nome Giuliano Sebastiani.

Gerarchi allineati sul lungolago di Dongo
Gerarchi allineati sul lungolago di Dongo – foto tratta da Wikipedia

Sono le ultime ore della RSI. Mussolini si avvia verso Como e Utimpergher con la brigata nera si sposta anch’esso sul lago. Alle 14 del 26 aprile 1945, dopo una riunione, Idreno con il federale Enrico Vezzalini, Pavolini con la guardia del corpo Vincenzo de Bededictis a bordo dell’”autoblinda” raggiungevano alle 15 Menaggio. Si formava la famosa colonna di gerarchi e fascisti in fuga sul lungolago di sinistra, diretta verso la Valtellina dove Pavolini  e forse Mussolini avevano sperato di organizzare un “ridotto” di ultima difesa. Speranza vana, ormai i reparti fascisti si stavano disgregando e la zona era in mano ai partigiani. Nella famosa “autoblindo” salivano anche lo stesso Pavolini e l’agente di Pubblica Sicurezza Aldo Gasperini. Al mattino del 27 aprile, la colonna fascista composta di auto, camion e il camion blindato, che era alla testa, venne raggiunta da una colonna della Flak tedesca, circa 200 uomini al comando dell’Oberleutnant[5] Hans Fallmeyer e i due gruppi si fusero.
La strada è stretta, lo abbiamo constatato di persona, e alle 7,30 sotto una leggera pioggia, arrivati tra l’abitato di Musso e quello di Dongo, la colonna venne fermata con una barriera di tronchi messi traverso alla via da partigiani della 52a Brigata Garibaldi Luigi Clerici comandata dal conte Pier Bellini delle Stelle, patrizio fiorentino, detto Pedro[6]. Il resto è storia nota. Mussolini salito sulla “blindo” assieme alla Petacci; le trattative tra Fallmeyer e i partigiani nel quale il tedesco non esita a mollare i fascisti in cambio della via libera verso Merano; i partigiani che assicurano il passo solo ai tedeschi; Mussolini che viene fatto scendere e, con addosso un cappotto tedesco, fatto salire sul camion targato WH 529507 quarto della colonna della Flak; l’arrivo sulla piazza di Dongo dove l’ex duce viene riconosciuto ed arrestato. Intanto, sul lungolago i fascisti rimasti soli tentano una breve resistenza con la “blindo” che cerca di svoltare e tornare indietro ma non ci riesce sia perché la strada è stretta sia perché una bomba a mano la colpisce nella ruota anteriore destra. Durante lo scontro morirono il capitano Taiti e l’agente Gasperini. I gerarchi si arresero e furono portati a Dongo e rinchiusi nel municipio.

Segni di fucilazione sulla ringhiera del lungolago di Dongo
Segni di fucilazione sulla ringhiera del lungolago di Dongo – foto di C. Biscarini

Solo Pavolini tentò di gettarsi nel lago e sfuggire e venne preso, ferito a un braccio, col mitra in mano. Poco prima delle 17 del 28 aprile 1945, Alessandro Pavolini segretario del PFR e ministro della RSI[7], Paolo Porta[8] comandante della XI Brigata Nera Cesare Rodini di Como, Vito Casalinuovo ufficiale d’ordinanza di Mussolini, Fernando Mezzasoma Ministro della Cultura Popolare, Idreno Utimpergher, Ernesto Daquanno direttore dell’Agenzia Stefani, Francesco Maria  Barracu Medaglia d’Oro al Valor Militare, sottosegretario alla presidenza del consiglio, Nicola Bombacci  amico di Mussolini e uno dei fondatori del PCI, il capitano dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana Piero Calistri[9], il quale solo per un caso si è unito alla colonna Mussolini, Paolo Zerbino ministro dell’Interno, Goffredo Coppola rettore dell’Università di Bologna e presidente dell’Istituto nazionale di cultura fascista, Ruggero Romano ministro dei Lavori Pubblici, Augusto Liverani ministro delle Poste, Luigi Gatti e Mario Nudi comandante dei Moschettieri del Duce vennero  fatti uscire dal municipio di Dongo e allineati lì davanti sul lungolago. Una famosa foto, tratta dal filmato che venne girato quel giorno da Luca Schenini commerciante di legno e fotografo dilettante nonché documentarista dilettante che filmò con una cinepresa Baby, si vede Barracu sull’attenti  accanto a Utimpergher che pare indifferente  così come tutti gli altri alla sorte che li aspetta. Alle  17,47, dopo la protesta di Barracu che voleva essere fucilato al petto, fattili girare con lo sguardo verso il lago, il plotone di esecuzione partigiano comandato da Michele Moretti[10], Pietro, fece fuoco. L’empolese Idreno Utimpergher finì così la sua vita ed entrò nella tragica storia dell’ultimo periodo della seconda guerra mondiale nel nostro paese. Si è anche parlato del fatto che il mitra francese Mas 1938 cal. 7,65 numero di serie F 20830 con cui vennero uccisi a Giulino di Mezzegra Mussolini e la Petacci fosse stato tolto a Utimpergher[11].


