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Il sistema collinare empolese: Tesi di laurea 2006 discussa da Carlo Pagliai

Tesi specialistica

“Il contributo delle analisi geologiche applicate alla pianificazione territoriale: l’esempio del sistema collinare empolese”

discussa al Corso di Laurea in Pianificazione Territoriale il 30 ottobre 2006, Relatore Prof. C.A. Garzonio dall’allora studente

laureando CARLO PAGLIAI

Vigneto gradonato a Pianezzoli, 2006. Foto di Carlo Pagliai
Vigneto gradonato a Pianezzoli, 2006

PREMESSA
L’Università di Firenze, nel recepire il nuovo ordinamento, ha attivato nell’anno accademico 2004-2005 il Corso di Laurea Specialistica in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio.
Gli elementi di novità sono essenzialmente due:
– lo spostamento della sede storica dell’Ateneo fiorentino alla più decentrata Empoli.
– Un nuovo approccio multidisciplinare alla pianificazione territoriale con maggior livello di approfondimento.
Proprio per queste ragioni, il territorio empolese è l’indiscusso protagonista di questa ricerca, della quale analizzeremo più approfonditamente gli aspetti tecnici e teorici della Tesi.
Sarebbe stato opportuno accompagnare questo studio da un ulteriore approfondimento degli aspetti paesaggistici, agroforestali, identitari, economici e strettamente urbanistici, ma ciò non è stato affrontato in quanto lo svolgimento di esso avrebbe esulato dai principali obbiettivi dello studio limitandosi a raggiungere un alto livello di approfondimento tematico della Geologia Tecnica.
Oggi ognuno può osservare come il territorio sia sempre più sottoposto a fenomeni di dissesto e al rischio idrogeologico, ormai la collettività percepisce molto questa problematica. Alla luce di essa, si è inteso approfondire questa nuova e crescente emergenza ambientale, effettuando analisi dettagliate e proponendo soluzioni di indirizzo strategico da perseguire per ridurre e mitigare l’azione di tali fenomeni.

In particolar modo, la Tesi ha perseguito le seguenti finalità:
– Analizzare gli aspetti topografici, storici e paesistici dell’area.
– Analizzare gli aspetti geologici e idrogeomorfologici dell’area.
– Individuarne le criticità geologiche ed ambientali presenti.
– Interpretare il rapporto tra le caratteristiche meccaniche dei terreni con le trame storiche e paesistiche.
– Diagnosticare il grado di vulnerabilità dell’area nei confronti dei fenomeni morfogenetici in atto o potenziali.
– Proporre modelli previsionali e di interpretazione del grado di stabilità dei versanti.
– Valutare il rischio idrogeologico e il suo potenziale magnitudo.
– Proporre linee di indirizzo strategico e di fattibilità per la difesa del suolo.
– Illustrare esempi di recupero agro-ambientale di aree da fenomeni di dissesto con interventi di Ingegneria Naturalistica.
– Proporre un Piano di Tutela e di riduzione del rischio idrogeologico per le aree agricole.
– Valutare gli effetti ambientali derivanti dalla possibile attuazione del Piano di Tutela mediante i medesimi modelli interpretativi.
In estrema sintesi, si è determinato il rischio idrogeologico attraverso i fenomeni di dissesto dei versanti, il relativo rischio di instabilità, le criticità ambientali e gli elementi suscettibili di danneggiamento da parte del dissesto; una volta determinato il rischio idrogeologico, si sono individuate linee guida e interventi di difesa del suolo integrate in un Piano di Tutela e integrate con la metodologia dell’Ingegneria Naturalistica; come sintesi finale, si è valutato gli effetti ambientali derivanti dalla totale applicazione del suddetto piano.

– INDICE GENERALE DELLA TESI – 

TAVOLE CARTOGRAFICHE

00 – INTRODUZIONE FOTOGRAFICA

00 - INTRODUZIONE FOTOGRAFICA

01 – INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

01 - INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

 

02 – CATASTO LORENESE

02 - CATASTO LORENESE

 

03 – USO DEL SUOLO 1954

03 - USOSUOLO1954

 

04 – USO DEL SUOLO 2002

04 - USOSUOLO2002

 

05 – EVOLUZIONE USO DEL SUOLO

05 - EVOLUZIONE USOSUOLO BIS

 

06 – ESPOSIZIONI

06 - ESPOSIZIONI

 

07 – PENDENZE

07 - PENDENZE

 

08 – MORFOMETRICA

08 - MORFOMETRICA

 

09 – GEOLOGICA

09 - GEOLOGICA

 

10 – GEOMORFOLOGICA

10 - GEOMORFOLOGICA

 

11 – GEOMORFOLOGICA SU USO SUOLO

11 - GEOMORFO SU USO SUOLO

 

12 – PEDOLOGICA

12 - PEDOLOGICA

 

13 – LITOTECNICA

13 - LITOTECNICA

 

14 – GEOTECNICA

14 - GEOTECNICA

 

15 – IDROGEOMORFOLOGICA

15 - IDROGEOMORFOLOGICA

 

16 – IDROLOGICA

16 - IDROLOGICA

 

17 – EROSIONE

17 - EROSIONE

 

18 – POTENZIALE INSTABILITA’ VERSANTI

18 - POTENZIALE INSTABILITA VERSANTI

 

19 – PERICOLOSITA’

19 - PERICOLOSITA

 

20 – RISCHIO IDROGEOLOGICO

20 - RISCHIO IDROGEOLOGICO

 

21 – FATTIBILITA’

21 - FATTIBILITA

 

22 – DIFESA DEL SUOLO

22 - DIFESA DEL SUOLO

 

23 – DIFESA DEL SUOLO 2

23 - DIFESA DEL SUOLO 2

 

24 – PIANO DI TUTELA

24 - PIANO DI TUTELA

 

25 – SINTESI FINALE

25 - SINTESI FINALE

 

RELAZIONE
Cap. 1 – Uno sguardo geografico-storico d’insieme Pag. 7-13

Cap. 2 – Caratteristiche topografiche Pag. 14-18
Cap. 3 – Geologia e geomorfologia Pag. 19-27
Cap. 4 – Litotecnica e Geotecnica Pag. 28-34
Cap. 5 – Geopedologia interpretativa dei suoli Pag. 35-41
Cap. 6 – Idrogeomorfologia e idrologia Pag. 42-45
Cap. 7 – Valutazione rischio erosione Pag. 46-59
Cap. 8 – Potenziale instabilità dei versanti Pag. 60-65
Cap. 9 – Pericolosità geologica Pag. 66-71
Cap. 10 – Rischio idrogeologico Pag. 72-77
Cap. 11 – Fattibilità territoriale Pag. 78-81
Cap. 12 – Piano Operativo di Difesa del suolo Pag. 82-87
Cap. 13 – Piano di tutela del territorio Pag. 88-94
Cap. 14 – Sintesi Finale Pag. 95-97
Bibliografia

CAPITOLO 1 
UNO SGUARDO GEOGRAFICO E STORICO
In primo luogo, occorre sviluppare alcune analisi propedeutiche all’interpretazione di un quadro conoscitivo attuale, per poter approfondire alcuni aspetti del sistema collinare empolese e per conseguire gli obiettivi citati in premessa. Osservando la Carta di Inquadramento Geografico (Tav. n° 1), si nota che il sistema collinare oggetto di studio è ubicato all’intersezione di due valli fluviali importanti, il Valdarno e la Valdelsa.
Esso è interamente collocato entro i confini amministrativi del Comune di Empoli, e si è preferito dedicare lo studio limitandosi a una quota parte del sistema collinare empolese compresa tra tre importanti sistemi vallivo-fluviale, ovvero il Valdarno, la Valdelsa e la Valdorme. La sua collocazione ai confini della provincia di Firenze la porta a condividere alcune problematiche infrastrutturali con l’adiacente provincia di Pisa, a cui è accomunata da certi aspetti del modello di sviluppo economico (fondato sui distretti industriali), ma anche per quanto attiene il rapporto tra due aree densamente antropizzate quali la Valdelsa e il Valdarno, due vere e proprie arterie vitali e centrali per la Regione Toscana.
L’elemento fisico che caratterizza l’area di studio è la compresenza di due distinte unità litologiche adiacenti tra loro, unità che hanno condizionato le caratteristiche paesaggistiche, topografiche e di antropizzazione. Le due unità posseggono una propria connotazione, la prima a prevalenza limo-sabbiosa, con morfologia pseudo “planiziale“, la seconda a prevalenza argillosa, con morfologia collinare “dolcemente ondulata”.
La loro rispettiva morfologia è dipesa dai fenomeni erosivi e di dissesto manifestatisi lungo il corso del tempo, ma soprattutto dalle caratteristiche geomeccaniche dei litotipi. Infatti, i terreni di natura limo-sabbiosa sono materiali granulari sciolti o poco coerenti, quindi più soggetti a fenomeni erosivi; i terreni di natura argillosa sono invece materiali pseudocoerenti e altamente coesivi, e ciò comporta una loro minore suscettibilità erosiva ma di converso una maggiore vulnerabilità al dissesto attivo o potenziale dei versanti. L’intero sistema collinare si è formato nella fase regressiva del periodo Pliocenico; il resto è dato dalle valli fluviali in cui scorrono l’Arno e i suoi affluenti principali come l’Elsa, che ha formato a sua volta una consistente fascia di pianura, e il torrente Orme e Ormicello con le loro valli.
L’abitato principale presente in quest’area collinare è la frazione comunale di Monterappoli, originariamente un antico nucleo medioevale fortificato e sviluppatosi sulla sommità di un ripiano collinare, al quale si sono aggiunte in seguito espansioni edilizie lungo il crinale. Inoltre, vi sono molti edifici “sparsi” di matrice storica-poderale, a volte presenti in piccoli nuclei abitati. Questo sistema collinare è stato da sempre attraversato da viabilità di importanza strategica per i traffici di merci tra Valdarno e Valdelsa, ma soprattutto per la relazione commerciale indiretta tra l’area Fiorentina e il Volterrano.
Infatti, dagli studi effettuati sulle mappe catastali lorenesi e poi digitalizzate nella relativa Carta, si è potuto appurare come fossero ancora esistenti le storiche viabilità commerciali denominate strade “maremmane” o “salaiole”. L’ubicazione di queste infrastrutture, unitamente alla dislocazione degli agglomerati storici umani e degli edifici isolati, è strettamente correlata a fattori climatici, topografici e ambientali, ma anche dall’aspetto geotecnico dei terreni. Dalle Carte geotecniche e litotecniche si può evincere che gli insediamenti e i corpi stradali storici siano stati materializzati sui crinali che possedevano sufficienti caratteristiche di stabilità. Il territorio, fino a circa mezzo secolo fa, possedeva buone caratteristiche di stabilità dei versanti, come appare abbastanza chiaro da un’attenta ricognizione delle fotografie aeree scattate nell’anno 1954. Risulta chiaro la scarsità di fenomeni erosivi e di dissesto idrogeologico, in quanto fino ad allora i suoli erano sapientemente coltivati con pratiche antierosive a “girapoggio” e più raramente a “cavalcapoggio”. Un maggior dettaglio è desumibile dalle fotografie di epoca riportate nella Carta dell’Uso del suolo al 1954, dal quale si può osservare l’eccellente storico sistema di governo agro-paesistico del “giardino mezzadrile toscano”.
Fino ad allora la rete delle trame paesistiche aveva mantenuto la sua secolare configurazione, e sulla base delle cartografie prodotte, si può notare l’elevata coerenza tra la trama paesistica del 1954 e la trama particellare del Catasto Lorenese Toscano, aspetto peraltro già approfondito anche sulla contigua Piana empolese, in merito agli studi effettuati per la Tesi di Laurea Triennale dello scrivente. La redazione della Carta dell’Uso del suolo al 1954 è stata effettuata mediante telerilevamento interpretativo, non limitandosi solo alla a determinarne le caratteristiche geometriche e di coltivazione attraverso l’utilizzo delle fotogrammetrie aeree del Volo G.A.I. 1954, ma anche revisionando e utilizzando le foto aeree scattate negli anni 1943/44 dai ricognitori aerei dell’esercito Anglo-Americano, pubblicate sui volumi “Arno-Stellung” di G. Lastraioli/C. Biscarini ed “Empoli – Il giorno di Santo Stefano – N.Bini”, dal quale è apparsa una chiara coerenza delle trame paesistiche e di uso del suolo tra l’anno 1954 e 1943. Inoltre, per ridurre i dubbi derivanti dalla non ottimale qualità del Volo G.A.I. 1954, si sono osservate le foto paesaggistiche scattate all’epoca, con le quali era possibile verificare la coerenza delle classi interpretative dell’uso del suolo teleinterpretate con quelle visibili frontalmente dalle foto stesse. Tale procedura ci ha permesso di affinare un poco il grado di interpretazione, ma tuttavia è da ritenere che per svolgere una migliore procedura di telerilevamento sarebbe necessario utilizzare delle fotogrammetrie aree aventi maggiore risoluzione grafica. Nella statistica riportata, appare netta la prevalenza della coltivazione del seminativo specializzato e arborato (N.B: il seminativo specializzato era composto da particelle di piccola dimensione circondate comunque da varie colture arboree).
Di seguito si è confrontato l’uso del suolo del 1954 con quello dell’anno 2002, il quale è stato prodotto perfezionando e integrando la cartografia digitale redatta dalla Dott. Patrizia Rossi su incarico del Dipartimento del Corso di Laurea in U.P.T.A.
Nel complesso, l’uso del suolo interpretato dal predetto autore si è rivelato pienamente attendibile, salvo alcune aree dove l’oliveto a girapoggio è stato classificato come oliveto generico. Dalla statistiche si evince che la coltura prevalente è il vigneto disposto a “rittochino”, ovvero i filari sono disposti sul versante secondo la massima pendenza per favorire l’allontanamento delle acque piovane, che di converso asportano via per erosione notevoli quantità di suolo.
Confrontando i due rispettivi tematismi dell’uso del suolo, ovvero quelli presenti al 1954 e al 2002, si possono osservare notevoli differenze tra le relative classi di uso e le rispettive estensioni; esse sono evidenziate e quantificate nella Carta dell’Evoluzione dell’Uso del Suolo. Durante il periodo temporale intercorso tra gli anni 1954 e 2002, il territorio ha subìto notevoli trasformazioni dovute alla progressiva sostituzione delle colture storiche, prevalentemente arborate e/o disposte a girapoggio, con colture sempre più specializzate, disarborate e prevalentemente disposte a filari o a rittochino. Nella Tavola n° 5 si sono rappresentate porzioni di territorio sulle quali si sono verificate o meno sia trasformazioni colturali sia di coerenza paesistica.
In totale sono presenti quattro unità territoriali, che derivano dalla sovrapposizione delle due diverse tipologie di trasformazione territoriale avvenute durante il predetto arco temporale. Per maggior dettaglio, occorre specificare che per trasformazione colturale si intende la prevalente sostituzione della coltura in atto al 1954 con altre non assimilabili, mentre per variazione di coerenza paesistica si intende tutte le variazioni inerenti la tecnica, la disposizione, le pratiche e i metodi di governo delle colture durante il periodo. In questa sede, si è ritenuto congruo assimilare tra loro pochissime tipologie colturali e paesistiche, al solo scopo di non rendere troppo difficoltosa la lettura dei tematismi. Alcuni esempi sono:
– Una trasformazione da oliveto a vigneto è stata classificata come variazione colturale e incoerente.
– Un oliveto a girapoggio trasformato in oliveto a filari è stata indicata come classe colturale invariata però incoerente.
– Un seminativo con oliveto a girapoggio trasformato in oliveto specializzato è stata indicata come variata e coerente.
– Un seminativo specializzato che rimane tale è stato indicato come invariato e coerente.
Tuttavia, tale metodo interpretativo è suscettibile di legittime variazioni criteriali, in quanto la matrice di coerenza può essere legittimamente modificabile in funzione delle impostazioni soggettive e degli obbiettivi preposti.

