La tavola fu eseguita dal frate camaldolese Lorenzo Monaco, nome originario Piero di Giovanni (Siena, 1370 circa – Firenze, maggio 1425 circa), uno dei principali esponenti artistici del periodo tardo gotico e uno degli ultimi protagonisti dello stile giottesco.
L'opera è stata realizzata nell'anno 1404 in quanto riportante data e firma del frate.
Il centro del mondo – di Giuliano Lastraioli
“Strada regia dall’Osteria Bianca a Poggibonsi Siena e Roma”.
Questa targa leopoldina, sfuggita al censimento epigrafico del duo Ragionieri-Ristori, segnala ancora l’inizio del diverticolo basso della famosa Via Francigena, che dall’innesto nella via consolare Quinzia (pisana o livornese) risale la Valdelsa verso sud.
Oggi è la famigerata 429, della cui annosa deviazione non si vede ancora il completamento, che sta tanto a cuore alla senatrice Cantini.
Siamo nell’ombelico della Toscana, al centro del mondo se si considera la quasi equidistanza da Firenze, da Pistoia, da Pisa, da Lucca, da Livorno e da Siena.
Durante il passaggio del fronte, nel Luglio-agosto 1944, se n’era accorto (e non poteva non accorgersene) anche il generale tedesco Frido von Senger, che teneva fisso in testa, come punto forte della linea Olga, la Strassenkreuz Osteria.
Fin dalla notte dei tempi tutti ci son dovuti passare.
Nell’alto medioevo qui finiva di impaludarsi l’Arno Bianco alla confluenza dell’Elsa. “Arne Blanc” scrivono le fonti franche secondo il Repetti, da cui qualcuno ha fatto derivare il toponimo della secolare osteria.
Ci passò Dante Alighieri, ci passò Arrigo VII, ci passò Carlo VIII, ci passò Francesco Ferrucci. Tutti ci sono passati.
Michel de Montaigne ebbe anche a soggiornarci quando girava per la Toscana alla ricerca dell’acqua miracolosa per guarire il mal della pietra (ma l’acqua d’Elsa fa l’effetto contrario).
Nel Seicento l’oste Berlacchia era famoso per la sua cerimoniosa ospitalità. Ippolito Neri dice addirittura che ammazzava il forestier di cortesia, tanto era servizievole, ma in quella locanda non mancava neppure il latte di gallina, seppure a prezzi così alti che da ribattezzarla come “la Strozzina”.
Ben diverso era invece il temperamento di un oste dell’Ottocento, certo Antonio Fedeli, che non tollerava insolvenze ed era ferocissimo nel redarguire i clienti morosi.
Ne fece esperienza addirittura un personaggio che, a distanza di qualche anno, sarebbe divenuto l’imperatore dei francesi, Napoleone III, o come lo aveva ribattezzato Victor Hugo: Napoleone il Piccolo.
Attorno al 1846 Luigi Napoleone era ramingo, in giro per il mondo, dopo la fuga dal castello di Ham ove era stato rinchiuso per una cospirazione antimonarchica.
Di passaggio in Toscana assieme al cugino avventuriero principe di Canino, anch’egli aveva dovuto sostare all’Osteria bianca.
A differenza del grande Zio Napoleone, che cinquant’anni prima, nel giugno 1796, vi era appena transitato, fermandosi soltanto due minuti per minacciare il conte Strassoldo, inviato granducale, che avrebbe i patti sottoscritti a suon di cannonate, Luigi Napoleone il Piccolo, si trovava invece in grave distretta, fuggiasco e senza un soldo.
Per di più aveva anche accidentalmente rotto un pitale di coccio ( il classico càntero di Montelupo), facendo montare su tutte le furie l’acerrismo oste Fedeli.
Non sapeva a che santo votarsi quando si ricordò di una remota “trafila carbonara” dei tempi andati e bussò alla porta del rispettabile “fratello” avvocato Vincenzo Salvagnoli, detto Cèncio, che allora si trovava nella sua Villa di Corniola.
La trafila funzionò ancora alla perfezione stando alla leggenda metropolitana che ne è poi risultata.
Basta pensare che nel 1859, quando Luigi era ormai da tempo imperatore dei francesi e stava in campo ad Alessandria, ricevette a braccia aperte una visita del nostro Cèncio, facendo così incazzare di brutto il conte di Cavour, che temeva manovre autonomistiche di stampo murattiano da parte del Salvagnoli in pregiudizio dell’unità nazionale. Fra tutti non si sa chi fosse il più arnese! Come donnaioli poi, se la battevano alla pari.
Ho inutilmente cercato fra i miei fogli un appunto di Lorenzo Antonini sui fatti testè narrati. La fonte mi sembra abbastanza autorevole, ma ho dovuto fare appello alla memoria personale, sperando di non averla buttata in bilia.
Per farmi comunque perdonare eventuali inesattezze, vi mando la più antica immagine fotografica che esista del quadrivio dell’Osteria Bianca. E’ una cartolina dei primi del Novecento. Ce lo denuncia il palo telegrafico sulla destra. L’edificio storico dell’osteria è quello col loggiato, dove all’epoca aveva sede la stazione dei carabinieri di Bastia di Empoli. Il palazzo rimase sinistrato durante la guerra (le mine di von Senger) e fu quindi ridimensionato e ristrutturato, anche per allargare la strada statale 67. Dove si vedono le logge, attualmente c’è una parafarmacia.
I tempi cambiano: sulla sinistra si apprezza in tutti il suo splendore il fabbricato della nuova locanda. Sul marciapiede, in maniche di camicia e bretelle, si riconosce il proprietario: Santi Cioni detto Faìlle, mitico gestore di diligenze, mentre il “bacalaro” Ganino Biagini accudisce un cavallo sulla porta dello stallaggio.
Un torma di ragazzini dilaga in mezzo alla strada polverosa.
Il salto nel passato è davvero enorme e poco sostenibile, anche per rottame arcaico come il sottoscritto.
14 gennaio 2014. GIULIANO LASTRAIOLI
P.S. – Mi domanderete perchè non ho rammentato Giuseppe Garibaldi fra tanta bella gente. Ovviamente è passato anche lui, ma non lasciò tracce, nemmeno di una pisciata, quando il 27 agosto 1849, a buona ora del mattino, il bàghere che lo aveva imbarcato a Prato svoltò verso Poggibonsi e la Maremma, in fuga dagli sbirri austriaci. Aveva troppa furia per prendere un caffè. Come Benito Mussolini, quando una notte si fermò a fare benzina al distributore di Ugo Falorni. Guidava da solo un’Alfa Romeo; veniva da Roma e andava alla Rocca delle Caminate.
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