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Claudio Biscarini: Ci risiamo!

 Tempo fa inviai a Dellastoriadempoli un mio articolo in cui deploravo che troppi, oggi, si occupassero di storia militare senza ovviamente capirci molto di più che in una partita di calcio.

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Oggi ne ho ancora una volta la riprova. E’ appena uscito, e lascio ad altri l’onere, o onore, di farne la recensione, un libro in cui si affronta di nuovo la damnata quaestio della strage di S. Miniato del 22 luglio 1944. Addirittura, l’esimio autore, pare tirar fuori un’altra ipotesi di lavoro (dice lui): granate inglesi, con sicura tolta, lanciate dal tetto all’interno della chiesa ( troppi film: le Mills 36 sarebbero scoppiate a mezz’aria vista l’altezza) e/o Gewehrpanzergranate  ( sparate dentro la chiesa? Il Nostro non lo dice) omettendo di dire che quest’ultima arma, come denuncia la sua parola composta in tedesco, era nientepopodimeno che sparata con la Karabiner 98 k (kurz) in dotazione alla Wehrmacht contro i mezzi corazzati, come la “sorella”  Gewehrsprenggranate  che veniva usata contro postazioni di fanteria o altri obiettivi simili. Nel caso di S Miniato, il tiratore, dovendosi trovare necessariamente in basso rispetto all’obiettivo, avrebbe dovuto adottare un  tiro curvo in quanto il militare doveva appoggiare in terra il calcio del suo fucile per resistere alla forza del rinculo. Se avesse mirato direttamente sulla finestra da dove, si dice, penetrò la granata tedesca, imbracciando il fucile, il colpo sarebbe andato a scoppiare sulla volta della chiesa. Questi tipi di granate venivano sparate grazie a un dispositivo, detto Schiessbecher , un tromboncino a bicchiere cal.3, che veniva fissato sulla canna del fucile. Occorreva un tiratore molto ben addestrato per usare questo tipo di arma e, di solito, in un reparto tedesco solo un soldato era addetto usarla. Ci sono prove che a San Miniato qualcuno abbia notato un tedesco con uno strano “aggeggio” in cima al fucile? Perché anche la Commissione Giannattasio non prese in considerazione questa ipotesi? Manca solo una V2 lanciata sul Duomo o una bomba di uno Stuka in picchiata. Manca solo una bordata della  corazzata Bismarck ancorata a Bassa, o che i cingoli di un Tigre, tanto questo autore di solito li segnala da tutte le parti, che abbiano tritato i poveretti nella Cattedrale di Santa Maria Assunta e San Genesio.

L’esimio scrittore si spertica in una miriade di spiegazioni, andando a ricercare la Commissione Giannattasio, i cui lavori ebbero perlomeno il beneficio del dubbio e la cui relazione finale non ebbe l’ardire di affermare che in Duomo c’era una mina, ma si barcamenò tra due tiri, uno tedesco “di mortaio” (quale? Di che calibro? Da dove esattamente aveva sparato?) e uno, fumogeno , americano. Ora, a parte le disquisizioni del Nostro Concittadino sui tipi di spoletta usati dagli americani (c’eravamo arrivati anche noi a dire che si trattava sicuramente di un M 48 e non M 43), sulle stragi compiute dai tedeschi (nessuno ha inteso dimostrare il contrario, cioè che i tedeschi non abbiano mai considerato i civili come obiettivo da salvaguardare, ma questo in guerra non lo faceva nessuno) arrivando a scomodare perfino la Das Reich e Oradour-Sur-Glane, tutt’altra storia che S. Miniato, non ci pare che il suo lavoro abbia portato sostanziali novità, e non solo per quanto riguarda questo specifico episodio, ribadendo vecchie teorie e spulciando i documenti senza farne una critica sostanziale. A proposito: bellissima e illuminante  la traduzione  con Messaggio da sentinella 2 di Message from Lookout 2, dove Lookout non può venir tradotto con sentinella ma con osservatorio n. 2. Queste, per il Nostro che ha “beccato” il Canonico Giannoni sulla parola Scheggie, son quisquiglie. Dove si dimostra che i documenti non basta leggerli, se non si sanno applicare al contesto  (Lookout vuol dire ANCHE sentinella: usare bene il vocabolario è buona cosa).