CAPITOLO 2 – CARATTERISTICHE TOPOGRAFICHE  
Per descrivere topograficamente il sistema collinare di studio, si è proceduto alla redazione della Carta delle esposizioni e delle pendenze. Con la Carta delle esposizioni si visualizza l’orientamento geografico del versante collinare nei confronti dei punti cardinali. In particolare, si sono definiti otto diversi gradi di orientamento rispetto al nord geografico. Utilizzando la funzione “Tin Aspect” del programma ArcGis si è determinato l’esposizione del versante, espressa in gradi sessagesimali in senso orario partendo dal nord, e poi si è provveduto a dare una restituzione grafica del risultato ottenuto, precisando che i versanti pressoché pianeggianti e i ripiani sommatali collinari, non sono stati classificati. Questa carta non è stata prodotta per un successivo e particolare scopo elaborativi, ma per semplice conoscenza topografica e morfologica del territorio.
Tuttavia, si tiene a precisare che può essere utilizzata da alcuni particolari modelli di valutazione erosiva e di pericolosità geologica, in quanto secondo tali modelli l’esposizione, e di conseguenza l’assolazione, può influenzare il grado di stabilità dei versanti per la sua implicazione climatica indiretta (venti prevalenti, piogge, ecc.), ma nella presente trattazione, tale base teorica è stata ritenuta irrilevante a causa della modesta estensione del territorio di studio. Al termine della generazione del tematismo “esposizioni”, si è provveduto ad eseguire alcune correzioni e perfezionamenti in quanto l’algoritmo può produrre alcune imperfezioni e incongruenze.
Al contrario, la successiva Carta delle Pendenze sta alla base di molti elaborati e modelli previsionali di instabilità ed erosione descritti in seguito. Il tematismo è stato generato partendo da un modello digitale del terreno, dal quale poi la funzione “Tin slope” del programma Arcgis ha individuato aree aventi particolari valori di pendenza; tale elaborazione restituisce una complessa rete “triangolare” non del tutto congruente, per cui si è provveduto in seguito ad eseguire alcune correzioni. Si riportano le diversi classi di acclività.
Per ulteriore approfondimento, si allega anche una tabella statistica illustrante il rapporto tra le classi di pendenze e la loro superficie di territorio, dal quale prevalgono le due classi di pendenza variabili comprese tra 1° e 5°, e 5° e 12,50°.
Le diverse classi di acclività, espresse in gradi sessagesimali, sono state scelte in quanto sono coerenti con un territorio collinare di formazione pliocenica principalmente costituito da sabbie e argille. Occorre, infatti premettere che i valori angolari delle pendenze sono relazionati agli angoli di attrito interno delle diverse unità litologiche. A tal fine, si è privilegiata una maggior definizione delle classi di pendenze nei valori compresi tra 20 gradi e 45 gradi articolati in quattro classi, rispetto ai valori compresi tra 5 gradi e 20 gradi ripartiti in due classi. Nel complesso, prevale la presenza di superfici di terreno aventi pendenze variabili tra 1 grado e 12,50 gradi, mentre le classi di maggior pendenza rappresentano una minoranza. La motivazione è attribuibile alla particolare morfologia del territorio, che in via riepilogativa non si presenta particolarmente complessa, tuttavia maggiori dettagli qualitativi e quantitativi saranno analizzati nella Carta Morfometrica, in cui sono state misurate e descritte con idonea simbologia le caratteristiche geometriche medie dei versanti collinari. La procedura automatica GIS utilizzata si basa su un
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algoritmo che calcola le pendenze del modello digitale del terreno. Nella successiva Carta Morfometrica si è provveduto a specificare altri aspetti topografici e morfologici dei versanti, ovvero a quantificare le curvature dei versanti, e quindi il loro grado e direzione di concavità o convessità, ma anche ad individuare i ripiani collinari, le principali linee di crinale, la sagoma traversale dei crinali, le sommità collinari e le principali variazioni di pendenze dei versanti, spesso coincidenti con le scarpate.
L’individuazione di queste caratteristiche topografiche permette di approfondire gli aspetti topografici legati al paesaggio collinare e correlarli alle caratteristiche geologiche e geotecniche dei versanti. Infatti, il particolare livello di dettaglio descrittivo che offre questo tematismo permette rapidi formulazioni interpretative circa il rapporto che intercorre tra le variazioni di pendenze e le concavità dei versanti, con le relative classi litologiche prevalenti.
In sintesi esemplificativa, si sono redatti tre tipologie ricorrenti di sagoma collinare presenti nell’area, effettuando in parallelo un’attenta ricognizione con le carte litotecniche e litologiche. Ognuno delle tre classi è raffigurabile mediante profilo longitudinale e trasversale:
La tipologia di versante maggiormente presente è la terza, come riscontrabile dalla Carta della Morfometrica, e ciò è legata alla prevalente classe geolitologica presente nel territorio, ovvero le argille e sabbie argillose, soprattutto nella porzione meridionale dell’area studiata.
Ovviamente ciò che ha modellato la morfologia dei versanti sono i diversi fenomeni morfogenetici che si sono manifestati nel tempo e che tuttora continuano la loro naturale azione.

CAPITOLO 3 – GEOLOGIA E GEOMORFOLOGIA  
La geologia dell’area non è particolarmente complessa, ma tuttavia la sua limitata complessità non implica una scarsa complessità dei fenomeni geomorfologici, i quali sono anche coadiuvati dall’azione antropica.
Innanzi tutto occorre ricordare questo sistema collinare si è formato prevalentemente con materiali sedimentati nella ultima fase di regressione marina del periodo Pliocenico, sulla base delle giaciture nelle facies; in via estremamente sintetica e riduttiva, si può affermare che nell’area vi sono presenti due principali gruppi geolitologici, originatisi presumibilmente in tempi molto vicini tra loro. Il primo gruppo, quello più diffuso, è quello delle argille e sabbie argillose, intercalate con strati di conglomerati di ghiaie e ciottolati; esso ha avuto probabilmente origine durante la fase iniziale di regressione marina del Pliocenico, infatti, solamente il mare poteva depositare grandi quantità di argille.
Il secondo gruppo, quello meno diffuso, è quello delle sabbie e limi ed è particolarmente posizionato tra l’intersezione del Valdarno e della Valdelsa; è pertanto possibile ipotizzare che tal gruppo abbia avuto origine nella fase finale di regressione marina, la quale lasciava azione alla successiva fase “lacustro-fluviale” del Pliocenico.
Si offre tuttavia una migliore descrizione delle unità litologiche presenti nell’area, specificando che i dati utilizzati per la loro definizione sono stati estrapolati dalle cartografie geologiche regionali pubblicate telematicamente sulla banca dati CARG, inoltre si è provveduto ad effettuare attenta ricognizione delle cartografie geologiche del Comune di Empoli e delle cartografie geologiche del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Firenze.
Descrizione delle unità litologiche prevalenti sul territorio:
– Depositi alluvionali recenti: depositi incoerenti costituite da ciottoli, sabbie e argille sabbiose. Affiorano estesamente e con notevoli spessori nelle pianure e lungo i corsi d’acqua affluenti dei principali. Negli impluvi minori tali depositi sono intercalati a depositi colluviali granulometricamente più fini. (OLOCENE)
– Depositi alluvionali terrazzati: depositi costituiti da sabbie ocracee e ciottolami talora debolmente cementati e provenienti dal disfacimento di formazioni flyshoidi circostanti. (OLOCENE)
– Depositi alluvionali fluvio-lacustri di pianura: depositi di materiale poligenico per colmate fluviali e depositi palustri. Affiorano estesamente e con notevoli spessori nelle pianure e lungo gli affluenti di principali corsi d’acqua. Negli impluvi minori tali depositi sono intercalati a depositi colluviali granulometricamente più fini. (OLOCENE)
– Depositi argillosi lacustro-marini: Depositi di argille lignitifere “azzurre” stratificate, spesso con intercalazioni stratificate di sabbie e limi. (PLIOCENE INF. – MEDIO)
– Depositi limo-sabbiosi lacustro-marini: depositi di limi e sabbie stratificati con rare intercalazioni di lenticelle di ghiaie e piccoli ciottolami. (PLIOCENE INF. – MEDIO)
– Depositi sabbiosi lacustro-marini: depositi di sabbie e sabbie limose spesso con buona stratificazione in banchi con letti ciottolosi. Sono evidenti i livelli cementati che, per l’erosione differenziale lungo le scarpate, restano in rilievo rispetto agli strati sabbiosi meno compatti. Il comportamento meccanico dei materiali costituenti l’unità è di tipo “granulare”, rappresentativo di sabbie addensate poco cementate.
Localmente può prevalere un comportamento di tipo “coesivo”. Dal punto di vista idrogeologico si tratta di materiali a bassa permeabilità. La presenza di intercalazioni di materiali a granulometria diversa, determina la formazione di piccole falde sospese o confinate inducenti sollecitazioni idrauliche che possono innescare fenomeni franosi. Tale situazione è particolarmente evidente nelle fasce di contatto con le unità limose, argillose e sabbie-argillose. In generale, nelle porzioni inferiori dell’unità, si osserva un graduale aumento della frazione granulometrica più fine. (PLIOCENE INF. – MEDIO)
– Conglomerati alluvionali di ghiaie e ciottolami: depositi di ghiaie e ciottolami variamente cementificati con sabbie limose e talora stratificati. Il cemento, quando presente, è carbonatico e conferisce buone proprietà tecniche al deposito. Al margine delle zone di affioramento sono spesso presenti scarpate subverticali in corrispondenza delle quali si possono verificare limitati fenomeni di crollo che coinvolgono esigui volumi di materiale. Tali fenomeni franosi sono connessi con l’alterazione e dissoluzione, prodotti dagli agenti esogeni, del cemento carbonatico in corrispondenza di fessure e fratture. (PLIOCENE INF. – MEDIO)
– Discarica: Area adibita a deposito di rifiuti solidi urbani, attualmente non in attività, e possiede un substrato profondamente alterato dalla sua precedente attività di smaltimento.
Per una rapida comprensione della configurazione geologica dell’area, si riporta di seguito le sezioni geologiche del sistema collinare, le quali evidenziano in maniera sintetica la generale disposizione delle stratigrafie geologiche.
Sezione geologica pubblicata sullo Sportello cartografico della Regione Toscana.
Sezione geologica pubblicata sul passato Piano Regolare Comunale di Empoli, prodotta dalla ditta GETAS – Pisa.
La complessità litologica dei rilievi collinari influisce sull’acclività dei versanti, ma soprattutto sui relativi fenomeni geomorfologici, i quali in molti casi sono amplificati dall’azione antropica e dagli errati metodi di pratica agricola del territorio. La loro individuazione è stata effettuata intersecando i dati di censimento delle frane e del dissesto dei versanti pubblicati sullo sportello cartografico toscano con quelli di maggior dettaglio pubblicati nelle cartografie allegate al Regolamento Urbanistico Comunale di Empoli e prodotti dalla Ditta GETAS – Pisa.
Principali forme e processi morfologici caratterizzanti il dissesto dei versanti collinari:
– Cave attive
Aree sottoposte ad intensa attività estrattiva di argille per produzione industriale di laterizi. L’attività estrattiva avviene a cielo aperto e procede mediante sbancamento sequenziale del versante con gradonature multiple.
– Cave dismesse
Aree sottoposte un tempo ad attività estrattiva di argille per produzione pre-industriale di laterizi, attualmente non coltivate. L’attività estrattiva avveniva a cielo aperto e procedeva mediante sbancamento del versante con gradinata unica, vista l’esigua quantità di materiale cavabile e la modesta entità lavorativa della cava.
– Laghetti collinari
Micro-bacini di acqua realizzati ad opera di privati mediante captazione e sbarramento di acque superficiali, allo scopo di costituire riserve idriche per uso irriguo.
– Ruscellamenti diffusi e concentrati
Fenomeni di degradazione dei terreni argillosi quando essi sono privi di copertura vegetale naturale, e ubicati su versanti con elevata acclività.
– Soliflussi generalizzati
Scorrimento verso valle della coltre detritica di un versante per effetto della saturazione in acqua, con velocità che vanno da qualche millimetro a qualche metro ogni anno. Questo movimento si distingue dalle colate per la sua lentezza e perché il terreno in movimento mantiene la sua consistenza, pur manifestando la presenza di piccole colate, lobi e increspature del terreno.
– Scarpate di frana
Superfici generalmente ripide che delimitano un area quasi indisturbata e soprastante la frana dal materiale di frana allontanato, e rappresentano la superficie di rottura.
– Scarpate di degradazione
Superfici generalmente ripide, che delimitano il bordo superiore delle aree d’affioramento di diverse litologie a contatto tra loro. Tali scarpate possono raggiungere altezze considerevoli (10-15 metri) e acclività di quasi 90°. Le fasce di terreno che bordano i cigli possono essere particolarmente instabili per fenomeni di crollo che possono essere favoriti da linee di frattura, da erosioni al piede, da circolazione idrica.
– Impluvi di erosione concentrata
Percorsi preferenziali di acque superficiali a scorrimento veloce lungo i quali si manifestano notevoli fenomeni erosivi laterali e profondi.
– Conoidi alluvionali
Essi rappresentano zone in costante evoluzione per gli apporti continui di materiali alluvionali grossolani depositati dai rispettivi corpi idrici superficiali; nel complesso queste aree si possono considerare stabili.
– Corpi di frana attivi per scorrimento traslazionale o rotazionale Movimenti attivi di una porzione di versante lungo una superficie più o meno planare (traslazionale) o circolare (rotazionale). La forma della superficie di scorrimento dipende dalle caratteristiche meccaniche e dalla struttura del terreno. Nello scorrimento rotazionale la porzione di versante ruota rispetto ad un centro che è posto superiormente rispetto al suo centro di massa.
– Corpi di frana quiescenti per scorrimento traslazionale o rotazionale
Movimenti di una porzione di versante lungo una superficie approssimatamente planare (traslazionale) o circolare (rotazionale) di cui non sono ben visibili segni e sintomi. La forma della superficie di scorrimento dipende dalle caratteristiche meccaniche e dalla struttura del terreno. Nello scorrimento rotazionale la porzione di versante ruota rispetto ad un centro che è posto superiormente rispetto al suo centro di massa.
Osservando attentamente la tipologia e la distribuzione dei diversi fenomeni geomorfologici, si può osservare come il territorio sia soggetto a numerosi fenomeni di degrado e di dissesto dei versanti, molti dei quali cagionati o amplificati dall’incremento della pressione antropica e dall’errata applicazione di pratiche colturali. Le aree maggiormente interessate dai fenomeni di dissesto sono quelle a prevalente caratterizzazione argillosa, in quanto hanno un maggior grado di complessità stratigrafica e litologica, confermate dalle numerose intercalazioni di conglomerati; al contrario, le aree meno interessati dai dissesti sono quelle a prevalente caratterizzazione limo-sabbiosa, in quanto prive di particolari complessità stratigrafiche, ma di converso, sono esposte maggiormente ai fenomeni erosivi a causa del minor grado di coesione e coerenza granulare.
La recente cronaca e le maggiori richieste di messa in sicurezza del territorio illustrano come la stabilità dei versanti di questi sistemi collinari sia notevolmente diminuita rispetto al passato. Infatti, i fenomeni di smottamento e di danneggiamento subiti dai privati e dalle infrastrutture pubbliche si manifestano con crescente frequenza ed intensità.
Le cause principali di questo crescente degrado idrogeologico sono da ricercarsi nell’errato sviluppo del territorio adottato dal dopoguerra, alterando i delicati e secolari equilibri agro-ambientali, come di seguito illustrato:
– aumento di aree impermeabilizzate, soprattutto attorno ai centri urbani e nuclei abitati sparsi, ma anche nel territorio rurale. (Per esempio, furono asfaltate moltissime strade vicinali o minori, oppure furono costruiti nuovi edifici con il relativo resede di pertinenza pavimentato)
– rimozione generalizzata delle secolari sistemazioni integrate multicolturali a “girapoggio” ciglionate e arborate, sostituite con coltivazioni monoculturali di vigneto a rittochino e seminativo specializzato, aventi estensioni areali maggiori rispetto al passato.
– Eccessivo uso di mezzi meccanici per la coltivazione dei suoli, i quali facilitano e velocizzano la coltivazione, ma di converso tendono a compattare gli strati inferiori del suolo con il loro peso e le loro vibrazioni.
Lo studio dei fenomeni geomorfologici non si è limitato solamente ad individuarli sulla relativa cartografia, ma si è cercato di individuare l’eventuale rapporto con l’uso attuale del suolo, oggi ritenuto non sostenibile dalla pubblicistica di riferimento. Si è pertanto arrivati a produrre una cartografia di sovrapposizione dei fenomeni geomorfologici sull’attuale uso del suolo. Lo studio eseguito mostra come molti dei dissesti geomorfologici rilevati si sviluppino prevalentemente su versanti argillosi con pendenze uguali o maggiori a 15°-20° o su aree di contatto tra diverse unità litologiche, con monocoltivazione di vigneto a rittochino o seminativo semplice, che favorisce i fenomeni erosivi incanalati e di degradazione, per il rapido defluire delle acque, e lo svilupparsi di fenomeni gravitativi di massa. Una relativa concentrazione di fenomeni morfologici si rileva anche nelle aree abbandonate, attualmente non più coltivate, dove sarà utile mantenere e/o recuperare, ove necessario, elementi quali terrazzamenti, ciglionamenti, scoline, fossi, drenaggi ecc, che rappresentano ancora una traccia di “quell’antico” sistema di presidio creato per controllare l’azione degli agenti morfogenetici e favorire le corrette pratiche agricole antierosive, inoltre, anche la mancata gestione delle aree forestali e dei relativi sottoboschi ha provocato la diminuzione delle superfici drenabili e quindi il minor accumulo di acqua nel sottosuolo che riforniva le falde.

