Skip to content

Un gioiello romanico in pericolo: la millenaria storia dell’Abbazia di San Giusto sul Montalbano – di Paolo Santini

È una storia lunga, millenaria, gloriosa, ricca di aneddoti, carica di misteri, ma tanto, tanto travagliata, quella dell’abbazia di San Giusto, gioiello romanico incastonato nel verde del crinale del Montalbano, monumento nazionale da oltre un secolo, luogo caro, e generoso di ricordi, per tanti empolesi. L’abbazia si trova nel territorio comunale di Carmignano, sul confine con quello di Capraia e Limite, e negli ultimi mesi è stata al centro di una curiosa querelle risoltasi soltanto facendo parlare le carte d’archivio. Per almeno ottanta anni si è ritenuto che la struttura appartenesse ad una nobile famiglia carmignanese, i conti Contini Bonacossi di Capezzana, in realtà una lunga ricerca promossa dal comune di Carmignano ha stabilito inequivocabilmente che l’abbazia è di proprietà dello stato italiano da oltre centotrenta anni, e manca soltanto l’atto formale della presa in carico da parte degli organi preposti, che chissà per quale motivo e quale arcano o intoppo a suo tempo non venne stipulato nelle forme dovute. Dal momento che l’usucapione sui beni demaniali non è ammessa, ecco che dopo un lunghissimo periodo di oblìo San Giusto torna nel patrimonio statale. Forse è il momento meno opportuno, soprattutto per le condizioni economiche in cui versano le casse dello stato, ma tant’è. Al massimo potrà andare come è andata finora. In effetti, la storia degli ultimi trent’anni del complesso monumentale è una storia di incuria e di degrado inarrestabile. Sotto la “presunta” proprietà dei Contini Bonacossi, dopo l’ultimo restauro degli anni Sessanta del secolo scorso, effettuato con un consistente finanziamento dello stato attraverso il Genio Civile, nessun intervento di restauro, manutenzione né tantomeno salvataggio è stato effettuato. Con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. L’edificio oggi versa in stato di totale abbandono, è chiuso e degradato. Il tetto della torre campanaria è crollato ormai da tempo, alcuni conci marmorei degli archi della bifora sono caduti a terra, segni evidenti di lesioni strutturali si osservano sulle fiancate della chiesa, il tetto appare in condizioni precarie. Una pericolosissima pianta sempreverde, sviluppatasi nei decenni sul tetto e sul fianco dal lato della torre, – fortunatamente rimossa nei mesi scorsi – ha causato danni evidenti alla struttura. Alla base delle murature perimetrali si erano sviluppati arbusti di ogni genere, – anch’essi fortunatamente rimossi con il recente intervento – che stavano minando dalle fondamenta la millenaria abbazia. Anche la cripta è inaccessibile, e da fuori si scorge, sbirciando attraverso alcune fessure nelle absidi, un degrado spaventoso. Una cosa è certa però; i tanti affezionati e ammiratori dell’abbazia non si sono mai rassegnati a vederla crollare, e da decenni lottano disperatamente – adesso c’è addirittura un comitato ad hoc per il salvataggio di San Giusto – affinché l’opinione pubblica sia sensibilizzata sul tema e si possano così muovere gli organi di tutela statali. Tante le mobilitazioni nel corso degli anni, e ne ricordiamo una promossa dal quotidiano “Il Tirreno” con una campagna d’informazione a tamburo battente protrattasi per mesi. Oggi, sciolto il nodo della proprietà e stabilito che dovrà essere lo stato italiano a farsi carico dell’onere del restauro, la strada per un intervento pubblico sul bene sembra essere più agevole. Resta l’amarezza: ciò che avrebbe potuto esser fatto con accurate manutenzioni ordinarie, adesso può essere realizzato soltanto con una manutenzione straordinaria di grande portata. L’abbazia dunque non appartiene ai conti Contini Bonacossi, come da decenni tutti, loro compresi, invece pensavano. Un grande, paradossale e tragicomico equivoco che si è trascinato, in buona fede, per decenni, con il Comune di Carmignano che dieci anni fa aveva chiesto alla famiglia di donargli l’abbazia, in grave stato di degrado: i conti si dichiararono disposti al massimo ad un comodato per qualche anno o a venderla.  In effetti, appartiene alla tenuta di Capezzana la colonica appoggiata sul fianco della chiesa, quel che resta dell’antico monastero, ed i terreni attorno al complesso con i boschi che si estendono fino a Pietramarina.  «Ma non la chiesa con le sue tre absidi. Non ci sono dubbi», confermano dalle stanze del Comune di Carmignano. Quella particella di terreno, giusto il perimetro dell’abbazia con non più di un metro di terra attorno, al catasto risultava proprietà del Comune, ma la circostanza di per sé non era sufficiente per fornire una prova certa, visti gli errori ricorrenti nella documentazione del catasto. Quello che i documenti d’archivio riportano è che fino al 1885 l’abbazia di San Giusto è appartenuta ad un privato, Tito Cinotti. Ma il proprietario, non riuscendo più a far fronte alle spese, decise di donare la chiesa allo Stato. Nel 1894 – sono i documenti dell’archivio storico comunale di Carmignano a parlare – la custodia era affidata al Comune, evidentemente per conto dello stato. L’edificio versava in condizioni ancora peggiori di oggi, così il ministero dell’istruzione affidò i lavori di restauro necessari all’ufficio regionale. Nel 1923 è ancora il Comune titolare della gestione della chiesa se è vero che gli organi municipali si preoccupano di scrivere al Ministero per chiedere un intervento urgente.

