Skip to content

Giuliano Lastraioli: Scadenze ‘dimenticate’…

Proprio 200 anni fa nasceva a Corniola Giuseppe Salvagnoli

da: La Nazione, ed. di Empoli, 9 Settembre 1999.

empoli-stemma-dei-salvagnoli-in-casa-busoni

 Il calendario è implacabile e non ammette deroghe. Quest’anno, qui a Empoli, almeno due bicentenari importanti sono passati in… fanteria, come si diceva ai tempi della leva obbligatoria per significare concetti di dimenticanza, di menefreghismo, di inadempimento. Salvo un colonnino del sottoscritto su questo giornale, benevolmente ospitato il 4 maggio scorso, a due secoli esatti dall’insorgenza antifrancese, nessuno ha ricordato un evento di estrema rilevanza storico-politica come la rivolta del «Viva Maria» e l’abbattimento dell’albero della libertà, forse perché sgradito ai più nella sua connotazione reazionaria e contrario a una vulgata che ormai mostra definitivamente la corda (valga per tutti il recentissimo studio di Massimo Viglione, edito da Città Nuova).

E oggi 9 settembre, cade un altro bicentenario, quello della nascita a Corniola, nella villa del padre Cosimo, del poeta e letterato classicista Giuseppe Salvagnoli Marchetti, la cui fama fu presto oscurata, più che dalla morte in giovane età, da quella del fratello minore Vincenzo, protagonista indiscusso del risorgimento in Toscana. Per la penuria di personaggi di spicco nella ‘galleria’ cittadina è inconcepibile che la scadenza sia stata trascurata. Beppino Salvagnoli, pur avviato alla carriera ecclesiastica, nella quale non andò oltre gli ordini minori pur fregiandosi del titolo di abate e godendo di un canonicato in collegiata, fu un fervente ammiratore del primo Napoleone e rimase coinvolto pesantemente nella congiura carbonara dei 1821, restando refrattario a qualsiasi pentimento e guadagnandosi così, come scrisse un suo biografo, l’odio perpetuo della lorenese dinastia. Dopo breve «esilio» nel convento di San Vivaldo, grazie all’intervento del prelato concittadino Giovanni Marchettì, accompagnò quest’ultimo nell’episcopio di Rimini, dove alle opere di pietà e alle funzioni di segretario vescovile preferì il culto delle muse e delle belle figliole, con buon successo in entrambi i campi. Rientrò in patria solo per morire, tisico marcio secondo il copione romantico, a soli trent’anni, il 16 dicembre 1829. Eppure ben pochi in Italia furono ostili alle romanticherie come Giuseppe Salvagnoli, fautore a tal punto del classicismo da essere definito l’Aristarco manzoniano per eccellenza. Redattore abituale del «Giornale Arcadico» di Roma vi aveva condotto un’aspra e violenta polemica contro la Scuola romantica, culminata nella dirompente pubblicazione dei «Dubbi intorno gl’Inni Sacri di Alessandro Manzoni» (Roma-Macerata, 1829). Fu questo il suo canto del cigno, che lo rese celebre in tutta Italia nell’imminenza della precoce morte, sopraggiunta fra gli impropèri dei trionfanti manzoniani, ormai vittoriosi su tutta la linea. Beppino Salvagnoli fu dunque un bastiancontrario, impegnato virilmente in politica e in letteratura, tenace sempre nelle sue convinzioni e mai domo. Anche per questo avrebbe meritato più degno ricordo dagli immemori empolesi.

 Giuliano Lastraioli

Questo articolo ha 0 commenti

Lascia un commento

Torna su