CAPITOLO 4 – LITOTECNICA E GEOTECNICA  
Il procedimento che ha permesso di redigere la Carta Litotecnica e Geotecnica ha utilizzato i dati e alcuni tematismi allegati al Regolamento Urbanistico Comunale di Empoli, oltre che ai dati elaborati dallo sportello cartografico. Le carte sono state di fondamentale ausilio per interpretare e relazionare le dinamiche insediative e antropiche con la resistenza meccanica dei terreni collinari. Apparentemente le due carte sono simili e hanno molti punti in comune tra loro, ma occorre fare una precisa distinzione circa il loro metodo di redazione: la litotecnica assegna il più probabile grado di resistenza in funzione della consistenza granulometrica e di coesione derivante dai litotipi presenti in loco; la geotecnica invece, approfondisce e integra la litotecnica con i risultati ottenuti dalle indagini geognostiche svolte dai privati e dagli enti pubblici per i diversi interventi edilizi o di indagine preventiva.
Per la realizzazione della Carta Litotecnica è necessario prendere in esame non solo la natura litologica dei terreni affioranti ma anche tutta una serie di caratteristiche che vanno da quelle meccaniche di resistenza al taglio a quelle fisiche quali la compattezza o grado di cementazione, la porosità, l’angolo di attrito interno alla coesione, la presenza di strutture sedimentarie e tettoniche.
Per stabilire quale tipo di riclassificazione della geologia risultava essere più idonea, sono state messe a confronto varie metodologie adottate da enti territoriali, adottando la classificazione prevista dall’Autorità di Bacino del Fiume Arno.
Questa è generalmente utilizzata dalla Geotecnica (che si divide in Meccanica delle rocce e in Meccanica delle Terre) e si basa sulle caratteristiche meccaniche dei materiali, pertanto si ha una netta distinzione tra roccia e terreno secondo lo schema riportato.
Nel territorio oggetto di studio sono presenti solamente terreni sciolti con diversi gradi di coerenza e terreni coesivi.
Per coesione delle terre si intende quella forza che tiene insieme i granuli che compongono la terra stessa: tale forza è la tensione superficiale dell’acqua contenuta nei pori capillari (micropori). Quindi se nella terra vi sono pori capillari vi potrà essere questa coesione, come accade principalmente per le argille sciolte, un po’ meno nei limi, pochissimo nelle sabbie, per niente nelle ghiaie. Affinché l’acqua presente fra i granuli della terra abbia questo effetto di coesione, è necessario che il suo contenuto sia entro certi limiti percentuali sul peso del materiale.
I litotipi sono distinti in quattro gruppi principali, anche se sulla carta litotecnica vi sono alcune ulteriori articolazioni.
1) Coerenti – materiali composti da particelle elementari tenacemente unite tra loro, che rimangono tali sia allo stato asciutto che quando sono imbevute d’acqua (imbibite); un esempio di essi sono le rocce litoidi o lapidee come calcari, arenarie, graniti, ecc.
2) Incoerenti – materiali sciolti, cioè formati da particelle (granuli) libere e prive di sostanze cementanti, come le sabbie, le ghiaie, i limi, le brecce, i detriti non cementati.
3) Semicoerenti – materiali che presentano caratteri intermedi.
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4) Pseudocoerenti – materiali argillosi che si comportano come coerenti quando sono asciutte o umide, come incoerenti quando sono imbevute d’acqua.
Per redigere la Carta Geotecnica del territorio non erano disponibili sufficienti dati di analisi geognostiche,per cui si è sopperito a questa carenza di dati geotecnici attendibili, revisionando e integrando il precedente tematismo dei dati litotecnici con i dati geognostici allegati nel medesimo Regolamento Urbanistico di Empoli. Da ciò emerge una contraddizione tra la resistenza meccanica presunta assegnata su base litologica e i dati derivanti dalle indagini geognostiche eseguite in loco. Alla luce di quanto sopra, appare evidente come il sottosuolo di queste colline plioceniche sia caratterizzato da una notevole complessità stratigrafica, e quindi, risulta confermata la limitata attendibilità della quantificazione meccanica su base litotecnica, come risultante dalla relativa carta.
Premesso tutto ciò, si procede alla descrizione metodologica adottata per redigere la Carta Geotecnica. Si sono sovrapposti tra loro i valori di resistenza meccanica ottenibili dai due criteri sintetizzati, ovvero:
1) l’effettiva resistenza geotecnica dei terreni, determinata mediante i valori numerici derivanti dalle prove statiche e dinamiche e, in misura subordinata, a sondaggi geognostici effettuati, i cui valori sono depositati nelle relazioni allegate al Reg. Urb. di Empoli.
2) la presunta resistenza litotecnica dei terreni, determinata ipotizzando che le diverse classi litologiche dei terreni siano caratterizzate da comportamento meccanico omogeneo,
indipendentemente dalla posizione stratigrafica, dai rapporti geometrici e dall’età.
La caratterizzazione geolitotecnica dei terreni di collina è stata quindi prodotta in funzione sia della resistenza litotecnica-meccanica all’infissione penetrometrica (Rp) media per classe litologica (UNI 10008) e sia della reale resistenza geotecnica-meccanica all’infissione penetrometrica (Rp), considerata un parametro geotecnico idoneo ad esprimere la deformabilità laterale e verticale e delle caratteristiche meccaniche dei terreni. Il criterio complessivo pertanto è stato quello di individuare intervalli nel sottosuolo aventi comportamento geotecnico medio affine, espresso da valori di Rp dello stesso ordine di grandezza. Prendendo come riferimento il valore di Rp = 20 kg/cmq, sono stati individuati gli intervalli omogenei caratterizzati da valori di Rp che si mantengono mediamente entro un campo di valori ben definito.
A tali intervalli è stata associata una classe geolitotecnica secondo il seguente schema:
CLASSE A1 – I terreni di questa classe sono caratterizzati da valori di Rp sempre superiori a 20 kg/cmq e che raggiungono spesso valori di rifiuto all’infissione della punta. Tale valore esprime caratteristiche meccaniche buone (Resistenza meccanica elevata e scarsa compressibilità) ed è riferibile a terreni sabbiosi e limi addensati, a livelli di ghiaia e talvolta a livelli di argille molto compatte e in genere sovraconsolidate.
CLASSE A2 – Questa classe include terreni caratterizzati da strati con Rp comprese mediamente tra 10 e 20 kg/cmq. Le caratteristiche meccaniche medie sono generalmente discrete (Resistenza meccanica da media a bassa e compressibilità da media ad elevata) e possono peggiorare o migliorare in funzione dell’incidenza dei livelli con Rp intorno a 10 kg/cmq su quelli con Rp intorno a 20 kg/cmq. Questi terreni sono riferibili ad argille mediamente compatte normalconsolidate, limi più o meno addensati e sabbie fini sciolte.
CLASSE A3 – I terreni di questa classe sono caratterizzati da valori di Rp che si mantengono mediamente intorno a 10 kg/cmq o minori. Le caratteristiche meccaniche sono scadenti (Bassa resistenza a rottura e compressibilità elevata) e sono riferibili ad argille molli e limi sciolti. Come si può agevolmente osservare nella zona collinare la classe più diffusa è la A3 e in subordine la A1.
Nei terreni circostanti di pianura, prendendo come parametro di riferimento la resistenza alla penetrazione (Rp – kg/cmq), sono stati individuati in ciascun diagramma penetrometrico intervalli omogenei caratterizzati da un valore costante di Rp. A tali intervalli è stata associata una classe geotecnica:
– classe B1, con Rp sempre superiore a 20 kg/cmq presenta buone caratteristiche meccaniche;
– classe B2, con Rp compreso tra 10 e 20 kg/cmq presenta caratteristiche meccaniche discrete;
– classe B3, con Rp mediamente intorno a 10 kg/cmq o meno presenta caratteristiche meccaniche scadenti.
Anche per la definizione della resistenza litotecnica media per classe litologica dei terreni in pianura, non sono stati considerati i parametri stratigrafici, geometrici e di età in quanto quelli in possesso si sono dimostrati insufficienti per lo scopo.
Osservando attentamente entrambe le carte, si può osservare come gli edifici storici quali poderi rurali, ville-fattorie, gli antichi nuclei medioevali incastellati e le torri medioevali siano stati costruiti saggiamente su suoli che offrivano maggiore resistenza e indeformabilità alle sollecitazioni. Ciò che sorprende è come questi edifici, a distanza di secoli, non hanno subìto evidenti lesioni strutturali e cedimenti di fondazione, al contrario di alcuni edifici costruiti recentemente che manifestano visibili lesioni di cedimenti. Anche l’ubicazione dei corpi stradali storici e la loro tipologia costruttiva dimostra ulteriormente come in passato consideravano il rapporto tra la resistenza e deformabilità dei terreni con le utilizzazioni antropiche, al contrario di oggi che si persiste ad effettuare trasformazioni in aree instabili accompagnandole con opere geotecniche di contenimento “grigie” ovvero in calcestruzzo armato.
Anche il passato uso del suolo del 1954, se confrontato con le caratteristiche geotecniche dei terreni, dimostra come nelle aree poco resistenti le coltivazioni a “girapoggio” potevano offrire una molteplice funzione di consolidamento e stabilizzatrice dei versanti, di ottimizzare e massimizzare la produzione agricola, e di offrire un complementare effetto paesistico di indubbio splendore.

CAPITOLO 5 – GEOPEDOLOGIA INTERPRETATIVA DEI SUOLI 
La carta geopedologica è stata redatta utilizzando dati e tematismi forniti da un ente pubblico e facenti parte di una più vasta ricerca tuttora in corso di svolgimento e quindi suscettibile di variazioni e correzioni, pertanto, su specifica richiesta dello stesso ente, non è possibile effettuarne la citazione e in via prudenziale si è preferito titolare il tematismo “geopedologica interpretativa” in sintonia con lo stesso tipo do studio che sta effettuando la Regione Toscana, tuttavia, si ritiene che la Carta Geopedologica interpretativa, essendo una carta derivata, possa comunque avere un sufficiente livello di qualità tecnica. Le unità geopedologiche sono state classificate attraverso un’associazione interpretativa per affinità litologica. Litotipi di diversi periodi o ere geologiche possono pertanto coesistere in una stessa classe litologica perché aventi, ad esempio, la stessa genesi, composizione mineralogica e affinità pedogenetica.
Lo scopo iniziale della carta era quello di specificare con buon dettaglio le caratteristiche pedologiche del regolite, sulla base delle quali stabilire e assegnare con maggior precisione il fattore di erodibilità K, da utilizzare nel successivo modello di erosione RUSLE; alla luce di quanto sopra, si è preferito assegnare i fattori di erodibilità K integrando la base pedologica con la base litologica. Si passa ora a descrivere le unità geopedologiche e le relative caratteristiche fisiche dei suoli, sottolineando che l’autore ha proceduto a denominare le unità geopedologiche assegnando nomi in relazione della toponomastica locale:
1) Suoli di “Aree Miste” (AM), ubicati prevalentemente nelle aree pianeggianti delle valli fluviali, molto estesi: trattasi di suoli prevalentemente alterati e composti da materiali di riporto o derivante da movimenti terra, molto impermeabilizzati e compatti, poco profondi.
2) Associazione dei suoli “Monterappoli” (MR1), ubicati prevalentemente su versanti moderatamente erosi, molto frequenti, e dei suoli “Ghiaie di Valdorme” (GV), ubicati prevalentemente su ripiani in versante e piccoli colluvi, poco erosi, frequenti. – [(MR1): Suoli da moderatamente profondi a profondi, a profilo A-Bw-C, di colore da bruno a bruno giallastro, da ghiaiosi a molto ghiaiosi, classe granulometrica dominante scheletrico franca, generalmente calcarei, da neutri a subalcalini, da ben drenati a piuttosto drenati]– [(GV): Suoli profondi, a profilo Ap-Bt1-Bt2, di colore bruno rossastro, da ghiaiosi a molto ghiaiosi, classi granulometriche prevalenti fine e scheletrico argillosa, generalmente non calcarei, da neutri a debolmente alcalini, ben drenati]– [Classificazione USDA (Soil Taxonomy) Typic Haplustepts loamy-skeletal, mixed, thermic (2003) – classificazione WRB (World Reference Base): Endoskeleti, Calcaric Cambisols (1998)]3) Associazione dei suoli “Valdibotte 1” (VDB1), ubicati prevalentemente su versanti lineari, molto frequenti e dei suoli “Valdibotte 2” (VDB2), ubicati soprattutto su superfici strutturali erose, frequenti:
– [(VDB1): Suoli da moderatamente profondi a profondi, a profilo A-Bw-Ck, di colore bruno giallastro, da poco ghiaiosi a ghiaiosi, classi granulometriche prevalenti franco fine (FFI) e limoso fine (LFI), da calcarei a molto calcarei, moderatamente alcalini, con presenza di orizzonte calcico, ben drenati.]– [(VDB2): Suoli poco profondi, a profilo A-C, di colore da bruno a bruno giallastro nel topsoil e da bruno a giallo oliva nel subsoil da poco ghiaiosi a ghiaiosi, classe granulometrica prevalente franco grossolana (FGR), calcarei, moderatamente alcalini, eccessivamente drenati.]– [Classificazione USDA (Soil Taxonomy): Typic Calciustepts fine-loamy, mixed, mesic (2003), classificazione WRB (World Reference Base): Haplic Calcisols (1998)]4) Suoli “Argille Valdorme” (AV1), ubicati prevalentemente su versanti erosi, molto frequenti.
– ([AV1): Suoli da sottili a moderatamente profondi a profilo Ap-C, di colore da grigio olivastro a grigio, non ghiaiosi, classe granulometrica fine (AFI), calcarei, reazione moderatamente alcalina, con carbonati diffusi in tutta la massa, con presenza di fessurazioni profonde che proseguono nel sedimento inalterato dividendolo in blocchi, da moderatamente drenati a piuttosto mal drenati.
[Classificazione USDA (Soil Taxonomy): Vertic Ustorthents fine, mixed, calcareous, mesic (2003), classificazione WRB (World Reference Base): Calcari, Hyposalic Regosols (1998)]5) Consociazione dei suoli “Pedecollina 1” (PC1) con suoli accessori “Pedecollina 2” (PC2), su superfici debolmente pendenti, moderatamente erose.
– [(PC1): Suoli molto profondi, a profilo Ap-Bw-Bt-BC-C, di colore bruno rossastro, con tessitura franco-limosa nell’orizzonte Ap e Bw e
argillosa in quelli sottostanti, non calcarei, a reazione neutra, con saturazione in basi molto alta, ben drenati.
– [(PC2): Suoli profondi, a profilo Ap1-Ap2-Bt1-Bt2, di colore bruno, ghiaiosi, classe granulometrica fine (AFI), scarsamente calcarei, reazione moderatamente alcalina, saturazione in basi molto alta, ben drenati.
– [Classificazione USDA (Soil Taxonomy): Typic Haplustalfs fine, mixed, mesic (2003), classificazione WRB (World Reference Base): Hapli, Cutanic Luvisols (1998) ]6) Suoli “Argille di Valdorme 2” (AV2), ubicati prevalentemente su versanti moderatamente erosi, molto frequenti.
– [(AV2): Suoli da poco a moderatamente profondi, a profilo Ap-C, di colore da oliva a grigio oliva, non ghiaiosi, classe granulometrica fine (AFI), calcarei, subalcalini, con vistosi caratteri vertici, da moderatamente ben drenati a piuttosto mal drenati.
– [(Classificazione USDA (Soil Taxonomy): Vertic Ustorthents fine, mixed, calcareous, mesic (2003) classificazione WRB (World Reference Base): Nyposalic Regosols (1998)]7) Suoli “Monteboro” (MB), ubicati prevalentemente su ripiani e versanti moderatamente erosi, molto frequenti.
– [(MB): Suoli da profondi a molto profondi, a profilo Ap-Bt1-Bt2, da bruno rossastri a giallo rossastri, poco ghiaiosi, classe granulometrica prevalente franco fine (FFI), talora più grossolana, non calcarei, ben drenati, sono ubicati su superfici da ondulate a debolmente pendenti e sono molto frequenti.]– [Classificazione USDA (Soil Taxonomy): Haplic Palexeralfs fine-loamy, mixed, thermic – (2003) classificazione WRB (World Reference Base):Profondic Luvisol (1998)]8) Associazione dei suoli “Monterappoli 2” (MR2), ubicati prevalentemente su versanti lineari e ripiani, molto frequenti.
– [(MR2): Suoli da moderatamente profondi a profondi, a profilo Ap-Bw-C, di colore da bruno a bruno giallastro, con orizzonte di spessore non molto elevato, scarsamente ghiaiosi, classe granulometrica prevalente franco grossolana, da calcarei a molto calcarei, da debolmente a moderatamente alcalini, ben drenati]– [Classificazione USDA (Soil Taxonomy): Typic Haplustepts coarse-loamy, mixed, mesic – (2003) classificazione WRB (World Reference Base): Silti, Calcaric Cambisols (1998)
9) Associazione dei suoli “Valdarno” (VAL), ubicati su superfici subpianeggianti del Valdarno e della Valdelsa, molto frequenti e dei suoli Valdorme (VLE), ubicati nelle aree golenali dei corsi d’acqua della Valdorme, frequenti.
– [(VAL1): Suoli da profondi a molto profondi, a profilo Ap-Bw-C, con un orizzonte che si forma per alterazione in posto del materiale locale, scheletro generalmente assente, classi granulometrica
prevalente franco fine (FFI), molto calcarei, a reazione moderatamente alcalina, saturazione in basi molto alta, ben drenati.]– [(VLE): Suoli da moderatamente profondi a profondi, a profilo Oe-A-C, da ghiaiosi a molto ghiaiosi, classe granulometrica prevalente scheletrico sabbiosa (SKS), molto calcarei, a reazione moderatamente alcalina, contenuto di carbonio organico molto scarso, eccessivamente drenati.]– [Classificazione USDA (Soil Taxonomy): Fluventic Haplustepts fine-loamy, mixed, mesic (2003) classificazione WRB (World Reference Base): Calcari, Fluvic Cambisols (1998)]10) Associazione dei suoli Conoidi Alluvionali 1 (CA1), ubicati prevalentemente su aree di conoide alluvionale,
frequenti e dei suoli “Conoidi Alluvionali 2” (CA2), ubicati prevalentemente sul terrazzo alluvionale più basso, frequenti.
-[(CA1): Suoli da profondi a molto profondi, a profilo Ap-Bt-Btg-BC, da ghiaiosi a molto ghiaiosi, di colore tra bruno e bruno scuro
nel topsoil e tendenzialmente bruno giallastro nel subsoil (Bt), classe granulometrica prevalente scheletrico franca (SKA), non calcarei, a reazione da debolmente a moderatamente acida, moderatamente ben drenati.
– [(CA2): Suoli da profondi a molto profondi, a profilo Ap-Bt-Btg-C, ghiaiosi, di colore tra bruno e bruno scuro e bruno rossastro nel topsoil e tendenzialmente bruno giallastro o bruno nel subsoil (Bt), classe granulometrica prevalente fine (AFI), non calcarei, a reazione da debolmente acida a neutra, da moderatamente ben drenati a ben drenati.
– [Classificazione USDA (Soil Taxonomy): Typic Haploxeralfs clayey-skeletal, mixed, thermic (2003) classificazione WRB (World Reference Base): Endoskeleti, Cutanic Luvisols (1998)]