Una fonte che nessuno, – almeno secondo quanto ci risulta – , finora ha esaminato, in merito alla storia dell’abbazia, è un numero del Piccolo Corriere del Valdarno e della Valdelsa proprio dell’anno 1923, nel quale si legge un gustoso articolo tratto da un’opera del benemerito canonico pistoiese Alberto Mazzanti.

«Richiamiamo l’attenzione dei nostri lettori – si legge nell’introduzione all’articolo dello studioso – sulla Chiesa di San Giusto in Montalbano, antica e bella basilica, che sorge a 397 metri di altezza s. m., nel punto più elevato della strada che da Carmignano valica il poggio per discendere nell’Empolese. La basilica, detta anche di S. Giustone, per distinguerla da altri “S. Giusto” non infrequenti nella plaga adiacente, fu ed è realmente un Monumento Nazionale, dal 1890 possesso del Ministero dell’Istruzione Pubblica, per spontanea cessione del Sig. Tito Cinotti di Limite. I poteri centrali ne rilasciarono la custodia al comune di Carmignano. Con tutto ciò è in deplorevole abbandono. Bene ha fatto il ca. Mazzanti a rievocarne i fasti e le vicende che la riguardano». Ancora nell’articolo, fra le altre cose, si legge: «Oggi la cripta, per esser franato parte del pavimento dell’ala destra della croce, è tutta ripiena e ingombra di materie». Evidentemente le condizioni dell’abbazia erano davvero precarie anche nel 1923. Poi, tra le due guerre, i conti Contini Bonacossi acquistano i terreni circostanti, ma non l’abbazia. Il 5 luglio 1964 la chiesa viene restituita al culto, e fino agli anni Ottanta ha ospitato matrimoni e varie funzioni religiose. Nel frattempo San Giusto ha avuto anche l’occasione di fungere da set cinematografico per un paio di produzioni per il grande schermo.

Ma andiamo per gradi, e diamo un’occhiata alla lunga storia del complesso monastico. Una leggenda molto diffusa sul Montalbano vuole che a costruire l’abbazia di San Giusto, assieme a Sant’Alluccio e San Baronto nel pistoiese, siano stati tra il IX e l’XI secolo tre monaci eremiti francesi, che, lontani una decina di chilometri l’uno dall’altro, si sarebbero passati gli attrezzi da muratore per murare pietra su pietra. Ma è solo una leggenda, e non è l’unica.