Note e Riferimenti:
[1] Cfr. Giuliano Lastraioli, Empoli. Mille anni in cento pagine, Editori dell’Acero, Empoli 2015  pp.131-134.
[2] Il padre avviò la pratica di cambiamento del cognome nel 1940 ed essa divenne effettiva nel 1942.
[2/bis] Atto di nascita n. 569, anno 1901, Comune di Empoli.
[3] Istituite il 30 giugno 1944 con decreto legge 446 XXII Corpo Ausiliario delle Squadre d’Azione Furono formate 41 brigate nere di cui in Toscana: XXXV BN don Emilio Spinelli ad Arezzo. XXXVII BN Emilio Tanzi a Pisa; XXXVIII BN Ruy Blas Biagi a Pistoia; XL BN Vittorio Ricciarelli a Apuania; XLI BN Raffaele Manganiello a Firenze. Non risulta formata in città e provincia, anche se appare nell’organigramma, la XXXIX BN di Siena in quanto al 30 giugno 1944 le truppe francesi erano a un tiro di schioppo dalla città. I fascisti senesi, come gli altri della regione, ripiegarono a nord.
[4] In seguito 36a Brigata Nera “ Natale Piacentini” nome del primo caduto della brigata.
[5] Il grado corrisponde a tenente. Qualche autore ha scritto si fosse trattato di un capitano.
[6] Nato a Firenze il 12 maggio 1920 figlio del conte Ernesto Bellini delle Stelle. Si trovava nella zona perché sbandato l’8 settembre da ufficiale. Morto di cancro il 25 gennaio 1984.
[7] Detto Buzzino.  Nato a Firenze il 27 settembre 1903. Intellettuale figlio di intellettuali, fondatore del Maggio Musicale Fiorentino.
[8] Nato a Como, classe 1901. Ispettore dei Fasci lombardi e federale comasco.
[9] Il povero Calistri tentò di dire a Walter Audisio, il “colonnello Valerio” appena tornato dalla fucilazione di Mussolini e la Petacci, che lui coi gerarchi non entrava nulla ma venne respinto tra loro aspramente e, rassegnato alla sua sorte, si allineò sul lungolago.
[10] Nato a Como il 26 marzo 1908 e morto il 5 marzo 1995. Commissario Politico della 52a Brigata Garibaldi.
[11] La vicenda di quest’arma è complessa. Pare che nel tempo ne siano uscite ben due. Uno venne donato nel 1957 da Walter Audisio al museo nazionale di Tirana e riapparve nel 2004. L’altro, appartenuto a Moretti, venne da questi donato ai sovietici. Moretti, che partecipò alla fucilazione ancora in modo non ben chiarito, disse però anche che in realtà non si era mai separato dal suo mitra che alla sua morte sarebbe stato diviso tra i reduci di Dongo. Cfr. Roberto Festorazzi, Mussolini 1945: l’epilogo, in edibus Edizioni, 2014,  p.141.

Questo articolo ha 3 commenti

  1. Che fine fece la famosa autoblindo di Dongo? Se ne perdono le tracce dopo il famoso episodio. venne demolita? O riportata a Milano?

  2. Grazie della precisazione. Il nome Merano e la notizia che era nato a Piacenza provengono da un libro.

  3. buongiorno mio padre Chiavacci Mirano(Merano come erroneamente scritto) non era piacentino ma nato a Piombino

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