CAPITOLO 6 – IDROGEOMORFOLOGIA E IDROLOGIA 
La redazione della Carta Idrogeomorfologica è stata coadiuvata dai dati e dalle cartografie allegate al Regolamento Urbanistico di Empoli e dai dati fornito dall’ente Circondario Empolese-Valdelsa.
Le informazioni riportate nella cartografia sono molteplici e meritano una prima lettura separata. Il territorio è stato suddiviso in base alla caratteristica idrogeologica della permeabilità, principalmente dipendente dalle caratteristiche geolitologiche del sistema collinare. Il tematismo della permeabilità illustra i differenti gradi di permeabilità e la loro distribuzione, dalla quale si evince che i litotipi limo-sabbiosi hanno il più elevato grado di permeabilità dell’area, il che conferisce a queste colline un ruolo fondamentale di rigenerazione delle falde acquifere che alimentano i principali campi pozzi ubicati nella Piana empolese; di converso, queste aree meritano una particolare tutela ambientale per il loro stretto rapporto idrogeologico e l’elevata vulnerabilità degli acquiferi.
Il restante sistema collinare caratterizzato da litologie argillose possiede scarse caratteristiche di permeabilità dovute alla loro granulometria molto fine.
Sulla Carta Idrogeologica sono riportate anche le curve isopiezometriche per la sola area di pianura, esattamente come rappresentate negli allegati del Reg. Urb. di Empoli. Le curve isopiezometriche non sono state redatte per le aree collinari in quanto la complessità stratigrafica dei terreni, a meno di una sufficiente quantità dei dati inerenti i pozzi idrici, non consente di tracciarli con un buon grado di attendibilità. Tuttavia, le curve isopiezometriche ubicate in pianura permettono di individuare le principali direttrici di flusso idrico sotterraneo, soprattutto in relazione alla distribuzione delle sorgenti idriche naturali e dei pozzi idrici delle centrali acquedottistiche e quelli dei privati autorizzati dall’autorità competenti, in particolare quelli censiti dall’ente Circondario Empolese-Valdelsa aggiornati al 2006.
Gli acquiferi collinari, sia nei terreni a permeabilità alta che a permeabilità media hanno comunque portate limitate a causa della ridotta dimensione dei bacini di alimentazione. Gli acquiferi di pianura hanno sede nei terreni alluvionali di recente formazione geologica a granulometria grossolana e media (ghiaie e sabbie) affioranti in alcuni settori della pianura.
La Carta Idrologica permette di evidenziare il comportamento del flusso idrico superficiale e la densità di drenaggio superficiale medianti i corpi idrici minori.
Nella carta si sono definiti tre bacini idrografici principali, il Valdarno, la Valdelsa e la Valdorme. Questi macrobacini, a loro volta, sono stati suddivisi in sottobacini correlati ai rii che li attraversano e materializzati con i crinali collinari, inoltre sono stati evidenziati gli spartiacque minori. Per offrire una migliore comprensione del comportamento idraulico superficiale, si è riportata l’intera rete idrografica dell’area, la cui densità permette di interpretare una maggiore o minore drenabilità superficiale. Il principale tematismo della carta è la Direzione di flusso idrico prevalente, dal quale si evince la principale direzione di scorrimento idrico determinata mediante una procedura cartografica di tipo “raster” con la funzione “flow direction” del programma ArcGis, che assegna valori compresi nel campo di variabilità da 1 a 255. I valori indicano la prevalente direzione di scorrimento del flusso idrico superficiale, determinata con un algoritmo che relaziona ogni singola cella con le altre circostanti come di seguito illustrato.
Ad esempio, se la direzione di displuvio più ripida fosse alla sinistra della cella di trattamento corrente, la sua direzione di flusso sarebbe codificata come 16. Se una cella è inferiore ai suoi otto vicini, a quella cella è assegnato il valore del suo vicino più basso e il flusso è quindi definito verso questa cella. Se le celle vicine hanno valore più basso, alla cella è ancora assegnato questo valore, ma il flusso è definito con uno dei due metodi spiegati sotto. Questo è utilizzato per quantificare lo scolo idrico di una cella. Se una cella ha lo stesso cambiamento di quota in più direzioni, e quella cella fa parte di un displuvio la direzione di flusso è classificata come indefinito. In tali casi, il valore di quella cella nella trama di direzione di flusso sarà dato dalla somma di quelle direzioni. Ad esempio, se il cambiamento di quota è lo stesso, sia a destra (la direzione di flusso è uguale a 1) sia in basso (la direzione di flusso è uguale a 4), da direzione di flusso per quella cellula è 1 + 4 = 5. Le cellule con direzione di flusso indefinita possono essere evidenziate con apposita rappresentazione. La trama circostante la goccia permette di calcolare il rapporto tra la differenza di quota e la lunghezza di percorso fra il centro della cella e quelle adiacenti, espressi in percentuali. Per celle adiacenti, questo è analogo alla pendenza in percentuale tra celle.
Nella Carta Idrologica si sono riportati due tematismi accessori generati con particolari funzioni di ArcGis, ovvero l’accumulo di flusso, il quale rappresenta la propensione a ricevere flussi idrici da quote orografiche soprastanti, e la Curvatura dei versanti collinari, la quale rappresenta la morfologia dei versanti attraverso il loro grado di curvatura, ovvero concavo e convesso.