Soffermiamoci un momento su questo documento, che fu la base del nostro lavoro per La Prova. Il testo tradotto dice: Messaggio dall’osservatorio n.2: i partigiani hanno riportato che ieri qualcuno, sparando presso S. Miniato, ha colpito una chiesa e ucciso 30 italiani ferendone circa un centinaio. I feriti ora sono all’ospedale in coordinate 4699/5998, non ci sparate sopra. Giustamente, il dotto scrittore dice che quel pronome indefinito someone  non sia utile per la ricerca dal colpevole. E aggiunge che, se si fosse trattato di granata americana, l’ufficio “ della Propaganda tedesca (sic)” non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di segnalare al mondo, come aveva fatto per Montecassino, l’accaduto. Mi spiace, caro amico, ma, come spesso Le accade,  Lei fa un gran guazzabuglio di tutto. A Montecassino la cosa fu palese, i bombardieri erano stati annunciati da volantini, il luogo era un simbolo della Cristianità e protetto dalla S.Sede. Probabilmente quel che accadde quel giorno a S. Miniato non fu ritenuto necessariamente un deliberato atto di guerra nemmeno dai tedeschi e, quindi, come “effetto collaterale” (lo so che la dizione è bruttissima in questo caso) non faceva tanto al loro scopo. Di casi del genere, in guerra, ne accadono a ogni pie’ sospinto. Ne voglio citare solo uno, accaduto a un soldato dell’Afrika Korps che, nell’atto di urlare durante un assalto, ebbe un proiettile di fucile che gli entrò in bocca, attraversò la gola e uscì dalla nuca. Morto? No, nessun organo vitale toccato e dopo 15 giorni era di nuovo al fronte. Ma guarda le probabilità eh!  Torniamo a quel someone perché giriamo la frittata al Nostro Autore. Non pensa che i partigiani, che certamente avevano saputo  quel che era accaduto, avrebbero dichiarato agli americani in caso di assoluta certezza sulle responsabilità tedesche, che “quei bastardi di Crauti, dopo aver rinchiuso la gente in chiesa, ci hanno sparato contro ammazzandone una trentina?”  Non pensa che aggiungere quella piccola frase finale riguardo all’ospedale possa dire ( certo i partigiani non potevano far la voce grossa con gli americani) velatamente che ieri avete fatto un errore, cercate di non ripeterlo sull’ospedale? Perché, altrimenti, specificare not be fired upon? L’esimio si spertica ancora sulla descrizione delle macerie del Duomo, affermando che un proietto da 105 mm doveva fare più danni di quelli che furono riscontrati sull’edificio. Non dice che  l’efficacia di tali proiettili varia se si spara su obiettivi abbastanza distanti, con colpi caduti con angolazioni diverse. Si ritorna al mortaio? Bene, ci dica da dove sparò e di che calibro, ricordando le distanze e il fatto che il mortaio, rispetto a un obice, ha un tiro arcuato molto ma molto più accentuato. Ci spieghi, perché non lo fa, il motivo per cui un mortaista tedesco o un artigliere dovesse sparare su una città da distanza, senza i tiri di aggiustamento ( non vuol dire molto avere un osservatore anche eccellente su posizione elevata: al primo colpo le probabilità di colpire una finestra da distanza sono al miliardesimo), città ancora in mano ai suoi, col rischio di ammazzarne qualcuno. Visto mai uno sbarramento di artiglieria o l’uso del mortaio? Altra “perla” che l’eccellentissimo autore ci porge: secondo lui i  tre ( in realtà 47 seguiti da 51) proietti sparati dagli obici americani tra le 10,15 e le 10,30 del 22 luglio  non creavano corrispondenze temporali fra le tre esplosioni e i tiri del 349°  battaglione d’artiglieria americano, le cui operazioni di guerra sono ben riscontrabili dai loro rapporti. Nella foga di dimostrare chissà che cosa, egli sbaglia anche la denominazione del reparto americano in quanto il 349°, assieme al 350° e 351°, era uno dei tre REGGIMENTI ( e non battaglioni) di FANTERIA ( e non d’artiglieria) che facevano parte della 88th US Infantry Division. Ma, siamo buoni, ammettiamo l’errore, diciamo così, causato da eccessiva voglia di demolire l’opinione altrui presidiata da maggiore  serietà scientifica, sull’argomento. Non è che l’artiglieria apra il fuoco solo in appoggio di attacco della fanteria, ma può farlo in controbatteria o per colpire obiettivi particolarmente insidiosi, come i nidi di MG tedeschi, in vista di un ciclo operativo futuro della fanteria stessa. Quindi, come si direbbe, obiezione non pertinente. Poi egli, in altra pagina, dice: Un teorico della presa di San Miniato sostenne che tanta gente era stato riunita dai tedeschi nelle due chiese per “avere le loro spalle al sicuro e non avere curiosi occhi sui loro passi, pronti com’erano all’esodo definitivo. L’autore del libro conclude, in maniera lapidaria: Evidentemente egli non conosceva le tradizioni né le discipline dell’esercito prussiano (sic). Non so se quel teorico si riferisse alla mia persona ma, più volte, anch’io ho sostenuto la stessa tesi. In città c’erano poco più di 40 tedeschi che dovevano, nell’ordine:

