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Empoli, città dei ciclisti: ma sono sempre ben educati? di Claudio Biscarini

Mi è capitato, per due sere di seguito, di dover andare obbligatoriamente, tornando da località lontane, per le strade empolesi in macchina, a una certa ora. Ormai, l’inverno è alle porte e, con la chiusura dell’ora legale, il buio avvolge presto le nostre città. Ho avuto modo di constatare, quindi, quanto alcuni ciclisti, di per se stessi benemeriti perché non usano l’auto, siano però altamente discutibili sul piano dell’educazione stradale.

Ora, siamo tutti ben consci che l’uso del mezzo a pedali in maniera massiccia ridurrebbe di molto i problemi sia di traffico che di inquinamento di tutte le città e cittadine italiane. Allo stesso modo, però, siamo consapevoli che anche la bicicletta è un mezzo, seppure senza motore, e che in quanto tale se usato impropriamente può causare danno anche grave per sé stessi e agli altri.

Nelle nostre due “gite forzate”, ma anche passeggiando a piedi per la città, abbiamo notato alcune cose che segnaliamo e che non sono proprio di una grande educazione stradale.

1)      Quasi nessuno che viaggia in bicicletta ha i segnalatori luminosi in ordine. C’è chi ha il fanalino davanti e non dietro, c’è chi ha il contrario e molto spesso, troppo spesso, c’è chi non ha nessun lume  né altro artifizio  che possa, nel buio, farlo localizzare anche se esiste l’illuminazione pubblica. Se il legislatore ha creduto giusto che sia le motociclette che le auto, anche di giorno, debbano tenere i fari accesi, figuriamoci le biciclette che si confondono spesso, direi si mimetizzano grazie all’abito del ciclista, con il paesaggio circostante! Si rischia di essere sbattuti a terra, con conseguenze gravissime.

2)      Molti ciclisti usano, anche in pieno traffico, il cellulare ( ad onor del vero, abbiamo notato che, nonostante i divieti, anche molti automobilisti lo fanno), riducendosi così a pilotare il mezzo con una sola mano, zigzagando e cercando di battere il famoso record dei “senza denti” di Pierina memoria. Altra faccenda molto, ma molto pericolosa sia per il ciclista che per chi deve, standogli dietro, indovinare dove fare il prossimo zig zag quasi fosse un bastimento intento a schivare un campo minato.

3)      Ancora meno sono i ciclisti che indossano abbigliamento di sicurezza, specie notturno ( casacche colorate, caschi ecc.). Anche qui dobbiamo citare il legislatore che ha reso obbligatorio per chiunque lavori o agisca sulla strada (portalettere, poliziotti, Carabinieri, operai, automobilisti in panne ecc.) l’uso del giubbotto rifrangente. I ciclisti, si vede, fanno razza a parte.

4)      La pretesa, siccome sono in bicicletta, di poter viaggiare ovunque e dovunque. Vediamo ciclisti che sbucano con grande calma da strade a senso unico, in divieti di transito, in controsenso, in zone chiuse al traffico in centro, magari con la gente che passeggia e che deve far di tutto per schivarli, ecc.

5)      La pretesa di poter caricare come un mulo la propria bici. In questo eccellono i signori e le signore, soprattutto presso i centri commerciali o nel giovedì del mercato. Li vediamo arrancare anche in mezzo al traffico della statale 67, con borse, borsine e borsette attaccate al manubrio e, magari, anche una bella cesta di pomodori legata dietro. Il risultato è il medesimo di colui che telefona: zig zag, manovre azzardate da parte degli automobilisti per aggirarli, pericolo di cadere in mezzo al traffico.

Alla fine, la domanda sorge spontanea: all’ecologia, dobbiamo sacrificare anche l’educazione? Crediamo di no e crediamo anche che, seppure considerando i casi, il Codice della Strada sia valido anche per chi usa la bicicletta e se qualcuno non lo osserva, debba essere sanzionato.

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