CAPITOLO 7 – VALUTAZIONE RISCHIO EROSIONE – APPLICAZIONE DEL MODELLO “RUSLE” 
Il fattore erosione, e il relativo rischio, in questo studio è di fondamentale importanza per quanto attiene la valutazione della pericolosità geologica. In altre parole, il fenomeno dell’erosione, nono deve essere considerato solo un effetto di alcuni agenti morfogenetici, ma a sua volta merita di essere considerato causa di altri successivi fenomeni di degrado, sottolineando che questo criterio è stato adottata per redigere la successiva carta della pericolosità geologica. In questa sede, per la valutare la suscettibilità erosiva del territorio, si è preferito utilizzare il modello RUSLE rispetto ad altri in quanto si avevano tutti i dati disponibili o comunque erano a disposizioni tecniche ed algoritmi GIS che permettevano la loro determinazione, facendo riferimento agli studi e ricerche pubblicate dall’ente LAMMA – CRES – della Regione Toscana (www.lamma-cres.regione.toscana.it). L’erosione del suolo rappresenta una delle principali cause di degrado del suolo: in particolare l’erosione idrica, fenomeno in cui la superficie terrestre, attaccata da vari agenti chimici, fisici e biologici, subisce un continuo degrado. Quando la velocità della degradazione è “sostenibile” si parla di erosione normale o geologica, ovvero in cui il tasso di formazione del suolo compensa le perdite subite; viceversa, si ha erosione accelerata, ovvero quando l’asporto di detriti è più rapido della formazione del suolo, fino all’affioramento in superficie della roccia nuda. La pioggia rappresenta la causa principale dell’erosione in quasi tutti gli ambienti e svolge la sua azione mediante l’impatto delle gocce e il ruscellamento a rivoli o a solchi, a seconda che i rivoli siano effimeri o permanenti.
Il fenomeno è in continua evoluzione e si manifesta in molte aree coltivate con evidenti processi di degradazione del suolo. Le cause dell’intensificazione del fenomeno erosivo sono varie e complesse:
• non appropriata utilizzazione dei suoli
• abbandono delle vecchie sistemazioni idraulico-agrarie e idraulico-forestali
• crescente meccanizzazione
• aratura dei terreni in pendenza
• aggravarsi del fenomeno degli incendi boschi
L’erosione è inoltre una componente fondamentale del dissesto idrogeologico: eventi eccezionali a carattere catastrofico possono innescare danni ingenti dal punto di vista economico ai sistemi agroambientali. È fondamentale, quindi, l’indagine territoriale al fine di ricavare informazioni utili a meglio gestire e pianificare l’utilizzo della risorsa suolo e dell’ambiente in generale.
Per redigere la Carta della Valutazione del Rischio di Erosione è stato applicato un modello parametrico su base empirica Il modello è stato sviluppato e integrato in un idoneo Sistema Informativo Geografico costituito dal Software ArcMap 9.1 con estensione Spatial Analyst.
In particolare, il modello RUSLE utilizzato, è applicabile in condizioni ambientali anche molto diverse da quelle delle sole parcelle campione (di 22,13 m di lunghezza e 9% di pendenza). Secondo molti autori i modelli USLE e RUSLE possono essere definiti come un set di equazioni matematiche che, opportunamente combinate, forniscono una valore medio “A” del tasso di perdita di suolo, dovuto ad erosione idrica superficiale, fenomeno determinato dall’impatto della pioggia al suolo e dal deflusso superficiale. L’equazione generale che permette di quantificare il valore medio di perdita del suolo è:
A = R · K · L · S · C · P
con
A: perdita specifica di suolo media annua; (t/ha/anno)
R: indice di aggressività della pioggia; (MJ · mm/ha·h)
K: fattore pedologico che esprime l’erodibilità del suolo; (t·ha·h/MJ·ha·mm)
L: fattore topografico relativo alla lunghezza del pendio;
S: fattore topografico relativo alla pendenza del pendio;
C: fattore colturale;
P: fattore pratica antierosiva;
La stima dei vari parametri è stato molto laboriosa e presuppone un’approfondita conoscenza del territorio. Nei paragrafi che seguono è descritta la metodologia per la loro determinazione. A supporto dell’analisi, è stato utilizzato un Sistema Informativo Territoriale (GIS) che ha permesso la preparazione dei singoli fattori incidenti sul fenomeno erosivo, il calcolo delle interazioni fra i vari parametri e la successiva interpretazione dei risultati. Sono state realizzate, quindi, cartografie informatizzate e banche dati geografiche relative agli elementi territoriali previsti dal modello.
Le banche dati di riferimento utilizzate per applicare il modello a scala regionale sono:
– Modello Digitale del Terreno a 5 m di risoluzione
– Uso del suolo aggiornato al 2002
– Dati pluviometrici dell’area estrapolati dalle banche dati degli osservatori locali e regionali.
– Valori del fattore K sulla base della pedologia dei suoli.
Passiamo adesso a confrontare i metodi e le tecniche di stima dei parametri.
(R) – L’intensità della pioggia è uno dei parametri fondamentali che influiscono sul processo di erosione perché essa determina sia lo stato di saturazione momentanea del suolo, che l’energia cinetica delle gocce che impattano sul terreno. Infatti, quando la quantità di pioggia supera la capacità d’assorbimento del suolo, si verifica un ruscellamento e l’energia sviluppata nel corso dell’evento pluviometrico degrada la superficie del suolo. D’altra parte, quando le piogge di forte intensità durano poco e cadono su suolo secco, l’erosione e il ruscellamento restano deboli, ma quando si hanno piogge importanti su suolo molto umido e forti intensità per lunghi periodi, possono verificarsi dei fenomeni di erosione che giungono talvolta a superare il totale delle perdite durante il resto dell’anno.
Ai fini di un’adeguata valutazione dell’erosione, nasce, quindi, la necessità di analizzare il comportamento degli eventi pluviometrici relativi alla zona di interesse sia in termini di quantità di pioggia sviluppata che in termini di durata temporale del fenomeno.
Da analisi e misure effettuate su dati sperimentali, Wischmeier et al. (1958), notarono che le perdite di suolo erano più correlate con l’energia cinetica che non con l’intensità o con l’altezza della pioggia. La stessa energia cinetica non spiegava, in maniera soddisfacente la variabilità delle perdite di suolo misurate. A seguito di successive elaborazioni Wischmeier (1959) pensò che il miglior indicatore dell’erosività fosse un parametro composto, formato dall’energia cinetica delle piogge unitarie (Ec) moltiplicata per la loro massima intensità registrata durante 30 min (I30, espressa in mm/h) riportata a valore orario: Ec· I30 = “Indice di erosività della pioggia”= EI (Energy-Intensity). La relazione tra perdita di suolo e EI è considerata lineare e i valori di EI per una serie storica di eventi sono direttamente cumulabili. La somma dei valori di EI per i singoli eventi di un anno, mediata su una serie storica di una certa consistenza rappresenta il fattore R dell’equazione di Wischmeier.
Tale indice ben rappresenta la variabilità delle perdite di suolo relative a ciascun evento piovoso cosicché fu utilizzato per la valutazione di R all’interno della USLE. Nel nostro caso i dati
pluviometrici reperiti non presentano l’intervallo d’acquisizione necessario per poter calcolare il parametro EI: si è pertanto provveduto a stimare un indice R “medio”, utilizzando una formula empirica (Arnoldus, 1980) basata sul rapporto fra la somma dei quadrati delle piogge mensili e la precipitazione totale annua, intersecando i dati pluviometrici forniti dalla stazione meteorologica di San Martino e i dati del LAMMA.
Tale rapporto fornisce una misura della variabilità stagionale dell’erosività della pioggia:
al termine di questa procedura, per la quale omettiamo volutamente la discreta mole dei dati, si è ricavato un valore di R omogeneo per tutta l’area di studio pari a 159 MJ · mm/ha·h.
Secondo il metodo RUSLE, il fattore LS corrisponde al rapporto tra la perdita di suolo da un versante di lunghezza e di pendenza determinate e quella relativa alla parcella unitaria di Wischmeier (versante lungo 22.1 m e pendenza uniforme pari al 9%), mantenendo costanti tutte le altre variabili. Il valore LS rappresenta quindi un parametro di confronto della erodibilità di un versante e più precisamente: quando LS < 1 l’erosione è inferiore a quella della particella unitaria, mentre valori di LS > 1 indicano situazioni più erosive di quelle della particella unitaria, dove è  la lunghezza del versante e m è un parametro che varia con la pendenza. Il fattore S relativo alla pendenza è calcolato nella USLE con la seguente equazione:
S = 65,4 sin² ϑ+ 4,56 sin ϑ + 0,654
Il fattore C di Copertura del suolo tiene conto dell’effetto delle pratiche di coltivazione: successione delle colture, loro livello produttivo, durata delle fasi fenologiche, delle tecniche colturali, della gestione dei residui e della distribuzione dell’erosività della pioggia. Esso indica come si distribuisce nel tempo il rapporto tra le perdite di suolo in determinate condizioni colturali o di copertura e quelle relative alla particella standard (maggese nudo) nelle stesse condizioni di aggressività climatica, di suolo e morfologia. Esistono tabelle nelle quali è possibile ricavare il valore di perdita di suolo in funzione della copertura aerea, dell’altezza delle essenze arbustive e forestali e dello spessore della lettiera. Nella valutazione del fattore C per il territorio oggetto di studio, si è fatto riferimento al Corine Land Cover (LAMMA – CRES).
Suoli principalmente occupati dall’agricoltura 0.04
Foreste a conifere 0.001
Foreste miste 0.002
Prateria naturale 0.04
Lande e brugheria 0.04
Vegetazione sclerofila 0.04
Transizione suolo boscoso/arbusti 0.04
Spiagge, dune e piani di sabbia 0.36
Roccia nuda 0.36
Aree scarsamente vegetate 0.36
Aree bruciate 0.36
Paludi interne 0
Paludi di sale 0
Corsi d’acqua 0
Lagune costiere 0
Seminativi semplici in aree non irrigue 0.4
Colture orticole in pieno campo in aree non irrigue 0.4
Vigneti a filare 0.451
Vigneti a tendone 0.451
Frutteti 0.296
Frutteti 0.296
Oliveti puri 0.296
Oliveti misti 0.296
Bosco a prevalenza di querce sempreverdi 0.003
Bosco di querce caducifoglie 0.003
Boschi misti termofili 0.003
Aree Urbane e Acque 0
Bosco generico 0.003
Macchia incolta 0.005
Bosco Tagliato 0.007
Pascoli 0.04
Seminativi (Convenzionale/Integrato/Biologico) 0.12/0.12/0.07
Oliveti 0.3
Vigneti 0.451
Il fattore P è l’espressione degli effetti delle pratiche agricole di conservazione del suolo quali:
– far crescere le così dette colture di “copertura” durante i periodi stagionali in cui il suolo sarebbe rimasto nudo per l’assenza delle colture;
– coltivare in strisce alternate fra loro (colture a strisce), piante che proteggono il suolo dall’erosione con colture da reddito ma meno protettive. Queste strisce devono essere orientate in modo trasversale alle linee di massima pendenza;
– lasciare sul terreno i residui della coltivazione precedente;
– utilizzare colture foraggiere in rotazione o come colture permanenti per ridurre l’azione battente dell’acqua e rallentarne la velocità di scorrimento superficiale;
– ridurre la lunghezza e la pendenza dei campi mediante sistemazioni del terreno (terrazzamenti, rimboschimenti, regimazioni idrauliche);
– incrementare il tasso di infiltrazione dell’acqua, eseguendo le lavorazioni e le altre pratiche a girapoggio (secondo le curve di livello).
Il valore di P decresce all’applicazione di queste pratiche in quanto loro riducono il volume e la velocità del ruscellamento superficiale e favoriscono la deposizione dei sedimenti sul versante.
Dopo aver effettuato un’attenta ricognizione della pubblicistica di riferimento, in particolare gli studi pubblicati dal LAMMA – CRES, si possono stabilire per P i seguenti valori:
(1,00) – non vengono considerate nessuna forma di protezione e conservazione del suolo (vigneti a rittochino, seminativo nudo, e simili).
(0,60) – sono considerate le forme di moderata protezione e conservazione del suolo (oliveti a filari, i seminativi arborati, i terreni incolti, prati, e simili).
(0,30) – sono considerate le forme di buona protezione e conservazione del suolo (oliveti e vigneti a girapoggio, le aree boscate o arbustive, e simili).
(0,00) – sono considerate sulle quali non si possono manifestare fenomeni erosivi, ad esempio le aree urbane impermeabilizzate, le acque pubbliche o private, e simili.
Il Fattore K di erodibilità del suolo, cioè la sua suscettibilità all’erosione, è valutala nella RUSLE mediante il fattore K. È un fattore quantitativo che indica le perdite di suolo, determinate sperimentalmente in parcelle standard, per ciascuna unità del fattore R. La parcella di base, come già accennato in precedenza, ha una lunghezza di 22,13 m, una pendenza costante del 9%, è mantenuta continuativamente a maggese nudo ed è lavorata nel senso della massima pendenza (a rittochino). La parcella standard deve essere lavorata e mantenuta priva di vegetazione (maggese nudo) per almeno due anni prima di effettuarvi le misure di perdite di suolo. Successivamente, durante la fase sperimentale, la parcella è annualmente arata, sistemata (preparazione del letto di semina) come se dovesse essere seminata e soggetta a lavori complementari per impedire la crescita della vegetazione spontanea e per rompere l’eventuale crosta superficiale. In tali condizioni il valore dei fattori lunghezza, pendenza, colture e pratiche antierosive (L, S, C, P)
è uguale ad 1 e pertanto il valore di K è determinato dal rapporto tra le perdite di suolo misurate e l’erosività della pioggia (K = A/R). Il valore K dell’erodibilità dipende in una tale situazione soltanto dalle caratteristiche del suolo che ne influenzano suscettibilità all’erosione. Anche in questo caso, detto valore deve essere considerato medio rispetto a un periodo sufficientemente lungo, in modo da essere rappresentativo delle diverse caratteristiche pluviometriche, delle variabili condizioni fisiche e chimiche del suolo nei vari periodi stagionali e delle differenti condizioni di umidità del nel momento in cui si verificano gli eventi piovosi erosivi.
L’erodibilità in genere aumenta con l’incremento della frazione limosa e della sabbia molto fine e diminuisce con l’aumentare del contenuto di sostanza organica come si può osservare nella seguente tabella preparata dall’Agricultural Research Service degli USA (1975). I valori della tabella sono espressi in unità anglosassoni Foot-tons/acre-inch, le quali vanno quindi convertite al sistema metrico decimale t /ha cm, moltiplicando per il fattore di conversione 0,12. Una volta raccolti tutti i dati necessari e tradotti nei relativi fattori della formula RUSLE, sono stati digitalizzati e georeferenziati al fine di poter essere usati in ambiente GIS.
Con l’ausilio del programma ArcGis sono quindi stati sovrapposti i diversi strati informativi e i relativi valori assegnati secondo quanto sopra specificato:
• Carta Pedologica
• Carta dell’uso del suolo attuale
• Carta delle pendenze
• Carta geologica
• DTM
Al termine di questa complessa fase preparativa dei tematismi, si è proceduto a sovrapporli mantenendo i suddetti valori contenuti nei “campi” tabellari, ottenendo una suddivisione frammentata di aree, ognuna avente un proprio valore del Fattore di perdita del Suolo “A”, cioè l’erosione media annuale, in tonnellate ad ettaro. Tali valori del Fattore A sono stati determinati applicando l’equazione RUSLE di cui avevamo già i dati a disposizione:
A = R · K · L · S · C · P (t / ha / anno)
Naturalmente, per semplificare la lettura della cartografia, questo
tematismo illustrante la suscettibilità di erosione è stato rappresentato
mediante sei classi di rischio erosione, di seguito riportate:
Per avere una visione più chiara del problema è stato scelto di
calcolare i mm di terreno erosi in anno nei diversi punti del bacino
con le seguenti equazioni:
I risultati così ottenuti, sono stati rappresentati nel quadrante destro
della Carta della Valutazione del Rischio di Erosione. A tal fine, si
riporta una tabella riassuntiva del rischio di erosione presente in tutto
il territorio:
Rischio erosione – metodo RUSLE
Perdita di suolo espressa in t/ha/anno
0,00 – 3,00
3,00 – 6,00
6,00 – 10,00
10,00 – 15,00
15,00 – 20,00
Oltre soglia max > 20 (Val. max. 34,85)
Perdita di suolo ad ettaro Superficie suolo Totale perdita suolo
(t/ha/anno) (ha) (t/anno)
da 0 a 3 732,72 588,64
da 3 a 6 352,28 1629,02
da 6 a 10 194,88 1481,59
da 10 a 15 63,24 741,54
da 15 a 20 1,06 18,56
Oltre soglia max 20 0,84 18,41
Totale complessivo = t/anno 4.477,76
Dalla lettura delle cartografie di erodibilità ottenute e dalla tabella riepilogativa, si evince che sul territorio di studio non vi sono estesi e gravi fenomeni erosivi, salvo alcune limitate superfici che superano la soglia di tolleranza stabilità in 20 t/ha/anno. Ciò nonostante i valori di perdita del suolo sono abbastanza vicini alle soglia di attenzione di 10 t/ha/anno, tuttavia, occorre riflettere sul fatto che mediamente, per tutta l’area, si ha una perdita annuale di suolo pari a 3,32 t/ha.

CAPITOLO 8 – POTENZIALE INSTABILITA’ DEI VERSANTI 
Al fine di determinare in seguito le aree soggette al rischio idrogeologico, si è inteso utilizzare due diverse metodologie di calcolo dell’instabilità dei versanti:
– la prima, ovvero la Potenziale instabilità dei versanti, si basa principalmente su criteri quantitativi e semiprobabilistici della geotecnica.
– la seconda, ovvero la Pericolosità geologica, si basa principalmente su un metodo misto qualitativo-statistico.
Il modello della Potenziale instabilità è stato definito mediante un’apposita estensione GIS nota come SINMAP, la quale è stata prodotta dalla università americana UTAH STATE UNIVERSITY TERRATECH CONSULTING LTD.
Essa permette di determinare i fenomeni di cedimento superficiale sulla base di equazioni che esprimono una condizione di equilibrio limite statico, in modo da tenere conto dell’effetto della forza media indotta sul generico elemento di pendio dal processo di infiltrazione e di filtrazione, che si realizza nell’”ammasso infinito inclinato”. La descrizione del processo di distacco superficiale è costruita su due parti: un modello idrologico statico, per la descrizione dei processi di filtrazione parallela al pendio, ed un modello basato sulla teoria dell’equilibrio limite di un pendio infinito, per l’analisi della stabilità dei versanti in presenza di deflusso sottosuperficiale [Montgomery and Dietrich, 1994].
Secondo questa impostazione, la dimensione temporale dei processi non è colta esplicitamente dalla metodologia, quindi l’analisi deve essere riferita ad un particolare periodo di tempo con condizioni climatiche particolari che possano avere innescato i fenomeni franosi. Assunti importanti nella teoria di SINMAP sono che la superficie della falda sia parallela al pendio e che lo spessore del suolo e la sua conduttività idraulica siano ritenuti uniformi. Inoltre lo spessore del suolo deve essere interpretato come perpendicolare al pendio. Di grande interesse è l’introduzione nel modello del fattore coesivo, derivante dalla combinazione delle proprietà del suolo e delle radici della copertura vegetale, dato ricavato dalla carta geolitologica. Il fattore coesivo così calcolato fornisce il rapporto tra la forza coesiva del suolo relativamente al suo peso proprio Infine, l’altro elemento innovativo del modello è l’introduzione dell’incertezza dei parametri, attraverso la teoria di distribuzione di probabilità uniforme, definendo delle soglie minime e massime per ogni parametro di calibrazione. Il software comprende uno strumento di calibrazione interattivo, con interfaccia grafica che genera un diagramma area contribuente/pendenza con linee delimitanti le diverse classi di stabilità e una tabella con i risultati statistici disponibili simultaneamente come supporto alla calibrazione. I parametri possono essere calibrati rispetto alle frane cartografate fino a raggiungere l’ottimale mappatura delle classi di stabilità.
Nel nostro caso si è stati costretti ad apportare alcune semplificazioni al modello proposto per carenza dei dati idrogeologici illustranti il campo di variabilità della pressione nella falda acquifera, per cui si è ipotizzato una variabilità nulla, basando l’intero modello solamente sui parametri geotecnici.
In maggior dettaglio, l’approccio adottato col modello idrologico semplificato ipotizza lo spessore del suolo perpendicolare al piano di pendenza (h), piuttosto che misurato verticalmente (D). Lo spessore h del suolo (m) è ricavabile dalla equazione h = D cos q. L’equazione di seguito riportata permette di determinare i relativi valori massimi e minimi del Fattore di Sicurezza FS, il cui calcolo deriva dai seguenti coefficienti:
wr = Dw/D = hw/h (4) è l’umidità relativa interna
C = (Cr + Cs)/(h rs g) (5) è la coesione combinata adimensionale relativa allo spessore perpendicolare del suolo
r = rw/rs (6) è il rapporto di densità dell’acqua nel suolo.
C = Cr+Cs [N/mq] = (Cr+Cs)/(h rs g) è la Coesione risultante
q = angolo di pendenza (n °)
f = angolo di attrito interno (n °)
L’equazione è una forma semplificata adimensionale del modello del piano inclinato infinito che adottiamo. E’ conveniente perchè le diverse coesioni sono combinate in un unico fattore adimensionale coesivo C.
Questo può essere considerato come rapporto tra le forze coesive relative al peso del suolo e del relativo contributo alle forze coesive di stabilità dei versanti.
L’umidità relativa interna si determina con la seguente equazione:
dove:
R = coefficiente di ricarica idrica [m/h]T = trasmissività idrica del suolo [mq/h]Pertanto, procedendo per sostituzione, il Fattore di Stabilità si determina con la seguente equazione:
L’Indice di Stabilità SI è ricavabile dal Fattore di Stabilità FS, e consiste nella probabilità che un luogo può assumere una distribuzione uniforme del Fattore di Stabilità entro certi margini di incertezza.
Nelle aree con FSmin < 1 si definisce SI = Prob(FS > 1).
Nelle aree con FSmax < 1, si definisce SI = Prob(FS > 1) = 0
Le aree con SI > 1 (FSmin > 1), 0 < SI < 1 and SI = 0 (FSmax < 1) sono illustrate nel grafico di seguito.
Al termine della procedura, si è generato un tematismo che individua aree di territorio aventi omogenei indici di stabilità, il quale esprime, con metodo semiprobabilistico, il grado di sicurezza o suscettibilità al dissesto del versante. Confrontando il tematismo così ottenuto con la carta della Pericolosità, si possono osservare molti punti di reciproca coerenza, conferendo maggiore attendibilità al risultato e confermando il raggiungimento degli obbiettivi preposti.
Nella nostra fattispecie, si è tuttavia preferito utilizzare la carta della Pericolosità, ottenuta con metodi qualitativo-statistici per effettuare le successive elaborazioni di rischio idrogeologico, sottolineando però la discreta conformità della Pericolosità alla Potenziale Instabilità dei Versanti.