1)   Minare le case./

2)   Tenere a bada i battaglioni americani superiori di numero./

3) Controllare i civili, tra cui potevano, in teoria, nascondersi partigiani (dato che S. Miniato era ritenuta città ostile, piena di ribelli), pronti, come era accaduto a Pitigliano (Ah! La storia militare), a Massa Marittima e accadrà a Monte Battaglia, ad attaccarli alle spalle. Nessun ufficiale, di nessun esercito, in nessuna guerra, si consoli il nostro memorialista, pensa prima ai civili che alla sicurezza dei propri uomini. E non sono le tradizioni o la disciplina dell’esercito prussiano (definire la 3. Panzer-Grenadier-Division una unità prussiana è proprio enorme), ma i doveri di ogni buon ufficiale. Ci spieghi, invece, perché in San Domenico non accadde niente? I “ribelli” samminiatesi furono concentrati tutti in Duomo? Come su una ipotetica lavagna, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra? Mi pare di ripetere cose dette mille volte, e mi sono anche venute a noia, ma dobbiamo farlo visto che  ci si risponde che con voli pindarici, ostentazione di sigle e numeri, discorsi sulle tattiche fatti da novelli strateghi da tavolino, che in vita loro hanno avuto, questo sì, la disgrazia di vivere certi terribili momenti ma che, poi, hanno dedicato la vita ad altri onorevoli  scopi che non lo studio accanito, maniacale, giornaliero della storia militare in ogni suo aspetto. Ci si risponda finalmente, a queste domande semplici:

4)  Come avrebbe fatto un mortaista tedesco o un artigliere a colpire la finestra del Duomo, da distanza, senza correre il rischio di uccidere anche qualche commilitone, visto che c’erano anche tedeschi dentro la chiesa a sbarrarne le porte?

5)  Perché in San Domenico non accadde nulla?

6)  Perché si vuol negare che in guerra accadono cose che, spesso, diventano poco spiegabili; proiettili che prendono traiettorie strane; uomini che si salvano per il rotto della cuffia, magari perché si son trovati al posto di un altro commilitone ecc.? Nessuno vuol buttare la croce sui soldati americani e nessuno vuol negare che i militari tedeschi, la stessa 3. Panzer-Grenadier-Division iniziò a uccidere civili a Caiazzo e finì in Belgio, abbiano compiuto una vera e propria guerra ai civili. Ma a San Miniato no, datevi pace. Tra quel che accadde a S. Miniato e quel che accadde nel Padule di Fucecchio c’è un abisso.