L’abbazia fortificata in realtà fu fondata dai monaci dell’ordine cluniacense – che osservavano la regola benedettina “Ora et Labora” – nel secolo X a presidio della strada utilizzata dai pellegrini che, passato l’Arno presso Camaioni, salivano alla badia di San Martino in Campo – altra emergenza architettonica della quale ci occuperemo prossimamente – e proseguivano il loro itinerario “per montem” incontrando l’abbazia di San Giusto e, sempre seguendo la strada di crinale, potevano contare sulla presenza dell’ospedale fortificato di Sant’Alluccio e poco oltre dell’abbazia di San Baronto (per inciso, l’itinerario è ancora oggi percorribile a piedi e ricchissimo di suggestioni storiche, naturalistiche e paesaggistiche). La posizione strategica dell’abbazia di San Giusto è confermata dal fatto che ivi convergevano le strade provenienti dal passo di nave di Limite, attraverso un itinerario che toccava le chiese romaniche di San Bartolo sul colle di Limite e Sant’Andrea a Conio ancora esistenti, come l’altra direttrice che dall’Arno toccava l’importantissimo insediamento fortificato della Castellina di Greti, situato sul poggio di San Biagio (dove si trovava l’omonima chiesa), e lambiva la chiesa di San Jacopo a Pulignano per tornare anch’essa ad incontrare la via di crinale presso San Giusto appunto. L’abbazia di San Giusto “al Pinone” è una delle testimonianze architettoniche di stile romanico più pregevoli di questa parte di Toscana. L’edificio, con pianta a croce latina, presenta una semplice facciata a capanna sulla quale si apre il portale d’ingresso, sormontato da un enorme blocco di arenaria che funge da architrave; costruita interamente in bozze di arenaria locale cavata sul luogo, sempre sulla facciata presenta, al di sopra del portale d’ingresso, un’elegante lunetta policroma realizzata in bozze di serpentino verde e in marmo bianco; al di sopra della lunetta si apre una bifora, scandita da una colonnina centrale lavorata in arenaria e sormontata dagli archi che richiamano la bicromia della lunetta. La torre campanaria, possente e inaccessibile (non presenta aperture esterne, ad eccezione di una piccola “luce”) alloggiava in origine la “sperduta”, la campana il cui suono era punto di riferimento per i pellegrini ed i viandanti sorpresi dal calar delle tenebre negli oscuri boschi del Montalbano. Di eccezionale importanza la cripta di quest’abbazia; sulla chiesa originaria risalente al X secolo, la cui testimonianza principale è costituita proprio dalla cripta, venne edificata, poco dopo l’anno Mille, la chiesa attuale. La cripta presenta piccole volte a crociera impostate sulle basse colonne centrali o direttamente sui muri esterni; notevoli le mezze colonne di sostegno degli archi delle tre feritoie che illuminano debolmente l’interno, con decorazioni a rilievo davvero interessanti. L’unica navata della chiesa superiore culmina nelle tre absidi semicircolari, perfettamente conservate nella loro impostazione originaria. L’abbazia era affiancata nel Medioevo da un monastero, del quale rimangono poche tracce nell’abitazione a fianco.

Oggi sembra si stia avvicinando l’epilogo di tutta quest’intricata vicenda che riguarda San Giusto. Dopo la raccolta di quasi settecento firme ad opera del comitato istituito per salvare l’abbazia, firme che sono state inviate anche al Fai, è arrivato nei mesi scorsi il primo intervento d’urgenza da parte della Soprintendenza per i beni architettonici. Lavori di messa in sicurezza della struttura, – niente di più, ma essenziali – che hanno comportato l’investimento di circa 50mila euro. Ma i lavori di restauro dei quali necessiterebbe il complesso sono ormai improcrastinabili, e le somme necessarie potrebbero aggirarsi intorno al milione di euro. E, inutile dirlo, attualmente, questi finanziamenti non ci sono. E pensare che siamo davvero di fronte ad una delle testimonianze architettoniche di stile romanico più interessanti della Toscana.

Paolo Santini

Didascalie fotografie Abbazia di San Giusto:
foto n 1: Il complesso abbaziale di San Giusto con la torre campanaria in evidenza (foto Paolo Santini)
foto n 2: La straordinaria parete absidale esterna (foto Paolo Santini)
foto n 3: La facciata dell’abbazia. Si osservi l’eleganza della policromia e la monumentalità del portale con architrave monolitico in pietra arenaria (foto Paolo Santini)
foto n 4:  Un fianco dell’abbazia coperto dalla vegetazione, rimossa soltanto pochi mesi fa. (foto Paolo Santini)

Questo articolo ha 2 commenti

  1. signor santini penso che la chgiesa originaria non avesse il presbiterio riakzato e che sia stato costruito successivamente Infatti non ci sono raccordi fra le pareti della chiesa con la volta della cripta e anche il tipo di muratura molto sommaria si evidenzia come costruzione non contemporanea a tutto il complesso. Penso che sia frutto di una svolta culturale e ideologica con l’affermazione di un feudalesimo esasperato. Il clero che proveniva dalle famiglie feudali e il popolo dei servi della gleba Gradirei un suo commento

Lascia un commento

Torna su