CAPITOLO 9  – PERICOLOSITA’ GEOLOGICA 
La valutazione dell’Indice di Pericolosità Geologica è materia che, al di là dell’impostazione concettuale, trova il suo presupposto nella qualità dei dati di base sul territorio. Dall’interpretazione delle informazioni riguardanti le cause e gli effetti dell’instabilità è possibile definire la pericolosità da frana come la probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo si verifica o meno in una data area ed in un dato periodo di tempo. L’assenza di un approfondito inventario storico delle manifestazioni di dissesto idrogeologico non consente di analizzare dal punto di vista temporale la ricorrenza dei fenomeni, si è pertanto ritenuto opportuno indirizzarsi verso una previsione spaziale per la valutazione del grado di pericolosità relativa fra le varie porzioni del territorio, classificando quest’ultimo in classi di pericolosità senza tentare di prevedere in modo esplicito il tempo di ritorno degli eventi. La valutazione della Pericolosità è basata sulla considerazione che un dato fenomeno di dissesto si riattiva con maggiore frequenza laddove si è verificato in passato, con ricorrenza irregolare, generalmente in seguito a piogge intense e prolungate.
La metodologia proposta consiste in una valutazione multicriteriale e semiprobabilistica della Pericolosità, basandosi sulla sovrapposizione degli Indici dei Fattori Morfologici e Predisponenti: il primo è di tipo qualitativo-statistico, il secondo è di tipo quantitativo-probabilistico, (ottenuti come di seguito descritti). L’indice di Pericolosità si determina sovrapponendo i due distinti
Indici di valutazione, ognuno facente riferimento al relativo tematismo:
– il primo, basato esclusivamente sulla Geomorfologia, permette di quantificare il relativo Fattore Morfologico;
– il secondo, basato sulle condizioni caratteristiche del territorio quali l’erodibilità, l’uso del suolo, la natura geotecnica, le pendenze, permette di quantificare il relativo Fattore Predisponente;
La sovrapposizione additiva dei tematismi di entrambi gli Indici, permette di calcolare, seppur in maniera semi-probabilistica, il gradiente di Pericolosità Geologica suddiviso in quattro classi.
(N.B: per sovrapposizione additiva si intende la sovrapposizione di due numeri e adottare quello avente valore più alto tra loro).
Esempio:
N.B: per ogni area (“record”), l’elaboratore assegna al valore pericolosità il valore più alto presente nelle due colonne.
Record Fatt. Morfologico Fatt. Predisponente PERICOLOSITA’
301 (2) 1 2
302 2 (3) 3
303 (4) 2 4
304 1 (3) 3
Al termine di tutte le operazioni di calcolo, il territorio è suddiviso in aree ognuno avente un preciso valore di Indice di Pericolosità.
Le definizione delle classi di Pericolosità Geologica sono a loro volta articolate secondo i criteri che si riportano:
CLASSE 1 – PERICOLOSITA’ GEOLOGICA IRRILEVANTE
Aree prevalentemente stabili ed interessate da litologie con caratteri favorevoli alla stabilità dei versanti che, talora, possono essere causa di rischio reale o potenziale moderato
CLASSE 2 – PERICOLOSITA GEOLOGICA BASSA
Pericolosità indotta da fenomeni franosi inattivi stabilizzati (naturalmente o artificialmente), causa di rischio medio, e almeno la compresenza di due fattori predisponenti.
CLASSE 3 – PERICOLOSITA GEOLOGICA MEDIA
Pericolosità indotta da fenomeni franosi attivi o da fenomeni franosi inattivi che presentano segni di potenziale instabilità (frane quiescenti), causa potenziale di rischio elevato, e almeno lacompresenza di tre fattori predisponenti.
CLASSE 4 – PERICOLOSITA GEOLOGICA ELEVATA
Pericolosità elevata indotta da fenomeni franosi attivi, che siano anche causa di rischio molto elevato, e almeno la compresenza attiva di tutti i fattori predisponenti.
In generale, i metodi qualitativo-statistici (detti anche metodi euristici o diretti) si basano sul giudizio soggettivo di chi conduce la valutazione della pericolosità. I dati sono acquisiti da osservazioni di campagna, interpretazione di foto aeree e da tematismi specifici. Il Fattore Morfologico è più semplice da determinare, anche se operativamente richiede una discreta esperienza. Con regole solo parzialmente formalizzate, utilizzando la Carta Geomorfologica si produce una zonazione del territorio assegnandovi un coefficiente variabile solo coi numeri interi 1-2-3-4, in funzione della pericolosità legata alla tipologia di dissesto.
– Indici del Fattore Morfologico –
1) Aree esenti da fenomeni di dissesto dei versanti e/o con trascurabile livello di erodibilità.
2) Aree prive al momento di indicazioni morfologiche di movimenti, sia superficiali che profondi, riferibili a fenomeni franosi e/o con modesto livello di erodibilità. Rientrano in questa classe anche le paleofrane e le frane relitte non più riattivabili nelle condizioni climatiche attuali, oppure isolati fenomeni di ruscellamento.
3) Aree interessate da fenomeni di dissesto di media intensità, da elementi indicatori di processi geomorfologici diretti, quali l’esistenza di frane quiescenti o di segni precursori di movimenti gravitativi (ondulazioni, scarpate, contropendenze, periodiche lacerazioni, etc.), e/o con alto livello di erodibilità.
4) Aree interessate da fenomeno di dissesto di elevata intensità, in cui sono presenti movimenti di massa in atto, con una dinamica geomorfologica tendente o meno all’estensione areale della pericolosità (frane attive, riattivate e sospese), e/o elevato livello di erodibilità. Rientrano in questa classe anche le deformazioni gravitative profonde e i fenomeni di soliflusso, che sono intrinsecamente caratterizzati da attività continua nel tempo o stagionale.
Il metodo consente di condurre uno studio relativamente accurato, includendo un insieme di parametri ampio, anche se i principali svantaggi sono la soggettività nella selezione dei dati e dei loro pesi per la zonazione, la difficoltà a comparare i risultati prodotti con operatori diversi, e nella difficoltà da parte di terzi di analizzare oggettivamente i risultati.
Il Fattore Predisponente è più complesso e articolato da determinare, richiede una notevole discrezione nell’assegnazione dei coefficienti, i quali sono stati assegnati ad ognuno delle quattro categorie caratteristiche scelte per territorio, ovvero erodibilità, uso del suolo, natura geotecnica, pendenze dei versanti. Una volta ultimata l’operazione di assegnazione dei pesi all’interno delle rispettive categorie, il Fattore Predisponente si ottiene mediante somma algebrica dei coefficienti ottenendo un nuovo coefficiente “virtuale”; tuttavia, considerando l’obbiettivo di classificare il livello di pericolosità in quattro distinte classi, si rende necessaria un’ultima fase di riclassificazione dei coefficienti virtuali, rapportandoli matematicamente nelle quattro classi con apposito coefficiente di rapporto calcolato in seguito.
– Indici del Fattore Predisponente –
– Erodibilità: in questa sede il fenomeno dell’erosione del suolo è interpretato non solo come effetto del degrado idrogeologico, ma anche come generatore di dissesti, pertanto si è assegnato un coefficiente crescente in funzione del loro grado di erodibilità. (Carta dell’Erodibilità)
(6 classi di numeri interi – da 1 a 6)
– Uso del suolo: alle diverse utilizzazioni del suolo è stato assegnato un coefficiente crescente in funzione del loro grado di predisposizione alla instabilità e della loro pratica colturale antierosiva. (Carta dell’Uso del Suolo)
(3 classi di numeri interi – da 1 a 3)
– Natura geotecnica: ai tre livelli di classificazione geotecnica dei terreni è stato assegnato un coefficiente crescente in funzione delle caratteristiche di resistenza meccanica dei terreni. (Carta Geotecnica)
(3 classi di numeri interi – da 1 a 3)
– Pendenze dei versanti: agli otto livelli di classificazione delle pendenze dei versanti è stato assegnato un coefficiente crescente in funzione dell’angolo di acclività. (Carta delle Pendenze)
(8 classi di numeri interi – da 1 a 8)
Esempio:
Tabella valori del Fattore Predisponente
Erodibilità Uso Suolo Geotecnica Pendenze Tot. somma coeff.
Val. max = 6 Val. max = 3 Val. max = 3 Val. max = 8 Val. max = 20
Coefficiente di rapporto da applicare a tutti i valori della Tabella:
Tot. Somma coeff. = 20
Numero di classi di Pericolosità richieste: 4
Coeff. di rapporto =
= Tot. Somma coeff. / Numero di classi di Pericolosità =
= 20 / 4 = 5
Naturalmente, l’elaboratore provvede automaticamente ad approssimare il valore dei numeri interi.

CAPITOLO 10 – RISCHIO IDROGEOLOGICO  
Il recepimento della legge n. 267 del 3/8/1998 “recante misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico …” da parte delle Regioni e delle Autorità di Bacino ha attivato una serie di indagini volte all’identificazione ed alla mappatura delle aree a rischio idrogeologico; tali aree sono state quindi soggette a misure di salvaguardia. La metodologia proposta segue lo schema formale per la valutazione del rischio proposto da CANUTI & CASAGLI – Guida al censimento dei fenomeni franosi (1996). Tale metodologia è stata semplificata e tarata sull’area. Il recepimento di dette normative da parte delle Regioni e delle Autorità di Bacino ha reso necessario in primo luogo la definizione di criteri per la valutazione del rischio di frana e quindi una attenta analisi del territorio nazionale al fine di individuare quelle aree caratterizzate da elevata pericolosità da frana e dalla presenza di importanti elementi a rischio. Nella presente fattispecie, la valutazione del rischio è ottenuta attraverso alcune matrici che permettono di incrociare i diversi criteri e parametri che concorrono alla determinazione di una data classe di rischio. Tali incroci sono stati realizzati in modo automatico attraverso l’utilizzo di un sistema esperto, il cui algoritmo è implementato mediante un GIS. In modo automatico si arriva ad individuare le frane a rischio elevato (R3). La selezione di quelle a rischio estremamente elevato (R4) è ottenuta attraverso un’analisi di dettaglio di quelle a rischio elevato volta ad evidenziare quelle situazioni peculiari che, per importanza degli elementi a rischio e gravità del dissesto, richiedono attività di prevenzione e salvaguardia di assoluta priorità.
La determinazione delle classi di Pericolosità geologiche, riferite a tutta l’area, ci consente di valutare anche il Rischio Idrogeologico della stessa, sulla base delle informazioni cartografiche raccolte o prodotte durante il percorso di ricerca. In sintesi, il metodo utilizzato per la Valutazione è di tipo misto qualitativo e quantitativo.
Le informazioni di base necessarie per la valutazione del Rischio Idrogeologico sono di due tipi: le prime riguardano la conoscenza dello stato di natura, con particolare riferimento alle informazioni sulle cause e sugli effetti dell’instabilità; le seconde riguardano invece gli elementi a rischio quali popolazione, infrastrutture, edifici, attività socio economiche, beni culturali e ambientali, distinti per tipologia e per valore in termini di valore economico relativo o assoluto. Il rischio idrogeologico R si quantifica secondo una formula nota come equazione del rischio R = D·P dove D indica il Danno potenziale e P la pericolosità geologica, definita come nel capitolo precedente. Per Danno potenziale D si intende l’attitudine di un elemento a rischio a subire danni per effetto di un evento. Il metodo adottato per determinare il rischio idrogeologico presente nel territorio consiste nell’utilizzo sequenziale di due apposite matrici di relazione sotto riportate. I parametri utilizzati da queste matrici sono, in ordine sequenziale:
1) le Tipologie di elementi a rischio (E)
E0 – Aree disabitate o improduttive
E1 – Edifici isolati, infrastrutture viarie minori, zone agricole
E2 – Nuclei abitati minori, insediamenti produttivi minori, infrastrutture secondarie
E3 – Aree urbane, distretti industriali e produttivi, beni architettonici, storici e paesistici, principali infrastrutture, siti di rilevante interesse sociale
2) il Livello di Intensità (I)
Velocità presunta
Conseguenze attese
Tipologia di dissesto
I0 – Livello di intensità trascurabile
trascurabile
nessuna
non sono presenti fenomeni franosi o non si ritengono possibili frane di entità apprezzabile
I1 – Livello di intensità lieve
< 10-8 m/s
(< 1 m/anno)
Nessun rischio per la vita umana. Possibilità di evacuazione dei beni mobili. Possibilità di intraprendere lavori di rinforzo e restauro degli edifici durante il movimento.
Frane superficiali o a cinematica lenta:
 espansioni laterali
 deformazioni gravitative profonde
 colate di terra riattivate
 scivolamenti di terra riattivati
 soliflusso
I2 – Livello di intensità media
10-8 – 10-4 m/s
(1 m/anno- 1 m/h)
Possibilità di incidenti per la vita umana anche se in genere l’evacuazione delle persone rimane possibile. Difficoltà per l’evacuazione dei beni mobili. Danni agli edifici senza possibilità di effettuare lavori di ripristino e rinforzo durante il movimento.
Frane a cinematica moderata:
 scivolamenti di terra di neoformazione
 colate di terra di neoformazione
 scivolamenti di roccia riattivati
I3 – Livello di intensità elevato
> 10-4 m/s
(> 1 m/h)
Rischio per la vita umana; difficoltà nell’evacuazione delle persone. Perdita della maggior parte dei beni mobili. Distruzione di strutture, immobili e installazioni permanenti.
Frane a cinematica rapida:
 colate e scivolamenti di detrito
 crolli e ribaltamenti
 scivolamenti di roccia di neoformazione
3) il Danno potenziale (D)
D0 – Nessun danno o danni irrilevanti.
D1 – Danni estetici o danni funzionali minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l’incolumità della vita umana, l’agibilità degli edifici e la continuità delle attività socio-economiche.
D2 – Danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente possibile inagibilità degli stessi, possibile interruzione temporanea delle attività socio-economiche e danni al patrimonio ambientale. Possibilità di senzatetto e di incidenti occasionali.
D3 – Possibili problemi per l’incolumità delle persone. Danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale. Distruzione o interruzione di attività socio-economiche.
4) la Pericolosità geologica (P)
P1 – Pericolosità geologica irrilevante
P2 – Pericolosità geologica bassa
P3 – Pericolosità geologica media
P4 – Pericolosità geologica elevata
La prima matrice permette di definire il Danno potenziale (D) in funzione dei due parametri Intensità (I) e Tipologia di elementi a Rischio (E), mentre la seconda matrice permette di definire il Rischio
Idrogeologico (R) in funzione dei due parametri Danno Potenziale (D) e Pericolosità geologica (P).
Il tematismo del Danno potenziale si ottiene sovrapponendo i due tematismi base “Intensità” e “Tipologie di elementi a Rischio”, ottenuti a loro volta derivandoli rispettivamente dalla carta geomorfologia e dall’uso del suolo; il tematismo del Danno potenziale il territorio possiede una doppia classificazione, sia per Intensità sia per Elementi a Rischio. Per concludere la definizione del tematismo Danno potenziale, si provvede a riclassificare secondo la prima matrice del Danno potenziale.
Il tematismo del Rischio Idrogeologico si ottiene sovrapponendo i tematismi “Pericolosità” e “Danno potenziale”, generati rispettivamente nell’apposita Carta della Pericolosità e dal passaggio precedente; nel tematismo del Rischio Idrogeologico il territorio possiede una doppia classificazione, sia per Pericolosità geologica sia per Danno potenziale. Per concludere la definizione del tematismo Rischio Idrogeologico, si provvede a riclassificare secondo la seconda matrice del Rischio Idrogeologico.
Al termine della procedura descritta fin ora, si determinano cinque livelli di rischio, così articolati:
R0 – Rischio trascurabile
R1 – Rischio tollerabile socialmente, non sono necessarie attività di prevenzione
R2 – Rischio medio, sono consigliate attività di prevenzione da valutare caso per caso
R3 – Rischio non tollerabile socialmente, sono necessarie attività di prevenzione e di monitoraggio
R4 – Rischio estremamente elevato, sono necessarie attività di prevenzione con assoluta priorità (queste aree sono individuate mediante sopralluogo diretto di esperti in materia e quindi non determinate dalle operazioni matriciali descritte).
La metodologia presentata, applicata sul sistema collinare empolese, ha permesso di selezionare in modo automatico le situazioni a rischio elevato per le quali si propone in seguito gli interventi e le strategie di indirizzo per la difesa del suolo.
Tale metodologia ha consentito quindi di non disperdere energie, cosa estremamente importante dati i tempi ristretti della legge, e di incentrare le attività di verifica e controllo unicamente sulle frane a rischio elevato. Il percorso di valutazione del Rischio, per essere ancora più affidabile, necessita di carte accurate di inventario dei fenomeni franosi e di una mappatura aggiornata degli elementi a rischio. Inoltre i parametri considerati nelle matrici devono essere tarati sia sulle peculiarità del territorio investigato sia sui criteri utilizzati nella stesura della carta inventario.
La taratura è stata determinata per affinamenti successivi verificando sul terreno una serie di frane a diverso livello di rischio e confrontando i risultati ottenuti in modo automatico con lo stato della natura. I parametri proposti nelle matrici sono quindi il risultato di un processo di validazione e controllo eseguito sul territorio, ma ampliabile a scale diverse con probabili e limitati aggiustamenti dei parametri utilizzati nelle matrici, permettendo di rendere la metodologia applicabile in contesti più generali e quindi di ottenere in modo automatico una classificazione del rischio da frana a partire da documenti analitici quali le carte inventario delle frane e i mosaici degli strumenti urbanistici che coprono in maniera diffusa il territorio nazionale.
Una volta selezionate le aree a rischio risulta necessario intervenire su queste al fine di ridurre il più possibile la probabilità che si verificheranno danni a persone e cose. Tale mitigazione può essere attenuta mediante la riduzione della pericolosità, della vulnerabilità o infine operando sugli elementi esposti a rischio. La Pericolosità può essere ridotta operando interventi strutturali sulle frane con modalità e caratteristiche peculiari seconda la tipologia di dissesto, possibilmente con opere di Ingegneria Naturalistica. La mitigazione della vulnerabilità si ottiene invece o operando sulle opere esposte a rischio al fine di aumentarne la resistenza ed impedire quindi che siano danneggiate in seguito ad un evento franoso oppure impedendo che il dissesto le raggiunga. Quando non sia possibile o economicamente vantaggioso ridurre la pericolosità o la vulnerabilità è necessario intervenire sugli elementi a rischio attraverso l’evacuazione e l’interdizione o limitazione dell’espansione urbanistica in zone instabili definendo per queste un utilizzo del suolo più consono.