E proviamo a spenderle due parole su questa guerra ai civili. Visto che il Nostro autorevole autore scrive di aver letto tutto il leggibile sulle stragi (che ben misera bibliografia, però:  11 titoli, il più “giovane” del 2009), aver parlato con testimoni ecc. avrà capito che i fini ultimi dei comandi tedeschi rispetto a questo problema erano due: liberare le retrovie delle zone in cui avrebbero cercato di bloccare la marcia alleata (tutte o quasi le stragi sono avvenute o davanti o dietro le linee di arresto impostate dai comandi) e dividere la popolazione, considerata collusa coi partigiani, da questi ultimi. Il fenomeno della memoria divisa studiato molto egregiamente da Giovanni Contini (mai sentito questo nome?) a proposito di Civitella della Chiana, ma presente in quasi tutte le località in cui è stata fatta una strage, compreso il Padule di Fucecchio. Ma, per arrivare a quest’ultimo scopo, i tedeschi avevano bisogno di una cosa: che il massacro fosse palese, che la punizione per aver aiutato i partigiani, o solo pensato di aiutarli, fosse chiara. Per questo, in tutti i massacri, si agisce alla luce del sole, si incendiano le abitazioni, si massacrano i civili e si vieta ai superstiti di seppellirne i cadaveri . A Oradour-Sur-Glane, citata dal Nostro, i civili furono divisi tra uomini, donne e bambini e questi ultimi rinchiusi nella chiesa a cui fu dato fuoco fino al COMPLETO ANNIENTAMENTO di coloro che c’erano dentro e alla distruzione dell’edificio. Gli uomini furono TUTTI fucilati in altro luogo. Poi, l’intero paese venne annientato. Così a Monte Sole. L’ordine era Vernichten, tutto e tutti. A S. Miniato, e lo dimostra il fatto che ancora oggi se ne discute, l’eventuale repressione collettiva sarebbe stata nebulosa, nessuno l’avrebbe chiaramente attribuita a una punizione. Voci, sensazioni, sentito dire, ma niente di più. I tedeschi, invece, avevano bisogno che si capisse chiaramente che chi toccava uno di loro rischiava molto; che la collaborazione vera o presunta tra partigiani e civili doveva essere spezzata;  che la colpa delle stragi era da attribuirsi agli attacchi partigiani. Dov’è tutto questo a San Miniato? Già da subito, anche tra chi era in Duomo, sorsero dubbi, interpretazioni diverse, testimonianze contrastanti. C’erano centinaia di persone in chiesa, perché non ammazzarle tutte ( non sarebbe stato difficile) minando veramente l’edificio? Perché solo quelli che stavano, guarda caso, dove entrò il proiettile americano? Dove è l’”esempio punitivo” a San Miniato? L’autore cita Niccioleta. Ma lo sa che accadde a Niccioleta? Lo sa che  il reparto che assassinò i minatori era formato da italiani? Comandati da tedeschi, ma italiani. Lo sa che anch’essi furono ammazzati in maniera che tutti lo sapessero, dopo una “scrematura” fatta due volte, addirittura in un paese diverso, Castelnuovo Val di Cecina? Lo sa che i minatori avevano creduto, o gli era stato fatto credere, che gli americani erano a due passi e che così credendo presero il controllo della miniera, dimenticandosi in un cassetto la lista dei turni di guardia? Che c’entra con San Miniato? Che c’entra anche la citazione dell’Operazione Walchre  (anch’io faccio sfoggio di termini tedeschi come l’esimio scrittore), l’attentato a Hitler del 20 luglio 1944, che avrebbe impedito ai generali tedeschi confusi da un nebuloso colpo di Stato di trascrivere nei Tagesmeldung le notizie derivanti dalla lotta alle bande, in quanto a due passi da una possibile tregua del conflitto? L’attentato di Claus von Stauffenberg creò confusione, a parte nella guarnigione di Berlino, solamente a Parigi, Vienna e Praga dove inizialmente le autorità militari avevano arrestato i membri delle SS solo per rilasciarli con tante scuse quando appresero dalla radio che Hitler era vivo e vegeto. Il tentativo di colpo di Stato durò dalle 12,42 alle 22,30 quando i cospiratori principali erano stati arrestati all’interno del Bendlerblock e fucilati nel cortile della stessa caserma intorno alla mezzanotte del 21 luglio 1944. La notizia arrivò in Italia che già tutto era finito. Kesselring, impegnato nei combattimenti di ripiegamento verso la linea Gotica, non si scrollò più di tanto, inviando un telegramma di congratulazioni al Fhrer e ribadendo la fedeltà sua e dei suoi uomini. Nessun ufficiale del suo comando venne implicato nel complotto e nessuno ebbe noie dalla Gestapo. Nemmeno, in base all’applicazione del Sippenhaft (1) (  Quanto son dotto anch’io? Vede esimio scrittore), quell’Oberst von Witzleben, comandante del Panzer-Grenadier-Regiment 67.  implicato nella strage del Padule di Fucecchio, che era cugino del Feldmaresciallo Erwin von Witzleben destinato a diventare, nei piani di Stauffenberg, comandante supremo dell’esercito tedesco. Forse la citazione è un’auto-citazione; il Nostro Autore vuol far vedere di essere ferrato sull’argomento.  Ma queste son cose che si imparano a scuola; ci vuole ben altro, caro mio!