CAPITOLO 11 – FATTIBILITA’ TERRITORIALE 
Per chiarire il significato pratico delle classi di Fattibilità territoriale, di seguito se ne dà una sintetica descrizione evidenziando i criteri che guidano l’attribuzione di classe e le relative prescrizioni in termini di indirizzi normativi. Ma prima di descrivere la loro definizione, occorre premettere che le classi di Fattibilità sono direttamente legate alle classi di Pericolosità, e non al Rischio Idrogeologico. Infatti, la definizione e le quattro classi di Fattibilità sono univocamente dipendenti dalle rispettive classi di Pericolosità Geologica, secondo lo schema matriciale riportato di seguito.
MATRICE DI CORRISPONDENZA
Classe di Pericolosità geologica Classe di Fattibilità Territoriale
1 – Pericolosità irrilevante 1 – Fattibilità senza particolari limitazioni
2 – Pericolosità bassa 2 – Fattibilità subordinata al progetto
3 – Pericolosità media 3 – Fattibilità condizionata
4 – Pericolosità elevata 4 – Fattibilità limitata
DEFINIZIONI E INDIRIZZI COMUNI A TUTTE LE CLASSI INDIVIDUATE. Le classi di fattibilità territoriale definiscono porzioni di territorio in cui gli interventi di conservazione o trasformazione urbana e territoriale, se ammissibili, devono essere eseguiti nel pieno rispetto dei criteri di autosostenibilità ambientale, economica, energetica ed identitaria. Per tutti gli interventi di trasformazione e conservazione del territorio devono essere adottate tecniche e metodi finalizzati ad eliminare le cause del dissesto idrogeologico e i relativi effetti di degrado dei versanti, privilegiando le tecniche di Ingegneria naturalistica. Particolare attenzione dovrà essere rivolta a tutti i fenomeni erosivi del suolo, sia potenziali sia in atto.
CLASSE 1 – FATTIBILITA’ TERRITORIALE SENZA PARTICOLARI LIMITAZIONI
Aree aventi pericolosità geologica irrilevante: gli interventi di trasformazione e conservazione sono consentiti purché non vadano ad aggravare l’equilibrio del soprassuolo e sottosuolo originario. La caratterizzazione geotecnica dei terreni può essere ottenuta anche per mezzo della semplice raccolta di dati bibliografici e/o ricavati da indagini eseguite in aree limitrofe; la fattibilità dell’intervento e/o dell’opera dovrà tuttavia essere motivata con una relazione che verifichi l’idoneità delle soluzioni progettuali, in ottemperanza a quanto disposto dal D.M. LL.PP. 11/03/88. Le trasformazioni agricole dovrebbero possibilmente rispettare criteri di coerenza paesistica e agronomica tradizionale, privilegiando quindi le disposizioni colturali capaci di conferire maggiore stabilità al versante e contenere i fenomeni erosivi, ad esempio il “girapoggio” e “cavalcapoggio”.
CLASSE 2 – FATTIBILITA SUBORDINATA AL PROGETTO Aree aventi pericolosità geologica bassa: gli interventi di trasformazione e conservazione sono esposti ad un livello di rischio maggiore della classe precedente, anche se di moderata entità. La fattibilità della trasformazione e/o dell’opera è da valutare sulla base di un’indagine preventiva, in particolare lo studio dovrà comprendere indagini geologiche e geotecniche per valutare la stabilità della zona, sia durante sia dopo la trasformazione, e dovranno essere estese alla parte del sottosuolo interessato direttamente o indirettamente dall’intervento. Le trasformazioni agricole dovranno rispettare criteri di coerenza paesistica e agronomica tradizionale, privilegiando quindi le sistemazioni colturali capaci di conferire maggiore stabilità al versante e contenere i fenomeni erosivi, ad esempio il “girapoggio” e “cavalcapoggio”.
CLASSE 3 – FATTIBILITA CONDIZIONATA
Aree aventi pericolosità geologica media: gli interventi di trasformazione e conservazione sono esposti a un livello di rischio medio alto, pertanto si rendono necessarie indagini di dettaglio. Lo studio dovrà comprendere, quindi, indagini geologiche e geotecniche per valutare la stabilità della zona, sia durante sia dopo la trasformazione, e dovranno essere estese alla parte del sottosuolo direttamente o indirettamente interessata. Le indagini dovranno inoltre contenere le definizioni degli interventi di mitigazione delle situazioni di rischio, in particolare degli eventuali interventi di bonifica e miglioramento dei versanti interessati. Le trasformazioni agricole dovranno rispettare criteri di coerenza paesistica e agronomica tradizionale, privilegiando quindi le sistemazioni colturali capaci di conferire maggiore stabilità al versante e contenere i fenomeni erosivi, ad esempio il “girapoggio” e “cavalcapoggio”.
CLASSE 4 – FATTIBILITA LIMITATA
Aree aventi pericolosità geologica elevata e quindi esposta a livelli di rischio elevato per qualsiasi tipo di trasformazione e utilizzazione, compreso quelle a carattere conservativo o di ripristino. In queste aree si devono prevedere approfondite indagini geologiche, geognostiche, idrogeologiche e ambientali per precisare i termini del problema. In particolare si dovranno prevedere interventi di consolidamento, di bonifica, di miglioramento dei versanti, la definizione dei costi necessari per la loro esecuzione ed installazione di idonea rete di monitoraggio, e ogni quanto altro occorrente per mitigare e ridurre l’elevato rischio. L’utilizzazione agricola, oltre a rispettare i criteri di coerenza paesistica e agronomica tradizionale, dovrà inderogabilmente integrare le sistemazioni colturali con opere e tecniche di consolidamento dell’Ingegneria naturalistica, al fine di ridurre notevolmente i rischi e limitare le cause del dissesto dei versanti.

CAPITOLO 12 – PIANO OPERATIVO DI DIFESA DEL SUOLO  
Principi generali e criteri progettuali adottati – Testi di riferimenti, informazioni estrapolati dal “Testi, immagini, tabelle e didascalie tratti da: Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica – Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio Direzione Generale per la Difesa del Suolo – Anno 2005.
Sul territorio oggetto di studio vi sono presenti diverse tipologie di dissesto idrogeologico, le quali necessitano di urgenti opere di mitigazione e contenimento dei loro effetti, ma soprattutto occorre una serie di soluzioni, metodi e tecniche progettuali che possono eliminare, o quanto meno, limitare le cause dei fenomeni di dissesto. Nella prima tavola del Piano Operativo di Difesa del Suolo sono evidenziate le tipologie di dissesto idrogeologico dei versanti, mentre la seconda consiste in un abaco riassuntivo che propone le tipologie di intervento da applicare alle rispettive tipologie di dissesto. A tal fine, si è inteso applicare un’innovativa metodologia di intervento, ovvero l’Ingegneria Naturalistica.
L’Ingegneria Naturalistica è una disciplina tecnica che utilizza le piante vive negli interventi antierosivi e di consolidamento in genere in abbinamento con altri materiali (paglia, legno, pietrame, reti metalliche, biostuoie, geotessuti, ecc.). I campi di applicazione sono vari e spaziano dai problemi classici di erosione dei versanti, delle frane, delle sistemazioni idrauliche in zona montana, a quelli del reinserimento ambientale delle infrastrutture viarie (scarpate stradali e ferroviarie), delle cave e discariche, delle sponde dei corsi d’acqua, dei consolidamenti costieri, a quelli dei semplici interventi di rinaturalizzazione e ricostruzione di elementi delle reti ecologiche.
Le finalità degli interventi di Ingegneria Naturalistica sono principalmente quattro:
– tecnico-funzionali, per esempio antierosive e di consolidamento di una sponda o di una scarpata stradale;
– naturalistiche, in quanto non semplice copertura a verde ma ricostruzione o innesco di ecosistemi paranaturali mediante impiego di specie autoctone;
– paesaggistiche, di “ricucitura” al paesaggio naturale circostante;
– economiche, in quanto strutture competitive e alternative ad opere tradizionali (ad esempio muri di controripa sostituiti da palificate vive).
Ciò che principalmente contraddistingue l’intervento di Ingegneria Naturalistica da quello tradizionale è:
– l’esame delle caratteristiche topoclimatiche e microclimatiche di ogni superficie di intervento;
– l’analisi del substrato pedologico con riferimento alle caratteristiche chimiche, fisiche ed idrologiche del suolo in funzione degli ammendanti e correttivi da impiegare;
– l’esame delle caratteristiche geologiche e geomorfologiche;
– le verifiche geotecniche e idrauliche;
– la valutazione delle possibili interferenze reciproche con l’infrastruttura. Ad esempio per una strada: la presenza di sali antigelo, l’interferenza della vegetazione con la sagoma limite, il possibile indotto e/o interferenze faunistiche;
– la base conoscitiva, floristica e fitosociologica con particolare riferimento alle serie dinamiche degli ecosistemi interessati per l’efficace utilizzo delle caratteristiche biotiche di ogni singola specie;
– l’utilizzo degli inerti tradizionali ma anche di materiali di nuova concezione quali le stuoie e i geotessuti sintetici in abbinamento a piante o parti di esse;
– la selezione delle miscele di sementi delle specie erbacee in funzione dell’efficacia antierosiva, dei processi di organicazione dell’azoto, della progressiva sostituzione delle specie impiegate con le specie selvatiche circostanti;
– l’accurata selezione delle specie vegetali da impiegare con particolare riferimento a: specie arbustive ed arboree da vivaio, talee, zolle erbose da trapianto, utilizzo di stoloni o rizomi. Sono utilizzate le specie autoctone derivate da materiale di propagazione locale;
– l’abbinamento della funzione antierosiva con quella di reinserimento ambientale e naturalistico;
– il miglioramento nel tempo delle due funzioni sopra citate a seguito dello sviluppo delle parti epigee e ipogee delle piante impiegate, con il mascheramento delle componenti artificiali dell’opera.
Si tratta chiaramente di una nuova disciplina “trasversale” che fa capo a vari settori tecnico-scientifici di cui si utilizzano, a fini applicativi, dati sintetici di analisi e di calcolo. Le tecniche di ingegneria naturalistica sinora applicate nel Centro Europa si possono distinguere (Schiechtl,1992 – A.A.V.V. 1997) nelle seguenti categorie di interventi:
1) di rivestimento o antierosivi (tutti i tipi di semina, stuoie, materassini seminati, ecc.);
2) stabilizzanti (messa a dimora di arbusti, talee, fascinate, gradonate, cordonate, viminate, ecc.);
3) combinati di consolidamento (palificate vive, muri, grate vive, muri a secco con talee, cuneo filtrante, gabbionate e materassi verdi, terre rinforzate, ecc.)
4) particolari (barriere antirumore e paramassi, opere frangivento, ecc.).
Si tratta dunque soprattutto di effettuare il consolidamento superficiale e profondo ed il contemporaneo reinserimento naturalistico di versanti franosi, sistemazioni montane nonché di scarpate e superfici instabili abbinate alla realizzazione e gestione di infrastrutture (strade, ferrovie, cave, opere idrauliche, etc.), in base ad un’esigenza di riqualificazione dell’ambiente ormai universalmente riconosciuta. A livello nazionale vi è ormai un grosso fermento di acquisizione di strumenti tecnici e normativi nei settori della rinaturalizzazione e dell’Ingegneria Naturalistica, sia da parte dei professionisti, che dei pubblici funzionari, che delle imprese.
E’ questo un settore ormai largamente affermato in Italia, sull’esempio del resto d’Europa dove la disciplina vanta ormai molti decenni di anzianità. La società tedesca (Gesellschaft für Ingenieurbiologie) opera dal 1980, ma interventi sistematici di Ingegneria naturalistica vennero iniziati in Austria, Germania e Svizzera già nel dopoguerra. Il successo raggiunto recentemente in Italia dal settore è dovuto in generale ad una sensibilità generalizzata per i problemi ambientali ed è in particolare collegata all’affermarsi a tutti i livelli amministrativi delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale. Gli interventi di Ingegneria Naturalistica infatti rientrano nel filone degli interventi di mitigazione che fanno ormai parte integrante delle progettazioni infrastrutturali e del territorio. Semplificando al massimo, gli studi di impatto portano a due ricadute principali:
1) di tutela preventiva dei beni ambientali coinvolti dall’opera progettata, mediante selezione dell’alternativa di progetto a minore impatto;
2) di mitigazione e compensazione degli impatti residui inevitabilmente connessi con qualsiasi intervento sul territorio.
Questa seconda attività è per buona parte legata alla progettazione degli interventi di “ricucitura” del territorio attraversato, in particolare nei settori infrastrutturali e produttivi (strade, ferrovie, cave, discariche, ecc.) per i quali i metodi dell’Ingegneria Naturalistica forniscono delle notevoli possibilità di abbinamento della funzione tecnica (consolidamento di scarpate) con quella naturalistica di ricostruzione del verde. Si parla di verde, ma in realtà sarebbe più esatto parlare di ricostruzione di ecosistemi paranaturali riferiti agli stadi della serie dinamica naturale (potenziale) della vegetazione delle aree di intervento. In ciò l’ingegneria Naturalistica si differenzia dalle normali pratiche di giardinaggio ornamentale o architettonico, legate in genere alle zone urbanizzate. La realtà territoriale italiana è talmente varia da consentire praticamente l’impiego di quasi tutte le tecniche citate. Ciò nonostante in sede progettuale ed esecutiva andrà effettuato un grosso sforzo di traduzione ed adattamento sia per quanto riguarda le specie da impiegare e gli ecosistemi di riferimento, sia di conseguenza per le tecniche ed i materiali.

CAPITOLO 13 – PIANO DI TUTELA DEL TERRITORIO 
Il problema del dissesto del territorio può essere risolto con una politica che affronti le problematiche su due piani temporali;
1) Il Piano Operativo di Difesa del Suolo, da eseguire a breve termine, e rivolto agli effetti derivanti dal prolungato dissesto idrogeologico.(vedi capitolo precedente)
2) Il Piano di Tutela del Territorio, da eseguire a medio termine, e rivolto ad eliminare e contrastare le cause del dissesto idrogeologico, ovvero l’errato svolgimento delle pratiche agricole (rittochino), l’eccessiva compattazione meccanizzata dei suoli, l’eccessiva specializzazione delle coltivazioni, l’eccessivo accorpamento delle particelle agricole. Pertanto, si è provveduto a redigere un Piano di indirizzo strategico che possa fornire supporto agli strumenti di Pianificazione territoriale degli enti locali.
Si passi ora ad illustrare di seguito la descrizione del Piano di Tutela.
Il territorio è suddiviso in Ambiti di Tutela, che corrispondono alee Zone Territoriali Omogenee “E” di cui al Decreto Ministeriale n° 1444 del 2 aprile 1968.
Essi sono delimitate porzioni di territorio, per il quale si propongono indirizzi di tutela finalizzate all’integrità fisica del suolo e delle risorse idrogeologiche.
Essi sono suddivisi secondo le indicazioni degli “Indirizzi del Piano di Tutela” come segue:
– 89 –
– E1 – Zone di pianura a prevalente o esclusiva funzione agricola
– E2 – Zone boscate di valore paesistico-ambientale
– E3 – Zone agricole collinari di valore storico paesistico
– E4 – Zone agricole di valore ambientale
– E5 – Zone agricole di recupero ambientale
– E6 – Zone agricole di tutela idrogeologica
– E7 – Zone agricole fluviali
– E8 – Zone agricole di tutela panoramica
– E9 – Zone agricole degradate
– E10 – Zone agricole di valore paesistico
INDIRIZZI COMUNI A TUTTI GLI AMBITI
Negli Ambiti di Tutela proposti sono di norma consentiti impegni di suolo esclusivamente per finalità collegate con la conservazione o lo sviluppo dell’agricoltura, della selvicoltura, delle attività agrituristiche e delle biomasse per scopo energetico.
All’interno di essi tutte le trasformazioni territoriali si attuano per intervento edilizio diretto previo Programma di Miglioramento Agricolo Ambientale (P.M.A.A.), qualora prescritto dalla ex-Legge Regionale n° 64/1995 e succ. modifiche ed integrazioni.
In tutto il territorio dovranno essere privilegiate le trasformazioni finalizzate ad un concreto miglioramento dello stato dei luoghi, mediante opere, pratiche agroforestali e interventi di Ingegneria Naturalistica tali da ridurre i fenomeni erosivi e le forme di dissesto dei versanti in atto o potenziali. Fermo restando l’obbligo di procedere prioritariamente al recupero degli edifici esistenti, in tutti gli Ambiti è consentita la costruzione di nuovi edifici rurali e di annessi solo in aree non vincolate per tutela paesistica e previa approvazione del P.M.A.A, dal quale risulti la comprovata necessità di nuove volumetrie per la conduzione del fondo e all’esercizio delle altre attività agro-selvicolturali e di quelle connesse quali l’agriturismo. Per privilegiare la permanenza, la configurazione e la strutturazione sul territorio di sistemazioni colturali ad elevata capacità di tutela dei versanti, ad esempio il “Girapoggio” e/o “Cavalca poggio”, il Regolamento potrà concedere una riduzione fino ad un massimo del 30% delle superfici minime agrarie effettivamente coltivate per ordinamenti colturali, le quantità e quantità delle produzioni aziendali per unità di superficie conseguite. Potranno anche essere incentivati economicamente gli interventi di rilevanza ambientale in ordine alla difesa del suolo, alla tutela paesistica e alla tutela delle risorse dell’ambiente, mediante apposito Regolamento di attuazione contenente specifiche politiche agro-economiche da emanarsi. Ai fini dell’approvazione dei P.M.A.A., gli edifici afferenti dovranno possedere requisiti costruttivi e impianti tecnologici a basso impatto paesaggistico e tali da coprire interamente il proprio fabbisogno energetico, mediante perizia tecnica giurata redatta da professionisti tecnici laureati iscritti nei relativi albi. Ai soggetti diversi dai coltivatori diretti e dalle Imprese agricole, possono essere erogate agevolazioni “una tantum” per opere e pratiche agricole di miglioramento ambientale descritte come sopra, a seguito di sopralluogo con esito positivo, oppure possono installare annessi precari realizzati con strutture in materiale leggero appoggiati a terra, per un periodo di durata massima pari a dieci anni, aventi caratteristiche dimensionali e costruttive da definirsi in un apposito Regolamento attuativo complementare.
Per l’installazione di tali manufatti non deve essere presentato il Programma di Miglioramento Aziendale, bensì un Atto unilaterale d’obbligo a spese dell’interessato e cura del Comune, subordinato alla prestazione di idonee garanzie per la loro rimozione e col quale al termine del periodo la proprietà si impegna a:
– rimuovere tale manufatto o a ripresentare un Atto unilaterale d’obbligo di rinnovo per ulteriori dieci anni.
– non frazionare il fondo durante il suddetto periodo.
– a realizzare gli interventi di sistemazione ambientale così come individuate nello stesso Atto e a mantenerle in cura per il predetto periodo; Spetta all’Ufficio Provinciale dell’Agricoltura, mediante proprio parere, stabilire e determinare quali sono le sistemazioni ambientali da effettuare e la verifica della loro completa attuazione.
INDIRIZZI DI TUTELA SPECIFICI PER AMBITO TERRITORIALE
E1 – Zone di pianura a prevalente o esclusiva funzione agricola
Sono le aree pianeggianti di primaria importanza per la funzione agricolo-produttiva, anche in relazione all’estensione, composizione e configurazione della trama agraria dei terreni. Si deve tutelare l’orditura delle trame agrarie e idrauliche, soprattutto quelle di matrice centuriale di epoca romana, privilegiare gli impianti colturali misti e limitare l’eccessiva estensione degli appezzamenti monocolturali.
E2 – Zone boscate di valore paesistico-ambientale.
Esse presentano valori paesaggistico-ambientale di notevole pregio e per i quali si sottopone a tutela tutte le componenti degli ecosistemi forestali: piano arboreo principale, piano arboreo dominato, piano arbustivo, piano erbaceo e suolo; i boschi potranno, sia pure con le limitazioni ed i vincoli che verranno esposti, essere soggetti ad interventi selvicolturali e di utilizzazione rispettando le condizioni del sottobosco e della rinnovazione e conservando la composizione floristica per mezzo del rilascio di individui rappresentativi di tutte le specie arboree e arbustive presenti. Ogni intervento tuttavia è subordinato ad autorizzazione da parte dell’autorità competente, previa presentazione di un dettagliato progetto dell’intervento redatto da un professionista abilitato o da dipendenti abilitati di Enti pubblici.
E3 – Zone agricole collinari di valore storico paesistico.
Sono zone agricole collinari, originariamente strutturate sulla base della forma di conduzione mezzadrile, che presentano i caratteri tipici della campagna storica toscana per quanto concerne sia la conformazione orografica del terreno sia i tipi culturali (seminativo arborato, oliveti e vigneti disposti a girapoggio), sia la tipologia dell’edilizia storica, presente con tipologia di Ville-fattoria ovvero Ville “castellari”, torri “appalagiate” e antichi edifici poderali.
E4 – Zone agricole di valore ambientale
Sono porzioni di territorio fortemente integrato e di valore paesistico-ambientale, che vanno tutelate prioritariamente per le loro caratteristiche di elevata permeabilità del suolo ed elevato livello di vulnerabilità degli acquiferi. Su queste aree si deve applicare un livello di salvaguardia simile a quello previsto dalla normativa dei “campi pozzi” di cui al D.P.R. 236/88. Sono pertanto consentite le ordinarie utilizzazioni agroforestali che non comportano scarichi di acque reflue civili, industriali e zootecniche, e proibito l’uso di qualsiasi sostanza nociva suscettibile di inquinamento delle falde acquifere. Inoltre, sono privilegiate le sistemazioni e le pratiche agricole a “girapoggio”.
E5 – Zone agricole di recupero ambientale
Sono aree di particolare interesse paesaggistico per la loro ubicazione orografica, in cui l’originario assetto agroforestale è stato alterato da attività ad alto impatto ambientale, quali discariche e cave attive o dismesse. Nelle aree in cui tali attività sono cessate, si deve procedere al ripristino dell’originario ecosistema agroforestale; se tali attività sono in corso, occorre redigere un piano di recupero ambientale da rendere operativo in seguito alla cessazione dell’attività.
E6 – Zone agricole di tutela idrogeologica
Per queste aree è stato determinato un elevato livello di pericolosità geologica, e quindi sono notevolmente soggetti a fenomeni di instabilità dei versanti, che in alcuni casi, possono danneggiare anche alcuni elementi sensibili. Per eliminare le cause dei dissesti e limitarne gli effetti, occorre ripristinare le passate pratiche colturali e le sistemazioni a “girapoggio” integrate ad interventi di Ingegneria Naturalistica come illustrati sinteticamente nel Piano operativo di difesa del suolo.
E7 – Zone agricole fluviali
Consistono in territori agricoli pianeggianti compresi all’interno delle vallecole fluviali minori della Valdorme, soggetti in maniera limitata a rischio idraulico. In tali aree occorre limitare l’eccessiva estensione degli appezzamenti colturali e favorire la frammentazione multicolturale delle particelle agrarie, privilegiando il seminativo arborato ad oliveto e vigneto, gli impianti selvicolturali per uso ceduo e per biomasse energetiche.
E8 – Zone agricole di tutela panoramica
Trattasi di porzioni di territorio che possono offrire una visione del panorama circostante di notevole qualità. Generalmente si sviluppano lungo le strade di crinali, ripiani sommitali o cime collinari, e in queste aree è consentito l’utilizzazione agricola a condizioni che non precludi le attuali visuali prospettiche, bensì di crearne altre abbinate ad apposite “aree di belvedere”.
E9 – Zone agricole degradate
Sono aree assoggettate a processi di perdurato abbandono agricolo, che tendono a trasformare l’originario assetto agricolo in boschivo.
In molti casi il soprassuolo consiste in aree arbustive sviluppatesi su precedenti seminativi arborati e oliveti in genere.
E10 – Zone agricole di valore paesistico
Sono tutte le porzioni di territorio aventi giacitura ed esposizione tali da essere ben visibili dal contesto limitrofo, e comunque caratterizzati da molti elementi paesistici di pregio quali la presenza delle colture tipiche (oliveto, vigneto, seminativo, etc) e il loro reciproco rapporto di superfici, dei manufatti storici (edilizia poderale, termini di confine, muretti di sostegno in laterizi, contrafforti di contenimento in laterizi, corpi stradali accompagnati da filari cipressi, etc.)
Allo stato attuale, in queste aree occorre agevolare e privilegiare il ripristino delle antiche pratiche colturali a “girapoggio” non solo per il loro contributo positivo alla stabilità dei versanti, ma anche per migliorare l’armonia paesaggistica e ridurre la monotonia del paesaggio post-moderno.

CAPITOLO 14 – SINTESI FINALE 
Alla luce dei principi generali della Pianificazione territoriale, riportati peraltro nella legislazione regionale Toscana con la L.R. 1/2005, si è effettuato una Valutazione degli Effetti Ambientali, ovvero si sono quantificati gli effetti che si potrebbero manifestare nell’ipotesi in cui fossero realizzate e attuate tutti gli indirizzi e prescrizioni proposte sia col Piano di Operativo di Difesa del Suolo, sia col Piano di Tutela del Territorio.
Di fatto, si sono riutilizzati i due modelli di Valutazione del Rischio di Erosione e della Pericolosità Geologica, applicandoli all’assetto del territorio di cui si auspica la trasformazione secondo i predetti Piani. Più dettagliatamente, si sono modificati i soli parametri e indici afferenti le classi colturali non praticate a “girapoggio”, ipotizzando una loro riconversione al “girapoggio” e procedendo per sostituzione nei predetti modelli GIS.
I risultati confermano l’indubbio beneficio che il territorio trarrebbe da questo assetto territoriale progettato, le tabelle parametriche riportate di seguito esplicano inequivocabilmente i vantaggi. Infatti, il Rischio di Erosione diminuisce sia nel complesso che nelle aree più esposte, altrettanto l’indice di Pericolosità tende ad una diminuzione generalizzata e nelle aree più a sottoposte.
Pertanto, l’intero processo progettuale e pianificatore affrontato fino adesso, indipendentemente dalle implicazioni sociali ed economiche che può avere, dal punto di vista agronomico, ecologico idrogeologico, ambientale, paesaggistico e culturale, può apportare notevoli miglioramenti al territorio.
CLASSI DI PERICOLOSITA’ – VARIAZIONI TRA I DUE STATI
Stato Attuale mq – Stato Piano di Tutela mq – Variazione mq
Classe 1 1.187.204,98 1.847.476,80 – 660.271,82
Classe 2 7.812.741,14 7.474.688,06 – 338.053,08
Classe 3 6.071.301,89 4.485.665,66 – 1.585.636,23
Classe 4 928.606,32 518.545,40 – 410.060,92
STIME DI EROSIONE – VARIAZIONI TRA I DUE STATI
Perdita di suolo ad ettaro Superficie suolo Totale perdita suolo Spessore medio eroso
(t/ha/anno) (ha) (t/anno) mm
da 0 a 3 198,8058 273,57 0,08
da 3 a 6 -6,8723 -232,05 -0,10
da 6 a 10 -127,5838 -1008,22 -0,10
da 10 a 15 – 61,8928 -724,86 0,11
da 15 a 20 -1,0225 -17,94 -0,18
Oltre soglia max 20 – 0,8400 – 18,41 -3,72
Totale complessivo = t / anno – 1727,91

FINE

Bibliografia e Cartografia Digitale/Cartacea di Riferimento 
1) Guida al censimento dei fenomeni franosi ed alla loro archiviazione. Amanti M., Casagli N., Catani F., D’orefice M. & Motteran G. 1996. Edito da CANUTI P. & PETRONE F. Dipartimento per i Servizi Tecnici Nazionali, Servizio Geologico, Miscellanea, VII, 109pp. (CNR-GNDCI Pubbl. n.1587).
2) Considerazioni sulla valutazione del rischio di frana. Atti del Convegno “Fenomeni franosi e centri abitati”. Canuti P. & Casagli N. 1996. Bologna, 27 Maggio 1994. Cnr-Gndci – Regione Emilia-Romagna. 29-130. (CNR-GNDCI Pubbl. n.846).
3) Manuale di indirizzo delle scelte progettuali per interventi di ingegneria naturalistica – Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio Direzione Generale per la Difesa del Suolo – Anno 2005
4) Regolamento Urbanistico Comunale di Empoli approvato a Gennaio 2004.
5) Piano Territoriale di Coordinamento vigente – Provincia di Firenze – anno 1994
6) P.A.I. – Autorità di Bacino Fiume Arno
7) Sviluppo di metodologie di analisi per la stima dell’erosione dei suoli con applicazione specifica ad un’area pilota– L.A.M.M.A. – C.R.E.S. Regione Toscana (Dicembre 2004)
8) Sportello Cartografico Regione Toscana – Cartografie Geologiche derivate e originali – Sezione C.A.R.G.
9) Censimento dei pozzi idrici privati e pubblici – campagna 2006 – Dati GIS forniti dal Circondario Empolese-Valdelsa
Bibliografia Essenziale
1) Mappe del Catasto Lorenese – Archivio di Stato Firenze, sez. Catasto Generale Toscano.
2) Piante di popoli e strade – Capitani di Parte Guelfa 1580-1595. G. Pansini. Firenze 1989. Ed. L. Olskhi.
– 98 –
3) Della Storia d’Empoli. Vincenzo Chiarugi. Bullettino Storico Empolese Vol. 1 1959.
4) Storia del paesaggio agrario. Emilio Sereni. Edizioni Laterza. Bari 1961.
5) I catasti agrari della Repubblica Fiorentina e il Catasto particellare toscano. Istituto Storico Italiano per il Medioevo. Roma 1966. E. Conti.
6) Storia del Granducato in Toscana sotto il governo della casa Medici. Edizioni Vignozzi. Livorno 1820. R. Galluzzi.
7) La formazione della struttura agraria moderna nel contado fiorentino. E. Conti. Istituto Storico Italiano per il Medioevo. Roma 1966.
8) Relazione geologica sul territorio empolese – Ditta Get. Am. Su commissione del Comune di Empoli 198, allegato al Piano Strutturale.
9) Quaderno n° sette del novembre 1997 – Trasformazioni del territorio e sviluppo dell’edificato lungo il corso dell’Arno e degli affluenti (1954-1993-1995). Autorità di Bacino dell’Arno.
10) Empoli com’era. E. Boldrini. Editori dell’Acero. Empoli 1998.
11) Rappresentare i Luoghi. AA.VV. Alinea Editrice Firenze 2001.
12) Il progetto locale. AA.VV. Alinea Editrice Firenze 2001.
13) Foto aeree del 1954. Azienda G.A.I. Archivio Cartografico Regionale Toscano.
14) Foto aeree del 2000. Archivio Cartografico Regionale Toscano.
15) Piano Strutturale del Comune di Empoli. Ufficio di Piano. Sezione Urbanistica Comune di Empoli.
16) Contributo alle conoscenze sulla struttura geologica del sottosuolo empolese. F. Montepagani. Bullettino Storico Empolese. 1962.
17) Contadini e proprietari nell’Italia moderna. G. Giorgetti. Torino 1974.
18) Storia della Civiltà Toscana. Fasano Guarini. Edizioni Silvana editoriale. Firenze 2002.

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