Come non sono determinanti i (pochissimi) documenti dell’inchiesta del War Crimes Office, Judge Advocate General’s Office americano. Si tratta della raccolta di alcune  testimonianze sulle centinaia che si potevano trovare all’epoca a S. Miniato, così come accadde per la strage del Padule di  Fucecchio dove lo stesso ufficio statunitense “partorì” circa 70 documenti, fra i quali alcuni interrogatori di testimoni già a suo tempo raccolti dal Maresciallo Maggiore dei Reali Carabinieri di Monsummano  Giuseppe Vitale. Ben più ampio, come accadde in tutte le indagini sulle principali stragi in Italia, il lavoro della 78th Section Investigation Branch britannica che produsse, per l’eccidio del 23 agosto 1944, centinaia di testimonianze e documenti. Perché la 78th S.I.B. non investigò anche su S.Miniato? Forse perché già gli americani si erano accorti che la responsabilità tedesca non c’era? Il motivo non può essere ricercato nel fatto che il territorio di S. Miniato era stato liberato dalla V Army statunitense perché Fucecchio, liberato dalla 6th South African Armoured Division, rimaneva però sotto il controllo dell’armata di Clark di cui la divisione di Poole faceva parte. Leggendo le poche testimonianze sull’eccidio del Duomo fatta dagli americani, si ha la sensazione di una scelta ad hoc delle persone da intervistare.

  Il nostro esimio autore afferma di aver letto di tutto. Bene, legga i libri che il sottoscritto e altri hanno dedicato alla strage di Pratale (2), che lui cita: Nella borgata di Pratale (Tavarnelle Val di Pesa) furono messi a morte undici ostaggi ai quali avevano assicurato che sarebbero stati condotti in un luogo “sicuro”. Ma dove le ha sentite queste baggianate? A Pratale furono ammazzati a poche centinaia di metri da casa, undici contadini che stavano cenando, prelevati da una pattuglia del 12° Reggimento Paracadutisti tedesco, non più di 4-5 soldati, i quali non assicurarono un bel niente. Li portarono in uno spiazzo e probabilmente uno solo di loro, li ammazzò a colpi di mitra (abbiamo ritrovato in loco un bossolo di cal. 9 che è stato depositato presso il Comune di Tavarnelle Val di Pesa) e li depredò dei portafogli. Le donne e i bambini di casa, che erano stati allontanati, dopo gli spari tornarono indietro e trovarono i loro congiunti uccisi. Punto. Motivo: nessuno apparentemente, se non la estrema politicizzazione dei Paracadutisti tedeschi e un odio profondo contro gli italiani. Nessun partigiano, nessun morto tedesco. Ma che ostaggi! Si informi meglio, e legga veramente qualche cosa di più ( e magari lo citi anche). Basta, sono veramente stanco. Come ho detto, lascio ad altri metterci il carico da 11. Di dilettanti che mi rompono i gabbasisi, per dirla alla Camilleri, con le loro telefonate, e che disquisiscono di pezzi da 88 e loro caratteristiche, di Panzer Tigre visti dovunque, di manuali, di addestramenti, di tradizioni prussiane e non prussiane, che mi accusano di voler disonorare la memoria dei soldati americani  sepolti sotto le numerose croci bianche dei cimiteri militari statunitensi, mi sono leggermente stufato. Per informazione di costoro, lo scrivente, per usare un termine caro al Nostro Autore, per i suoi studi, è membro d’onore di due Veterans Association di altrettante divisioni americane che combatterono in Italia. Ma la Storia, come tale, deve avere il coraggio di affrontare anche temi duri e antipatici. Che non sia possibile addebitare ipotesi colposa dell’eccidio agli americani, come se fossero infallibili, il Nostro Autore vada a dirlo ai centottantaquattro bambini della scuola elementare Francesco Crispi di Gorla, ammazzati per l’errore di un intero Squadron di B 24 Liberators del 451st  US Bomber Group il 20 ottobre 1944; vada a dirlo ai 1.000 abitanti di Treviso, bombardati e uccisi dai B 17 il Venerdì Santo 7 aprile 1944, probabilmente per colpire la stazione ferroviaria, che annientarono anche l’80% del patrimonio edilizio della città o a quelli di Urbania, 200 morti, colpiti da tre aerei statunitensi il 23 gennaio 1944 mentre uscivano dalla S.Messa, bombardamento di cui non si trova traccia nei documenti statunitensi, effettuato probabilmente per un errore di identificazione dell’obiettivo. Ne ho veramente piene le tasche. Ho deciso che da ora in poi sulla questione di S. Miniato risponderò solo a chi, con documenti (ma non vecchi di anni e già ampiamente stiracchiati o utilizzati da altri che ci si guarda bene di menzionare) o argomenti veramente ferrati intenderà coinvolgermi. Chiudo qui la storia della strage di San Miniato, della doppia lapide sulla facciata del Comune, delle discussioni inutili, dei testimoni pro e contro. La cosa non mi interessa più: io la mia idea me la sono fatta e la cambierò solo, ripeto, di fronte a prove concrete . E chi vorrà saperne di più su quello che, dalla verde età di undici anni, è stato il mio unico motivo di passione, non ritenendomi all’altezza di quel che sostengo, come “qualcuno” ha affermato telefonicamente a un mio amico samminiatese, si vada a leggere su questo sito il mio modesto curriculum.

Con infinita noia

Claudio Biscarini


Note e riferimenti:

1)    Il Sippenhaft, ovvero l’arresto per motivi di parentela, portò al fermo di moltissimi congiunti dei cospiratori.

2)    Francesco Catastini, Fabrizio Silei, La strage di Pratale. Storia e memoria di una strage dimenticata 23 luglio 1944, Pagnini e Martinelli Editori, Firenze 2004; Claudio Biscarini, Quando piovevano le cannonate.1944: violenze e “guerra ai civili” tra la Val di Pesa e la Val d’Elsa, Effigi Edizioni, Arcidosso 2012.

Questo articolo ha 2 commenti

  1. Grazie Beppe. Son tornato ora da Roma, dove sono andato (io lo faccio non come qualcun altro) a fare ricerche e ho trovato il commento. Potevamo anche stare zitti, ma la cosa che mi raccontasti via email ha fatto arrabbiare me e l’avvocato che ha risposto par suo. Il Bargello è tornato: tremate!
    Un abbraccio,Claudio

  2. Ho saputo da un amico ieri della presentazione del libro del Bini e mi ha detto che tra te e l’avvocato l’avete “asfaltato” oltre a scrivere sul Bollettino di cui ho avuto il link. Come sempre sei stato eccezionale nel ribattere le cazzate la qual cosa non è facile portare argomenti seri a fronteggiare frandonie e falsità volutamente raccontate come verità. Ho letto anche la risposta dell’avvocato a cui ho detto che quasi quasi ho piacere che il Bini abbia scritto quel libro per aver solleticato così vena dell’Avvocato, sempre piacevole a leggere. Però i gridolini ( come dice Lastraioli ) si sentono già da queste parti, pasta un refolo per dire che è arrivato un uragano. Chi contenta,gode! Ciao e buone cose Beppe

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